Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29837 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 20/11/2018), n.29837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIANNITTI Pasquale – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12912/2016 R.G. proposto da:

Assicuratori dei Lioyd’s, in persona del rappresentante generale per

l’Italia, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Roberto Bagnardi e

Marco Ferrano, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma,

viale Regina Margherita, n. 278;

– ricorrente –

contro

P.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Alfonso Lerro,

domiciliato ex art. 366 c.p.c., comma 2, in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

C.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Paviotti,

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Canina, n. 6;

– controricorrente –

G.C., F.G., Equitalia Nord s.p.a.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste depositata il 18

novembre 2015;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere

Cosimo D’Arrigo;

letta la sentenza impugnata;

letti il ricorso ei controricorsi.

Fatto

RITENUTO

che:

con atto di citazione del 16 giugno 2011, i coniugi P.A. e G.C., acquirenti in una compravendita immobiliare, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Pordenone la venditrice F.G. (madre del P.), nonchè il notaio C.P., invocando la responsabilità contrattuale della prima per aver taciuto agli acquirenti che una porzione dell’immobile era ipotecata e del secondo per non aver segnalato, al momento del rogito, l’esistenza della formalità pregiudizievole, di cui gli attori avevano avuto conoscenza solo successivamente, in occasione di un finanziamento richiesto ad un istituto di credito.

La F. restava contumace.

Il C. contestava ogni addebito, chiamando in garanzia il Rappresentante generale per l’Italia degli Assicuratori Lloyd’s, presso cui era assicurato per la responsabilità professionale, da cui chiedeva di essere manlevato in caso di eventuale condanna.

Si costituiva in giudizio anche Equitalia Nord s.p.a., nella qualità di creditrice ipotecaria, che non prendeva posizione sulle domande delle parti, limitandosi a precisare che il residuo credito garantito ammontava a Euro 80.163,30.

Il Tribunale di Pordenone accoglieva parzialmente la domanda degli attori, limitando il risarcimento del danno alla metà del valore della porzione di immobile ipotecata (il lastrico solare), pari ad Euro 9.500,00, al cui pagamento condannava i convenuti in solido. Accoglieva anche la domanda del C. nei confronti della compagnia assicurativa, che veniva condannata a tenerlo indenne, salva l’applicazione della franchigia contrattuale.

La sentenza veniva appellata dagli acquirenti, che insistevano per l’accoglimento integrale della loro domanda. Resistevano il C. e la società assicurativa. La F. restava contumace anche in grado d’appello. Anche Equitalia Nord s.p.a. non si costituiva.

La Corte d’appello di Trieste accoglieva l’impugnazione, rideterminando l’importo capitale dovuto dal C., nonchè dagli Assicuratori dei Lloyd’s a titolo di garanzia, in Euro 51.500,00, con condanna solidale degli appellati alla refusione delle spese di lite.

Avverso tale pronuncia gli Assicuratori dei Lloyd’s propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi. P.A. resiste con controricorso. C.P. ha presentato controricorso in adesione al ricorso proposto dalla sua compagnia assicurativa. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il pubblico ministero non ha ritenuto di rassegnare le proprie conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.. Le censure riguardano la sentenza impugnata nella parte, pur riconoscendo che “è innegabile che gli appellanti non rispettino con ortodossia i requisiti formali previsti dalla norma in parola”, non ha tuttavia dichiarato l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c.. In particolare, sostiene la società ricorrente che l’appello formulato da P. e G. non evidenziava quali sarebbero stati gli errori commessi dal giudice di primo grado, nè censurava adeguatamente il fondamento logico-giuridico del ragionamento seguito.

Il motivo è inammissibile.

L’affermazione, fatta dalla corte d’appello, circa la non “ortodossa” osservanza dei requisiti formali posti dall’art. 342 c.p.c., non equivale all’accertata violazione dei requisiti minimi di ammissibilità dell’atto di impugnazione.

Tanto più ove si consideri che è escluso che l’atto di appello debba rivestire forme sacramentali o contenere un progetto alternativo di decisione, essendo sufficiente che l’impugnazione individui chiaramente le questioni ed i punti contestati della sentenza impugnata, affiancandosi alla parte volitiva una parte argomentativa che contrasti le ragioni del provvedimento oggetto di censura (Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017 Rv. 645991 – 01).

L’assenza di “ortodossia” nel rispetto dei requisiti formali di cui all’art. 342 c.p.c., non rileva quindi quale automatica causa d’inammissibilità dell’appello, laddove la corte territoriale abbia ritenuto, come è avvenuto nel caso di specie, comunque sufficientemente ed adeguatamente censurata la pronuncia di primo grado, tanto da accogliere il gravame nel merito.

Avuto riguardo alla corretta interpretazione dell’art. 342 c.p.c., quale risulta dalla pronuncia delle Sezioni unite sopra richiamata, risulta destituito di fondamento anche l’ulteriore rilievo nel quale si articola il motivo in esame. Infatti, nell’atto d’appello è possibile individuare con sufficiente nettezza l’individuazione dei punti contestati della sentenza impugnata e le argomentazioni poste a sostegno dell’impugnazione.

2.1 Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c..

In particolare, la ricorrente censura la pronuncia impugnata nella parte in cui ha omesso di considerare che la mancata conoscenza, da parte degli acquirenti, dell’ipoteca gravante sull’immobile al momento della costruzione del lastrico solare era stata, in realtà, specificamente contestata nella comparsa di costituzione e risposta dal C.. L’omesso esame di tale contestazione avrebbe erroneamente indotto la corte d’appello a riformare, in senso peggiorativo per i convenuti, la decisione di primo grado.

