Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29844 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9624/2017 proposto da:

Z.M.F., C.A. per sè e in primo grado in

qualità di Amministratore di Z.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI GALLA E SIDAMA, 49, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI FORCINITI, rappresentati e difesi dall’avvocato

MASSIMILIANO COPPA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AUSL DI (OMISSIS) in persona del Direttore Generale e legale

rappresentante pro tempore Dott.ssa G.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio

dell’avvocato SAVERIO GIANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato

MICHELE TAVAZZI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 373/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha chiesto

il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Z.M.F. e C.A. – quest’ultima in proprio e quale amministratrice di sostegno del marito Z.G. – agirono in giudizio nei confronti della Azienda USL di (OMISSIS) per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti al danno cerebrale subito da Z.G. a causa di ipossia sopraggiunta al termine di un intervento di clippaggio di aneurisma: sostennero che, nel corso della fase di risveglio dall’anestesia, dopo l’estubazione della trachea, il paziente era stato colto da una crisi epilettica che non era stata tempestivamente trattata dall’anestesista e che aveva determinato la mancanza di regolare ventilazione per cinque minuti, con conseguente danno cerebrale determinante un’invalidità permanente pari al 100%.

La convenuta resistette alla domanda, negando qualsiasi responsabilità dei propri sanitari.

Il Tribunale accolse le richieste attoree e condannò l’Azienda USL al pagamento di 1.768.227,63 Euro in favore di Z.G. e di 408.897,54 Euro e 385.272,10 Euro in favore – rispettivamente – della C. e di Z.M.F., il tutto oltre interessi dalla data della sentenza e rimborso delle spese di lite.

La Corte di Appello di Bologna ha riformato integralmente la sentenza e ha rigettando tutte le domande attoree ritenendo, quanto all’ipossia, che “l’unica spiegazione plausibile della sua sopravvenienza è l’insorgenza di un edema acuto, imprevedibile e imprevenibile, comparso improvvisamente al termine di un intervento privo di complicanze e perfettamente condotto fino alla fine”; il tutto andando di contrario avviso rispetto alle conclusioni della c.t.u. svolta nel giudizio di primo grado e prestando – invece – piena adesione alle risultanze delle relazioni di due consulenze disposte dal P.M. in sede penale, che erano state depositate dalla USL soltanto nel giudizio di appello e previa rimessione in termini per la relativa produzione (disposta con la stessa sentenza di secondo grado).

Hanno proposto ricorso per cassazione – basato su otto motivi – Z.M.F. e C.A., sia in proprio che in qualità di eredi di Z.G., nel frattempo deceduto.

Ha resistito l’Azienda Usl di (OMISSIS), a mezzo di controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Il P.M. ha rassegnato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La questione della idoneità o meno della notificazione della sentenza a far decorrere il termine breve per la proposizione del ricorso – trattata in limine dalle ricorrenti – è priva di rilevanza giacchè il ricorso risulta comunque notificato entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza ed è quindi certamente tempestivo.

2. Il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 342 c.p.c. e nullità della sentenza o del procedimento per omissione di pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 608 del 1996, art. 9 bis ed omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”: le ricorrenti assumono che “l’atto di appello della AUSL di (OMISSIS) ha omesso di indicare con sufficiente chiarezza gli specifici capi della sentenza impugnata e, soprattutto, le ragioni di dissenso rispetto all’iter logico argomentativo svolto dal Tribunale”.

2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto non trascrive in alcuna misura l’atto di appello al fine di consentire a questa Corte di rilevare, già in base alla lettura del ricorso, il dedotto difetto di specificità dell’impugnazione.

3. Il secondo motivo deduce “violazione dell’art. 345 c.p.c. e violazione dell’art. 188-191 c.p.c. e segg., per avere la Corte territoriale ammesso la tardiva produzione della CTPM del Proc. Pen. n. (OMISSIS) RGNR e del Proc. Pen. n. (OMISSIS) RGNR”: le ricorrenti lamentano che “la Corte di Appello di Bologna ha completamente omesso di indicare le ragioni dell’indispensabilità, ai fini della decisione, delle due perizie svolte in separati procedimenti e (irritualmente) prodotte dall’appellante telematicamente il giorno prima dell’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni”; per altro verso, le ricorrenti danno atto che, “da ultimo il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. Ob, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha escluso la possibilità di acquisire nuovi mezzi di prova anche se indispensabili ai fini della decisione” e che “destituito di fondamento è l’assunto della Corte di Appello di Bologna secondo il quale i ridetti documenti (consulenze del P.M. svolte nei procedimenti penali) non sono stati prodotti per causa non imputabile all’Azienda Usl appellante”; aggiungono che, “davvero incredibilmente, la Corte di merito territoriale non solo ha illegittimamente ammesso la produzione di documenti (costituenti prove atipiche (…)) ma addirittura ne ha affermato la prevalenza su quanto accertato dal c.t.u. di primo grado, senza spiegarne le ragioni ed omettendo ogni raffronto critico tra gli elaborati”; scelta tanto più censurabile se “si consideri che la c.t.u. di primo grado è stata espletata nella pienezza del contraddittorio delle parti”, mentre “le consulenze disposte dal Pubblico Ministero (valorizzate dalla Corte di Appello di Bologna) sono state invece svolte in separati procedimenti penali senza che le parti abbiano potuto assistere e concorrere agli accertamenti”.

