Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2985 del 07/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/02/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 07/02/2011), n.2985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14463-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato CARRIERI MARIO, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRATELLI

RUSPOLI 2, presso lo studio dell’avvocato ALBANESE MARIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAGLIARDI CIRO, giusta

delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2053/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/05/2006 R.G.N. 7931/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega CARRIERI MARIO;

udito l’Avvocato GAGLIARDI CIRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 11 maggio 2006, che, accogliendo l’appello di C.G. contro la decisione del Tribunale di Napoli, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato da Poste italiane al lavoratore.

2. Si tratta di un licenziamento collettivo. La procedura fu avviata con comunicazione alle RSU del 25 giugno 2001; il 17 ottobre 2001, all’esito di numerosi incontri con i sindacati, le parti sociali sottoscrissero un accordo, stabilendo che il rapporto di lavoro del personale che alla data, rispettivamente del 31 dicembre 2001 e del 31 dicembre 2002, fosse risultato in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia, si sarebbe risolto secondo criteri, modalità e termini di cui all’allegato n. 1 accordo stesso. Il C. fu poi individuato tra i dipendenti destinatari del provvedimento di risoluzione del rapporto.

3. La Corte ha ritenuto che la comunicazione di avvio della procedura, sebbene in seguito integrata, non risponda ai requisiti richiesti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3. Ha ritenuto che il raggiungimento dell’accordo sindacale a chiusura della procedura non abbia efficacia sanante di eventuali omissioni in cui sia incorso il datore di lavoro. Ha ritenuto poi che siano state violate le regole sull’applicazione del criterio concordato con le organizzazioni sindacali ai singoli casi dettate dallo stesso art. 4, comma 9.

4. Poste propone sette motivi di ricorso ed ha depositato una memoria.

5. Il C. ha solo depositato atto di delega.

6. Con il primo motivo Poste denunzia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, laddove la sentenza non attribuisce alcun rilievo alla conclusione di un accordo sindacale ai fini della valutazione della completezza della comunicazione. Con il secondo motivo si denunzia violazione della medesima norma, laddove la sentenza di appello richiede per la completezza della comunicazione l’indicazione delle qualifiche professionali dei lavoratori esuberanti. Con il terzo motivo si denunzia un vizio di motivazione laddove la Corte omette di motivare la pretesa insufficienza dei prospetti dettagliati sulla collocazione professionale degli esuberi ad integrare la richiesta di indicazione dei profili professionali.

Con il quarto motivo si denunzia ancora un vizio di motivazione sulla incidenza della pretesa incompletezza della comunicazione di avvio sulla capacità di valutazione del sindacato. Con il quinto motivo si denunzia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 nonchè insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia relativo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e alla individuazione dei settori aziendali interessati alla procedura di cui all’art. 4. Con il sesto motivo si denunzia violazione della L. n. 223, artt. 4 e 5 e dell’art. 39 Cost., comma 1, e art. 41 Cost. nonchè vizio di motivazione, in quanto, salvo diversa esplicita previsione di accordo collettivo, i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare L. n. 223, ex art. 5 operano sull’intero complesso aziendale e non trovano limitazioni operative negli ambiti definiti dalla comunicazione datoriale”. Con il settimo motivo si denunzia violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24 e vizio di motivazione, in quanto il sindacato giurisdizionale sul profilo causale del licenziamento collettivo deve limitarsi a verificare il rispetto della procedura e dei criteri di scelta convenuti.

7. I motivi di ricorso, strettamente connessi, devono essere valutati congiuntamente. Il ricorso, pur affermando in parte principi condivisi da questa Corte, non può essere accolto e la sentenza deve essere confermata, sebbene con motivazione in parte diversa, per i seguenti motivi.

8. La controversia tra Poste e C. ripropone questioni più volte affrontate con riferimento a casi del tutto analoghi.

9. Sono stati affermati i seguenti principi.

10. Con riferimento alla fase di avvio, regolata dalla L. n. 223, del 1991, art. 4, comma 3, si è costantemente affermata la adeguatezza della comunicazione, in quanto “in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione del personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione” (Questo il principio di diritto enunciato da Cass. 12 agosto 2009, n. 18253; ma cfr. anche Cass. 7 gennaio 2009, n. 84;

Cass. 26 febbraio 2009, n. 4653).

11. Quanto al criterio unico di scelta individuato con l’accordo sindacale, basato sulla sussistenza dei requisiti per il collocamento in pensione, parimenti questa Corte ne ha in più occasioni valutato la legittimità, non omettendo di verificarne la conformità al principio di non discriminazione in ragione dell’anzianità, anche nella sua dimensione europea, nonchè a criteri di razionalità ed equità (cfr, in particolare, Cass. 24 aprile 2007, n. 9866; e Cass. 21 settembre 2006, n. 20455, alla cui motivazioni si rinvia).

12. La sentenza della Corte d’appello di Napoli deve pertanto essere corretta nella parte in cui dissente da queste affermazioni, ribadendo la validità dei principi su richiamati.

13. Questa Corte ha tuttavia, con analoga costanza, affermato, che Poste italiane, una volta concordato il criterio di scelta della sussistenza dei requisiti per il collocamento in pensione, non poteva limitarsi ad un mero richiamo nelle comunicazioni successive previste dalla procedura di licenziamento collettivo ed, in particolare, dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9. La Corte d’appello di Napoli, sebbene molto succintamente, considera anche questo profilo nella sua motivazione a fondamento della illegittimità del licenziamento.

14. Il principio di diritto affermato anche con specifico riferimento a questa medesima procedura di licenziamento collettivo di Poste italiane è che “il criterio di scelta dei dipendenti da porre in mobilità, determinato nel rispetto di quanto prescritto dalla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 non può essere lasciato, quanto alla sua applicazione, al mero potere discrezionale dell’imprenditore perchè ciò comporterebbe cadute pregiudizievoli sulla posizione dei singoli lavoratori e sul loro interesse ad una gestione della mobilità e della riduzione del personale, che sia trasparente, chiara ed affidabile e che non può quindi prescindere da una sua compiuta e corretta applicazione (Cass. 22 marzo 2010, n. 6841).

15. Con più specifico riferimento all’art. 4, comma 9 ritenuto violato nella specie dalla Corte di Napoli, Cass. 11 novembre 2010, richiamando Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541, ha ancor più di recente affermato che la legittimità del criterio della prossimità al pensionamento non esonera il datore di lavoro, e nella specie Poste italiane, dal dovere, in sede di comunicazioni L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, di precisare in maniera puntuale come il criterio è stato applicato e in base a quali ragioni ha portato alla scelta, tra coloro che si trovavano in tale situazione, dello specifico lavoratore licenziato (l’art. 4, comma 9 richiede infatti la specificazione per ciascun soggetto da licenziare, della qualifica, del livello di inquadramento ed di una serie di altri elementi, nonchè la “puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di sceltà).

16. La giurisprudenza di questa Corte è parimenti consolidata nel senso che la sanzione, anche con riferimento a questa specifica ragione di illegittimità della procedura prevista dall’art. 4, è quella dell’inefficacia del licenziamento ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, (Cass. 11 novembre 2010, n. 22 898;

richiamando Cass. 18 gennaio 2005, n. 880).

17. Pertanto, il ricorso di Poste deve essere rigettato, con le correzioni della motivazione derivanti dalla applicazione dei su indicati principi di diritto, e la declaratoria di illegittimità del licenziamento, con le conseguenze previste dalla legge, deve essere confermata.

18. Nulla sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

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