Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29845 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. I, 18/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 18/11/2019), n.29845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32280/2018 proposto da:

E.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Monica Bassan,

domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2019 da GORI PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con decreto n. 4923 depositato in data 17.9.2018 nella controversia iscritta all’RGN 11729/2017 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da E.F., nato a in Ghana il 17.7.1998, in impugnazione del provvedimento prefettizio di diniego emesso il 29.8.2017 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, sez. di Padova.

– In particolare, il ricorrente chiedeva il riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria, in quanto costretto con episodi di minaccia e violenza da parte di zii, aderenti a un culto tribale a venerare un idolo cui suo padre, deceduto, era devoto.

– Avverso la decisione il richiedente ha notificato in data 17.10.2018 ricorso, affidato a due motivi, e il Ministero dell’Interno non si è difeso, rimanendo intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione ed falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5 per non aver il Tribunale di Venezia correttamente applicato il canone dell’onere della prova, in particolare circa la valutazione delle dichiarazioni del ricorrente, ritenute in termini riduttivi non credibili e per aver omesso di attivarsi al fine di una cooperazione istruttoria.

Il motivo è infondato. La Corte rammenta che “In materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01).

– Nel caso di specie la decisione censurata ha valutato espressamente se fosse stato rispettato o meno il principio di cooperazione nel reperimento delle fonti di prova, ma si è necessariamente incentrata sulla credibilità dei fatti narrati dal ricorrente e delle ragioni che l’avrebbero indotto a lasciare il suo Paese, in presenza di una prospettazione non legata alle condizioni socio-politiche della zona e del Paese d’origine del richiedente, ma ad una peculiare e specifica presunta forzata adorazione di un idolo da parte della cerchia familiare, impostagli in conseguenza del decesso del padre, cui si sarebbe sottratto per non voler eseguire sacrifici di sangue in quanto cristiano. L’unico documento prodotto, una lettera del reverendo K., è priva di data e ritenuta di incerta provenienza, e l’accertamento in fatto del Tribunale non è stato impugnato specificamente come vizio motivazionale e riproduzione del documento in ricorso.

– Nel valutare come non credibile il richiedente e generico il racconto il Tribunale ha valutato l’assenza di dettagli identificativi del culto, sull’idolo, l’imprecisione sul tipo di maltrattamenti ed abusi subiti e l’inverosimiglianza della fuga subito dopo lo scontro con gli zii e senza avvertire neppure la madre della partenza. Si tratta di una decisione nel merito breve, ma immune da vizi logici e che tiene conto della scarsa quantità di dettagli forniti dal dichiarante in sede amministrativa e non integrati poi in sede di giudizio. Tale valutazione è stata operata in primo luogo sulla base del controllo di logicità del racconto del richiedente, e la valutazione compiuta dal giudice del merito a riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

– Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione ed falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 20018, art. 2, comma 1, lett. h) bis, ovvero alla protezione speciale o in casi speciali ex D.L. n. 113 del 2018, per non aver il Tribunale di Venezia valutato adeguatamente la situazione del Paese d’origine del richiedente ai fini del riconoscimento dei presupposti per un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il motivo è destituito di fondamento. Va rammentato al proposito che “Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma in relazione ad una condizione di vulnerabilità in capo al richiedente, assumendo al riguardo rilievo, in assenza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, quantomeno la credibilità soggettiva del medesimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva negato la protezione umanitaria in capo al ricorrente che, oltre a non fornire la prova circa la sussistenza di una condizione di vulnerabilità, aveva reso un racconto non credibile circa la propria vicenda personale)” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11267 del 24/04/2019, Rv. 653478 – 01).

La sentenza censurata anche sotto il profilo oggetto dell’ultimo motivo è rispettosa dei principi giurisprudenziali sopra richiamati e motiva al proposito non solo in conseguenza della ritenuta non attendibilità delle dichiarazioni del richiedente circa la propria vicenda personale. Infatti, si devono escludere profili di vulnerabilità generale dal momento che non risulta la regione stia vivendo una situazione di diffusa e sistematica violenza di entità tale da rilevare ai fini del riconoscimento anche della protezione sussidiaria, secondo quanto emerge da aggiornato rapporto di Amnesty International citato dal decreto stesso. Neppure è dimostrata la vulnerabilità personale, ad esempio a causa delle ritorsioni di appartenenti a non precisato culto cui il richiedente non intenderebbe aderire, nè è dimostrata l’esistenza di particolari profili di vulnerabilità personali ulteriori. Inoltre, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455/2018), l’inserimento lavorativo, linguistico e affettivo del richiedente costituisce un fattore concorrente, ma non sufficiente da solo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento dev’essere adottato sulle spese di lite, in assenza di costituzione del Ministero.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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