3.1. Al riguardo, la Corte di merito ha osservato che la prima consulenza del P.M. era stata disposta ex art. 359 c.p.p., senza che fosse stato notificato alcun avviso di garanzia ai medici della Ausl, cosicchè di essa l’Azienda non poteva avere avuto notizia prima della scadenza del termine per la definitiva formulazione delle istanze istruttorie nel giudizio di primo grado, mentre la seconda consulenza era stata addirittura espletata dopo la definizione del giudizio di primo grado; ha concluso che entrambi i documenti, “che hanno sicura rilevanza decisoria nel presente giudizio risarcitorio, non sono stati prodotti per causa non imputabile all’Azienda Usl appellante” con la conseguenza che “la parte va pertanto rimessa in termine e tale rimessione può essere senz’altro disposta con questa sentenza”.

3.2. Il motivo prospetta la violazione dell’art. 345 c.p.c., contestando sia l’indispensabilità del documento che l’impossibilità di produrlo tempestivamente, salvo affermare – in altri passaggi – che la nuova formulazione del comma 3 dell’articolo non contempla più l’ipotesi della indispensabilità.

Premesso che nel caso di specie (in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado è stata pubblicata successivamente all’11.9.2012) trova applicazione l’art. 345, comma 3, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla L n. 134 del 2012 (cfr. Cass. n. 6590/2017: “la modifica, in senso restrittivo rispetto alla produzione documentale in appello, dell’art. 345 c.p.c., comma 3, operata dal D.L. n. 83 del 2012, trova applicazione, mancando una disciplina transitoria e dovendosi ricorrere al principio “tempus regit actum”, solo se la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, di conv. del D.L. n. 83 cit. e, cioè, dal giorno 11 settembre 2012″), risultano inconferenti e non pertinenti rispetto al contenuto della decisione le contestazioni concernenti il difetto di indispensabilità.

Quanto, invece, all’impossibilità della produzione tempestiva – costituente la ratio fondante della rimessione in termini – la censura è fondata: la circostanza che le due consulenze del P.M. non fossero producibili in primo grado (perchè, quanto alla prima, non ancora espletata al momento in cui erano maturate le preclusioni istruttorie e, quanto alla seconda, effettuata dopo la conclusione del giudizio), non comporta che le stesse potessero essere depositate fino al momento della precisazione delle conclusioni in appello, in difetto della dimostrazione, da parte della AUSL, della effettiva impossibilità di produrle in un momento antecedente (e, quanto alla prima CTPM, già nel corso del giudizio di primo grado): sussistono infatti ragioni di leale e corretto svolgimento della dinamica processuale, correlate all’esigenza di assicurare alla controparte la possibilità di prendere posizione rispetto ad una produzione documentale (e, nel caso, di svolgere osservazioni di natura tecnica), che impongono alla parte che produca tardivamente un documento di farlo alla prima occasione utile, in quanto deve sussistere un contemperamento fra la possibilità di produzione tardiva e l’onere della parte di procedervi non appena possibile, onde consentire alla controparte di interloquire sul contenuto della produzione.

Di ciò la Corte non ha tenuto conto, non avendo preteso dalla Ausl che provasse (e, prima ancora, che allegasse) come e quando abbia conseguito la disponibilità dei documenti.

La sentenza va dunque cassata nella parte in cui ha disposto la “rimessione in termini” senza richiedere la prova della impossibilità di produrre i documenti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello: la Corte di rinvio dovrà dunque nuovamente valutare, alla luce dei principi sopra illustrati, se sussistano effettivamente le condizioni per disporre la rimessione in termini.

4. Il terzo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte di merito fondato la decisione su prove atipiche (consistenti nelle Consulenze Tecniche svolte su disposizione del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bologna) senza compiere il necessario raffronto di tali prove con le altre risultanze istruttorie e, segnatamente, con le conclusioni della c.t.u. medico legale espletata in primo grado”.

