Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29842 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. I, 18/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 18/11/2019), n.29842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32019/2018 proposto da:

A.A.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Daniele

Accebbi, domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello

Stato. che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

01/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2019 da GORI PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto n. 5242 depositato il 1.10.2018 nella controversia iscritta all’RGN 9709/2017 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da A.A.B., nato in Benin il 31.10.1990, in impugnazione del provvedimento prefettizio di diniego notificatogli il 30.8.2017 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona. In particolare il ricorrente deduceva di aver lasciato il Benin l’8.4.2016 per giungere in Italia un paio di mesi dopo, ricercato dalla polizia per aver attivamente partecipato a brogli elettorali in favore del partito FCBE, a causa dei quali era stato aggredito a casa sua da un gruppo di persone, tra cui membri di partiti avversari i quali avevano perso il primo turno delle elezioni tenutesi il 6.3.2016 e pretendevano da lui le tessere elettorali con cui aveva consentito di partecipare al voto ad un certo numero di cittadini togolesi, e che aveva nascosto prima di essere casualmente scoperto.

Chiedeva pertanto il riconoscimento del suo diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, alla protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007 o ancora il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Avverso la decisione il richiedente ha notificato in data 29.10.2018 ricorso, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – senza indicazione del pertinente paradigma processuale, individuabile comunque nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il richiedente denuncia la violazione D.P.R. n. 394 del 1999, art. 2, lett. e), artt. 5, 7 e 14 (D.Lgs. n. 251 del 2007, per lo status di rifugiato e di persona avente diritto alla protezione sussidiaria, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, nonchè art. 11, comma 1, lett. c-ter), per la protezione umanitaria, per aver la CTR indebitamente negato i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria, non valutando correttamente le dichiarazioni del richiedente. Nel corpo del motivo viene evidenziata, tra l’altro, ai fini della richiesta protezione umanitaria, l’elevata integrazione sociale raggiunta dal richiedente in Italia, e reso noto che dal settembre 2018 egli aveva trovato lavoro come bracciante agricolo in provincia di Verona.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – si deduce il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti in punto di onus probandi, cooperazione istruttoria in capo al giudice e criteri normativi di valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni rese dal richiedente.

I motivi, strettamente connessi in quanto relativi all’applicazione del canone dell’onere della prova, possono essere affrontati congiuntamente e sono infondati. La Corte rammenta che “In materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01). Fermo restando il divieto di nova, come le allegazioni in fatto sul lavoro da bracciante a partire da settembre 2018, nel caso di specie la decisione censurata non ha omesso di valutare le condizioni socio-politiche della zona e del Paese d’origine del richiedente e di valutare compiutamente gilts,situazione soggettiva dello stesso anche facendo uso di poteri-doveri officiosi in punto di prova, ma ha preso una decisione nel merito a riguardo, supportata da specifiche fonti informative, incrociando tali dati con le dichiarazioni rese. La decisione impugnata ha infatti innanzitutto evidenziato sei nuclei di contraddizione/inverosimiglianza nelle dichiarazioni del richiedente in merito alla scoperta della sua partecipazione ai brogli e alle modalità con cui sarebbe stato aggredito in conseguenza di ciò, disamina operata in primo luogo sulla base del controllo di logicità del racconto del richiedente.

La valutazione compiuta dal giudice del merito a riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati. Più in generale, sulla base delle fonti internazionali disponibili non risulta che il Benin sia un luogo di violenza generalizzata rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e, anche sotto questo profilo, la censura si rivela essere diretta ad un riesame degli elementi di fatto della fattispecie.

Quanto al profilo motivazionale sopra dedotto, la Corte osserva che la decisione ha richiamato attendibile documentazione di osservatori locali e internazionali sulle operazioni elettorali del 6 e 20 marzo 2016 tenutesi in Benin (UDOS – US Department of State: County Report on Human Rights Practices 2016 – Benin, 3 March 2017; rapporto Easo sul Benin, aggiornato a settembre 2018), in cui non vi è riscontro delle vistose anomalie denunciate dal richiedente e che avrebbe attivamente contribuito a causare. A fronte di ciò il ricorso non evidenza alcun elemento conoscitivo in senso contrario circa il presupposto del racconto, ossia i brogli elettorali generali dal dichiarante, mentre si dilunga in merito alle conseguenze del racconto, ossia il rischio di una pericolosa detenzione, citando fonti conoscitive circa la condizione carceraria e di corruzione negli apparati delle forze dell’ordine.

Con il terzo motivo – sempre senza individuare il pertinente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, comunque individuabile nel n. 3 – il richiedente allega la violazione dell’art. 3 CEDU e art. 33 Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, per violazione del principio di non refoulement.

Il motivo è infondato. Va rammentato al proposito che “Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma in relazione ad una condizione di vulnerabilità in capo al richiedente, assumendo al riguardo rilievo, in assenza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, quantomeno la credibilità soggettiva del medesimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva negato la protezione umanitaria in capo al ricorrente che, oltre a non fornire la prova circa la sussistenza di una condizione di vulnerabilità, aveva reso un racconto non credibile circa la propria vicenda personale)” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11267 del 24/04/2019, Rv. 653478 – 01).

La sentenza censurata anche sotto il profilo oggetto dell’ultimo motivo è rispettosa dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, e non motiva semplicemente in ragione della ritenuta non attendibilità delle dichiarazioni del richiedente circa la propria vicenda personale, secondo cui non risulta essere esposto a rischio concreto ed imminente di morte o trattamento inumano e degradante in Benin. Infatti, non è dimostrata l’esistenza di particolari profili di vulnerabilità, tanto generale, in quanto la regione stia vivendo una situazione di diffusa e sistematica violenza di entità tale da rilevare ai fini del riconoscimento anche della protezione sussidiaria, quanto personale. Inoltre, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455/2018), l’inserimento lavorativo, linguistico e affettivo del richiedente costituisce un fattore concorrente, ma non sufficiente da solo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre oltre4pese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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