Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29848 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/12/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 30/12/2020), n.29848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 739/2020 proposto da:

H.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

MANZONI, 81, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA CONSOLO,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO PRIORE, IMMACOLATA

MARRA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, PREFETTURA DI NAPOLI, in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di NAPOLI, depositata il

30/04/2019 R.G.N. 101533/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/7/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con ordinanza del 13.5.2019, il Giudice di Pace di Napoli rigettava l’opposizione proposta da H.M.A., cittadino del (OMISSIS), avverso il decreto del Prefetto della Provincia di Napoli emesso il 7.11.2018, con il quale era stata disposta l’espulsione del predetto dal territorio nazionale sul presupposto della illegale permanenza in Italia a seguito del diniego, sia amministrativo che giudiziale, del riconoscimento di protezione internazionale;

2. il Giudice di pace, rilevata la tempestività del ricorso in opposizione, osservava che la questione richiamata dall’opponente, dell’asserito diritto all’ottenimento della protezione, non era di competenza di esso giudicante, tenuto a valutare unicamente i vizi dell’impugnato decreto, dando atto, nel contempo, che sulla richiesta si erano pronunciate sia la competente commissione territoriale in via amministrativa, sia l’autorità giudiziaria;

3. sulla assunta violazione della direttiva Europea quanto alla circostanza che l’istante non era stato reso edotto della facoltà di potersi avvalere, in luogo dell’accompagnamento alla frontiera, del rimpatrio volontario, il Giudice rilevava che, come emergeva dalla produzione documentale della Questura di Napoli, il ricorrente ne era stato idoneamente informato e che, in ogni caso, sussistevano le condizioni per le quali l’esercizio della facoltà suddetta poteva essere negata;

4. di tale ordinanza domanda la cassazione l’ H., che affida l’impugnazione a tre motivi, illustrati nella memoria depositata i sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.;

5. vi è atto di costituzione tardiva del Ministero dell’Interno, effettuata dichiaratamente al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1,

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. preliminarmente, deve rilevarsi che la notifica al Prefetto non risulta effettuata in conformità alla regola che vede legittimata passiva la Prefettura nei procedimenti che attengono al sindacato riguardante l’espulsione dello straniero (tra le altre, v. Cass. 16178/2015, Cass. 12655/2019);

6.1. tuttavia, per il criterio della “ragione più liquida” – in conformità ad esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, privilegianti il profilo dell’evidenza rispetto a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. – vanno prioritariamente esaminati i motivi di ricorso che presentano profili di inammissibilità come di seguito rilevato;

7. con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. a) e art. 19, comma 1, sostenendo che il giudice di pace, nell’osservare che era incompetente nella valutazione della richiesta di protezione internazionale, abbia violato il principio di diritto affermato dalla S. C. in forza del quale in sede di opposizione all’espulsione sussiste l’obbligo per lo stesso di esame e di attivazione dei propri poteri istruttori sul rischio prospettato dall’opponente di essere sottoposto a persecuzione o trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine;

7.1. assume di avere depositato ed allegato al ricorso, oltre che specificato in udienza, la nuova documentazione (docc. 5 e 12 produz. di parte di I grado) e che la stessa non era stata ancora esaminata nè dalla commissione di Bari, nè dal Tribunale della stessa città, nel giudizio di impugnazione del diniego di protezione instaurato, recante RG 16732/2018, in dispregio del principio di collaborazione istruttoria con attivazione dei poteri officiosi necessari a validare l’attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente;

7.2. aggiunge che, come desumibile dalla documentazione depositata in data 26.10.2017, aveva presentato una domanda reiterata di protezione internazionale sulla quale era stato adottato un provvedimento di inammissibilità il 29.8.2018, rispetto al quale non era ancora intervenuto alcun sindacato giurisdizionale, essendo stato instaurato presso il Tribunale di Bari autonomo giudizio, la cui pendenza era stata segnalata al Giudice di Pace sollecitando la sospensione del presente procedimento; in ragione di ciò il ricorrente adduce che l’impugnata decisione è apoditticamente motivata ed affetta da ingiustizia manifesta, per essere stato omesso ogni vaglio della situazione prospettata, in violazione di specifico principio di diritto;

8. con il secondo motivo, lamenta violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13,13 bis e 19, contestuale violazione e mancata applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23,artt. 737 e 738 c.p.c., artt. 6 e 13 della CEDU, ratificata con L. n. 848 del 1955, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., sostenendo che il giudice non sia esonerato dalla funzione di accertamento della concreta ed effettiva situazione di rischio a cui è esposto il ricorrente, che deve essere oggetto di riscontro supportato da adeguata motivazione; aggiunge che ciò collide con il principio, sancito dalla Corte Costituzionale, di divieto di trattamento deteriore dello straniero rispetto a quello riservato al cittadino, almeno per quanto riguarda il godimento dei diritti fondamentali;