Le ricorrenti rilevano che la Corte di merito ha trascritto “acriticamente” gli argomenti svolti nella relazione dei consulenti del P.M., limitandosi ad affermarne la “sicura rilevanza decisoria” e fondandosi su un presupposto che “è rimasto totalmente indimostrato”, ossia quello della tempestività e correttezza delle manovre eseguite sul paziente nel momento in cui insorse la crisi respiratoria, del quale, “tuttavia, non solo non vi è prova alcuna ma, addirittura, vi è prova del contrario”, come evidenziato dalla c.t.u. svolta in sede civile e come ritenuto dal primo giudice, che hanno evidenziato che se il trattamento farmacologico fosse stato prontamente attuato, la crisi non si sarebbe protratta per i cinque minuti che avevano determinato il danno ipossico.

4.1. Al riguardo, la sentenza impugnata ha rilevato che le consulenze (la c.t.u. svolta nel giudizio civile e le due effettuate nei procedimenti penali) “divergono invece in punto di ricostruzione della causa dell’ipossia”, che i consulenti del P.M. individuano in un “edema comparso in maniera imprevedibile ed inevitabile al momento dell’estubazione” e i consulenti del giudice di primo grado nella “tardiva riattivazione della ventilazione del paziente”; ciò premesso, la Corte di Appello ha affermato che “le osservazioni dei Ctu svolte in sede penale colgono nel segno”, evidenziando che gli eventi dell’estubazione e della crisi epilettica erano occorsi in sala operatoria, in un momento di massimo impegno dell’anestesista e del personale infermieristico; che, inoltre, la cartella clinica indicava il trattamento farmacologico praticato a seguito della crisi convulsiva, pur non descrivendo l’intervallo temporale fra l’insorgenza della crisi ed il trattamento; che “tale trattamento è stato tempestivo e corretto”; tanto premesso, ha concluso che “l’unica spiegazione plausibile” dell’ipossia “è l’insorgenza di un edema acuto, imprevedibile e imprevenibile”, confermato dalle immagini TC eseguite in rapida successione nel periodo post-operatorio, che dimostrano, per l’appunto, la presenza di un edema e di lesioni ischemiche”.

4.2. Se è pur vero che il giudice civile può utilizzare prove raccolte in un giudizio penale, deve considerarsi che, laddove si ponga la necessità di aderire ad una piuttosto che ad un’altra relazione tecnica, la valutazione deve essere particolarmente rigorosa e deve dare puntuale conto delle ragioni per cui, in relazione ad ogni singolo profilo tecnico rilevante, si ritenga di aderire ad una piuttosto che ad un’altra consulenza; ciò che vale – a maggior ragione – laddove si ritenga di privilegiare le risultanze di una consulenza compiuta in ambito penale rispetto a quella svolta all’interno del giudizio civile e nel contraddittorio tecnico fra le parti.

Al riguardo, merita piena condivisione la più aggiornata giurisprudenza di questa Corte che ha riconosciuto la possibilità di individuare il vizio di omesso esame di fatto decisivo nel caso di acritica adesione ad una anzichè ad altra consulenza.

Si è affermato, infatti, che “il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e che “tale vizio ricorre anche nel caso in cui nel corso del giudizio di merito siano state espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, ed il giudice si sia uniformato alla seconda consulenza senza valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, limitandosi ad un’acritica adesione ad essa, ovvero si sia discostato da entrambe le soluzioni senza dare adeguata giustificazione del suo convincimento mediante l’enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti” (Cass. n. 13770/2018; conforme Cass. n. 13399/2018; cfr. anche Cass. n. 19572/2013 e Cass. n. 20125/2015).

Ciò vale tanto di più nel caso di specie, in cui non si è trattato di aderire ad una fra due diverse c.t.u. svolte nello stesso giudizio, ma di “scegliere” fra una c.t.u. effettuata nel giudizio civile e due relazioni fatte svolgere dal P.M. in procedimenti penali, rispetto alle quali le parti hanno potuto giocare un ruolo del tutto diverso, dal momento che solo la c.t.u. è stata espletata nel rispetto del contraddittorio tecnico, mentre è mancata qualsiasi possibilità di interlocuzione sugli accertamenti svolti in sede penale.