2.2 Il motivo di ricorso, presentato sotto la veste di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce infatti nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, oggetto di discussione tra le parti ed avente carattere decisivo, nel senso che il suo esame avrebbe potuto condurre ad un differente esito del giudizio (Sez. 6 – 5, Ordinanza. n. 23238 del 04/10/2017 – Rv. 646308).

La contestazione in giudizio di quanto sostenuto da controparte non costituisce un “fatto storico”, sicchè l’omesso di tale aspetto non rientra nel perimetro delineato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il “fatto” non è neppure decisivo. Infatti, le conclusioni cui è pervenuta la corte d’appello non si basano solamente sulla mancata contestazione da parte del C., ma anche su una prova logica (“E’ pacifico che gli odierni appellanti ignoravano l’esistenza dell’ipoteca, altrimenti non avrebbero costruito”).

2.3 Alla medesima valutazione di inammissibilità deve pervenirsi anche in ipotesi di riqualificazione del motivo sotto il diverso paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Infatti, anche a voler intendere la censura nel senso che la corte territoriale non avrebbe fatto corretta applicazione delle disposizioni in tema di onere probatorio – così violando l’art. 2697 c.c. e l’art. 115 c.p.c. -resta fermo il fatto che la doglianza censura solo uno degli argomenti alla base della pronuncia impugnata, senza scalfire minimamente l’altro, costituito dalla deduzione logica di cui si è detto.

Poichè, in sostanza, qui si discute della ricostruzione della vicenda in punto di fatto, il motivo finisce comunque per prospettare una censura non ammissibile in questa sede.

3.1 Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 c.c.. Osservano i ricorrenti che la corte d’appello, nel condannare al risarcimento del danno, nella maggiore misura disposta, il solo notaio C. ed il garante Lloyd’s of London, ma non anche la venditrice F.G., avrebbe violato il principio della responsabilità solidale dei danneggianti di cui all’art. 2055 c.c.. In realtà, pur senza formalizzarlo espressamente, la ricorrente ha denunciato anche la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Infatti, il tribunale aveva infatti dichiarato la responsabilità solidale del C. e della F. e gli appellanti avevano richiesto il risarcimento del maggior danno da parte di tutti i soggetti già condannati in primo grado, cioè sia il notaio sia la venditrice.

Pertanto, a parere della ricorrente, ha errato la corte d’appello che, nel condannare il C. al pagamento del diverso ammontare (Euro 51.500,00, anzichè Euro 9.500,00) ha inspiegabilmente escluso dal dispositivo la F..

3.2 I motivo è fondato.

L’errore commesso dalla corte territoriale è evidente. L’appello era stato proposto anche nei confronti della F., come risulta anche dalla sentenza impugnata (si vedano le conclusioni degli appellanti riportate a pag. 4). E’ dunque ovvio che, nel riformare la sentenza di primo grado, la corte d’appello avrebbe dovuto pronunciarsi anche sulla posizione della F., la quale invece non figura neppure nell’intestazione della sentenza.

Si pone il problema, semmai, se a dolersi di tale omissione possa essere la società assicuratrice chiamata in causa dal C., piuttosto che gli appellanti.

Al quesito, però, occorre dare risposta positiva.

L’art. 2055 c.c., trova applicazione ogniqualvolta un evento dannoso, unico rispetto al danneggiato, risulti causalmente derivante da condotte, anche autonome e temporalmente distinte, di più soggetti diversi, purchè tutte concorrenti alla produzione del danno (anche se a diverso titolo di responsabilità). Nello stabilire la responsabilità solidale di tutti i soggetti ai quali è imputabile il fatto dannoso, quindi, la norma in esame prevede certamente un principio di tutela in favore del danneggiato, la cui garanzia risulta rafforzata alla luce della possibilità di rivolgersi per l’intero risarcimento a ciascuno dei soggetti responsabili, senza doverli perseguire ciascuno pro quota.

Risulta tuttavia innegabile che un interesse alla declaratoria di solidarietà sussista in capo anche a ciascuno dei responsabili del fatto illecito. Infatti, l’esclusione degli altri dalla condanna solidale determinerebbe, in capo all’unico danneggiante ritenuto legittimato passivo, la certezza di essere escusso e, al contempo, impedirebbe allo stesso la possibilità di agire in regresso. Risulterebbe quindi preclusa la possibilità, certamente a lui più favorevole, che il pagamento venga richiesto ad un altro dei corresponsabili, così come quella di recuperare presso i coobbligati parte di quanto egli sia costretto a pagare.

Tali considerazioni vanno tenute ferme, a maggior ragione, con riferimento alla compagnia assicurativa chiamata in manleva da uno solo dei coobbligati solidali, in quanto, essendo tenuta a tenere indenne l’assicurato da quanto sarà definitivamente condannato a pagare, ha uno specifico interesse a che quest’ultimo sia ritenuto corresponsabile del fatto illecito, anzichè unico responsabile.

4. La sentenza impugnata pertanto, deve essere cassata in relazione al motivo accolto.

Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile – ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, decidere nel merito, pronunciando l’estensione a F.G. in via solidale della condanna già pronunciata nei confronti del P..

La F., tuttavia, non va condannata al pagamento delle spese processuali del grado di appello, in quanto queste dovrebbero andare in favore degli appellanti, che invece non hanno impugnato la sentenza.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate fra le parti, stante l’accoglimento solo parziale del ricorso degli Assicuratori dei Lloyd’s e del controricorso adesivo del P..

P.Q.M.

rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, estende la condanna solidale a F.G..

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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