8.1. rileva che, anche a volere ritenere automatica l’espulsione, ciò non esimeva il giudice di Pace dal dovere di svolgere gli opportuni accertamenti, servendosi dei poteri a tal uopo riconosciutigli dalla legge processuale, azionabili anche d’ufficio, al fine di verificare la compatibilità della disposta espulsione con il divieto di cui all’art. 19 del T.U. sull’immigrazione, ogniqualvolta sia dedotta, a motivo del ricorso avverso il decreto di espulsione, l’esistenza di ragioni ostative al rimpatrio, omettendo la valutazione di un fatto determinante introdotto ritualmente in giudizio; lamenta la violazione del principio di effettività della giustizia alla stregua dell’art. 13 della CEDU, degli articoli della Costituzione e della convenzione di Ginevra rubricati;

9. con il terzo motivo, si duole della violazione e mancata applicazione degli artt. 3, 8 e 13 della CEDU, in relazione alla mancata valutazione della presenza di situazione di pericolo idonea ad escludere la possibilità di un immediato rimpatrio o di elementi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, avendo proseguito il proprio percorso di integrazione in Italia, attestato anche dalla titolarità di rapporto di lavoro ottenuto un mese prima dell’espulsione; rileva che la Corte di Strasburgo ha affermato che gli Stati Contraenti hanno il diritto di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione di stranieri, a condizione che siano rispettati gli obblighi derivanti dalla Convenzione, e che è consentito il richiamo all’art. 3 CEDU quando elementi concreti inducano a ritenere che, se espulso, l’interessato rischierebbe di subire, nel paese di arrivo, trattamenti contrari al suddetto articolo della Convenzione e all’art. 8 della stessa;

10. i motivi vanno trattati congiuntamente per la palese connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto;

11. nel caso in cui la domanda di protezione internazionale dello straniero sia proposta dopo l’adozione del decreto di espulsione del medesimo, detto decreto non è colpito da sopravvenuta invalidità, restandone soltanto sospesa l’efficacia, con la conseguenza che il giudice di pace adito a norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8, non può, in ragione della proposizione della menzionata domanda, pronunciarne l’annullamento (cfr., da ultimo, Cass. 27 febbraio 2020, n. 5437);

12. nella motivazione di tale pronuncia, dopo il richiamo a CGUE, Grande Sezione, 15 febbraio 2016, C-601/15, ove è stato escluso che la presentazione di una domanda di asilo da parte di una persona soggetta ad una procedura di rimpatrio abbia l’effetto d’invalidare de jure la relativa decisione che fosse stata precedentemente adottata, sottolineandosi la necessità di garantire l’effetto utile degli artt. 6 e ss. della cd. direttiva rimpatri (2008/115) che disciplinano il rimpatrio dei soggiornanti irregolari, in conclusione viene affermato che lo straniero che abbia presentato domanda di protezione internazionale non può richiedere la caducazione del provvedimento espulsivo emesso in precedenza ai propri danni, giacchè questo contrasterebbe con l’esigenza, ricavata dalla giurisprudenza della CGUE, di assicurare la pronta ripresa del procedimento attuativo dell’espulsione a seguito del rigetto della domanda stessa e darebbe luogo ad un’inedita forma di invalidità “sopravvenuta” del decreto di espulsione già emesso; nell’anzidetta ipotesi, il decreto di espulsione è, invece, solo temporaneamente privo della sua efficacia per effetto della presentazione della domanda di protezione internazionale (come desumibile dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7 e D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 4);

13. in relazione ad ogni altro profilo dedotto è sufficiente osservare che la evidenziata cooperazione istruttoria in sede di espulsione presuppone l’allegazione di fatti nuovi e/o diversi da quelli prospettati con la prima domanda e che le circostanze contenenti elementi di novità siano state allegate tempestivamente dinanzi al giudice di Pace;

14. ciò non emerge dal presente ricorso, redatto sul punto in dispregio del principio di specificità, che impone, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, di non limitarsi ad una mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva diversa da quella ricostruita dal giudice, ma di dare atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di elementi non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, a circostanze ritualmente e tempestivamente dedotte in aggiunta a quelle menzionate, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr., sia pure in tema di protezione internazionale, per l’applicazione di analoghi principi, Cass. 21.10.2019 n. 26728, Cass. 13449/2019);

15. vero è che è stato osservato che l’opposizione all’espulsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19, comma 1, deve fondarsi su ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle già oggetto del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, dovendosi valutare la “novità” non solo in senso oggettivo, ma anche – ove i fatti o i fattori di rischio siano state appresi “medio tempore” in senso soggettivo, con la conseguenza che integrano il suddetto requisito non soltanto i fatti cronologicamente sopravvenuti alla decisione di rigetto non impugnata, ma anche quelli ignorati in sede di valutazione della commissione territoriale perchè non allegati dal richiedente e non accertati officiosamente dal giudice di pace il quale è tenuto, al pari del giudice della protezione internazionale, all’obbligo di cooperazione istruttoria (Cass. 16/12/2019 n. 33166);

16. tuttavia, anche alla luce dell’orientamento giurisprudenziale appena richiamato, risultano insuperabili i rilievi in tema di mancanza di specificità del ricorso;

17. il ricorso va, per quanto detto, dichiarato inammissibile;

18. considerato che le parti intimate non hanno svolto alcuna attività difensiva, nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità;

19. il ricorrente non è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, in quanto, in tema di controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione Europea (D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18) e di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchè agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare (D.Lgs. n. 150 cit., art. 20), è espressamente stabilito che ” Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa” (cfr. Cass. 3305/2017).

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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