Ciò comporta che la sentenza avrebbe dovuto dare ampio conto, punto per punto, delle ragioni per cui non ha condiviso le conclusioni della c.t.u. e ha ritenuto di aderire a quelle delle CTPM: al contrario, la Corte ha reso una motivazione tutta incentrata sull’adesione a queste ultime, senza spiegare perchè non fossero condividibili le diverse argomentazioni e conclusioni della c.t.u.. Il giudice di appello ha sviluppato, infatti, una motivazione che è spesso meramente apodittica, come laddove ha superato l’ipotesi del ritardo nel trattamento della crisi convulsiva col mero rilievo che tutto è avvenuto in sala operatoria e in un momento di massimo impegno del personale (il che nulla dice sul fatto che il trattamento sia stato in concreto tempestivo) e laddove si è limitato ad affermare che il “trattamento è stato tempestivo e corretto”, pur rilevando – al contempo – che la cartella clinica non dà conto dell’intervallo temporale fra l’insorgenza della crisi ed il trattamento; per il resto, la Corte si è spesa a spiegare perchè “le osservazioni dei Ctu svolte in sede penale colgano nel segno”, ma non si è preoccupata di confutare specificamente le contrarie osservazioni dei consulenti della c.t.u. e, anzi, non ne ha dato neppure conto: il che integra una tipica ipotesi di adesione acritica alle risultanze delle consulenze svolte in sede penale.

Il motivo va dunque accolto sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (in linea con i precedenti sopra richiamati), con cassazione e rinvio alla Corte di merito, affinchè rivaluti compiutamente i profili tecnici della vicenda.

5. Il quarto motivo (che denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. e difetto di istruttoria in violazione dell’art. 118 c.p.c., per aver omesso la Corte di appello di pronunciare su un motivo di gravame ed aver emesso una sentenza “ultra petita” (…), omettendo anche di rimettere la causa in istruttoria per assumere le prove a discarico richieste dalle appellate ed allegate alle note di replica del 16.12.2016″) è inammissibile in quanto l’illustrazione del motivo contiene doglianze che non sono riconducibili ai paradigmi dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 118 c.p.c..

6. Col quinto motivo, viene dedotta la “violazione dell’art. 188 c.p.c., per avere ritenuto la causa matura per la decisione senza consentire agli appellati-ricorrenti per cassazione di provare le proprie ragioni mediante – a questo punto – anche la valutazione degli altri atti penali del Proc. Pen. n. (OMISSIS) RGNR, che smentiscono o, comunque, svuotano di pregio la valutazione medico legale resa dal CTPM”.

6.1. Il motivo è inammissibile in quanto il vizio dedotto non è idoneo a individuare, di per sè, una lesione del diritto alla difesa delle appellate, che – nella prospettazione delle ricorrenti – non deriva dall’avere la Corte ritenuto la causa matura per la decisione, ma dall’aver fondato la decisione sulle relazioni dei CTPM, anzichè sulla c.t.u. svolta in primo grado (peraltro, dall’illustrazione del motivo emerge che l’ordinanza del GIP di Bologna – che conterrebbe elementi idonei a incidere negativamente sull’attendibilità della relazione dei CTPM – era stata già prodotta, in allegato alla memoria di replica delle appellate).

7. Il sesto motivo, che denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 652 c.p.c., è palesemente infondato in quanto non è configurabile (nè la sentenza impugnata l’ha in alcun modo adombrata) una qualche efficacia di giudicato nel rapporto fra le consulenze svolte in sede penale e il giudizio civile.

8. Il settimo motivo (“violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2697 c.c., L. n. 608 del 1996, art. 9 bis, commi 1, 2 e 3, L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 12; omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”) è inammissibile: la violazione dell’art. 2697 c.c., non è dedotta sotto il profilo dell’erroneo riparto dell’onere probatorio, ma quale conseguenza di un errore nella valutazione delle prove, convergenti – secondo l’assunto delle ricorrenti – nel senso della responsabilità della struttura sanitaria; il richiamo alle altre norme (in tema di collocamento e di opposizione a sanzioni amministrative) è del tutto inconferente; infine, il vizio motivazionale non è dedotto in conformità al testo novellato dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

9. L’ottavo motivo (che denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 41 c.p., artt. 1223,1226,2043 e 2236 c.c., nonchè “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia” e che contesta il risultato finale dell’accertamento compiuto dalla Corte di merito, considerato “frettoloso” e non motivato in punto di individuazione della causa del danno ipossico) è assorbito a seguito dell’accoglimento del secondo e terzo motivo (comportante la necessità di accertare nuovamente la causa dell’ipossia).

10. Rigettati gli altri motivi, la sentenza va dunque cassata, in accoglimento del secondo e del terzo motivo, assorbito l’ottavo, con rinvio alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione.

11. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie il secondo e il terzo motivo, con assorbimento dell’ottavo, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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