Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29837 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25451/2019 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in Milano, via Lamarmora, n.

42, presso lo studio dell’avv.to GIACINTO CORACE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 17 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da A.M.C., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di essere espatriato perchè si era innamorato della sorella di un funzionario comunale del villaggio dove andava a prendere il latte e aveva intrapreso una relazione clandestina con tale ragazza che poi era rimasta incinta. Il richiedente, per non far scoprire il fatto ai genitori di lei, l’aveva nascosta per un mese presso la casa dove abitava con i propri genitori. La famiglia della ragazza lo aveva sospettato del rapimento della figlia, così i due erano scappati a (OMISSIS) dove si erano sposati. A causa di queste vicende i genitori della ragazza avevano fatto arrestare suo padre accusandolo del rapimento della figlia ed egli era poi stato liberato solo a patto di contattare il figlio e la ragazza per farla tornare dai suoi genitori. In seguito, il richiedente era stato raggiunto a (OMISSIS) da alcuni sicari pagati presumibilmente dai familiari della donna che non avendolo trovato avevano ucciso la moglie e ferito alla gamba il padre. Il richiedente era scappato assieme ai genitori e al figlio e aveva tentato il suicidio; non aveva denunciato l’uccisione alla polizia essendo questa corrotta e su suggerimento del padre aveva deciso di lasciare il paese. Alla domanda sulla data di nascita del figlio non aveva saputo rispondere e aveva riferito di temere di essere ucciso dai familiari della ragazza in caso di rientro nel paese.

Il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, del tutto implausibile e priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto. In ogni caso i fatti non integravano i presupposti per il riconoscimento della protezione nazionale nè con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, nè di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali il Pakistan non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non essendo stata nè allegata nè dimostrata alcuna di quelle situazioni di vulnerabilità anche temporanea tale da legittimare la richiesta della protezione umanitaria. L’assunzione a tempo determinato, peraltro scaduta, non comprovava alcun radicamento in Italia.

3. A.M.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa

applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione e minacce subite nel proprio paese ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La censura attiene alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente omettendo di svolgere qualsivoglia adempimento istruttorio al fine di tentare di chiarire i dubbi di credibilità che la commissione territoriale ha sollevato e che il ricorrente ha puntualmente contestato nonchè di esaminare la situazione politica e sociale nella quale si inserivano i suddetti fatti. Il Tribunale avrebbe anche omesso di applicare parametri normativi relativi alla definizione di atti persecutori nell’ambito privato e familiare.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Omesso esame di fatti decisivi; Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 Cedu. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione Edu, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32.

Il ricorrente ritiene che la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente non credibili nonostante la loro coerenza e plausibilità, anche rispetto alle informazioni generali e specifiche pertinenti al caso. Il Tribunale avrebbe omesso qualsiasi collaborazione per reperire i riscontri alle allegazioni con violazione dei parametri normativi sull’onere della prova attenuato.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa della sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7, 14, 16, 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 10 Cost.. Omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione ai presupposti della protezione umanitaria; mancanza, o quantomeno, apparenza della motivazione e nullità della sentenza per violazione di varie disposizioni – artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6.

La sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ha respinto la domanda del ricorrente affermando che la situazione personale, complessivamente valutata, non evidenzia uno stabile inserimento nella realtà socio-lavorativa, nè un apprezzabile livello di integrazione, ritenendo, pertanto, non sussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Il giudice del merito avrebbe dovuto acquisire elementi utili compiendo un’attività d’ufficio al fine di valutare anche la situazione del paese di provenienza e la sussistenza di rischi in caso di rientro. Inoltre, il giudice non avrebbe considerato il radicamento sul territorio italiano provato anche mediante allegazione di un regolare contratto di lavoro.

3. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale di Milano ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che il Pakistan non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Pakistan, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo al non aver tenuto conto della situazione generale del paese di origine.

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, l’esistenza di una situazione di integrazione oltre che di una situazione di particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa. La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. Il racconto del ricorrente peraltro non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza dalla Pakistan e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

4. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero dell’Interno rimasto intimato.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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