Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29835 del 12/12/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/12/2017, (ud. 04/10/2017, dep.12/12/2017),  n. 29835

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza resa in data 25/7/2016, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da N.E., N.L., C.N. e C.S., e in parziale riforma della sentenza dì primo grado, ha rigettato la domanda proposta dalla Società Industria Italiana Caffè s.r.l. per la condanna delle controparti al pagamento, in proprio favore, dell’indennità per la perdita dell’avviamento (di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34), in relazione a un contratto di locazione commerciale intercorso tra le parti;

che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la mancata dimostrazione, da parte della società appellata, della sussistenza dei presupposti per il conseguimento dell’indennità rivendicata, non avendo la conduttrice fornito la prova dello svolgimento, all’interno dell’immobile locato, di un’attività di vendita al dettaglio esercitata con carattere di prevalenza rispetto a quella congiuntamente esercitata all’ingrosso all’interno del medesimo locale;

che avverso la sentenza d’appello, la Società Industria Italiana Caffè s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che N.E., N.L., C.N. e C.S., resistono con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380 -bis la Società Industria Italiana Caffè s.r.l. ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta acquisizione della prova della sussistenza dei presupposti per il conseguimento, da parte della società ricorrente, dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale rivendicata, in contrasto con le chiare risultanze documentali acquisite agli atti del giudizio;

che il motivo è inammissibile.

che, al riguardo, osserva il collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01);

che, peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01);

che, nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale) – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – si è limitato a denunciare un (preteso) cattivo esercizio, ad opera della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;

che, peraltro, sulla base dell’interpretazione del complesso degli elementi istruttori acquisiti (non adeguatamente contrastata dall’odierna società ricorrente), il giudice a quo, avendo accertato l’insussistenza di alcuna prova certa in ordine alla natura (al dettaglio o all’ingrosso) dell’attività di vendita esercitata dalla società ricorrente all’interno dell’immobile locato, si è correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (che il Collegio condivide e fa proprio, intendendo assicurarne continuità) ai sensi del quale l’indennità per la perdita dell’avviamento di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 35, non compete al conduttore cessato nei casi in cui l’attività di vendita sia avvenuta, in termini di prevalenza, con operatori professionali e fuori da un diretto contatto con il pubblico indifferenziato degli utenti e dei consumatori, (Sez. 3, Sentenza n. 11896 del 24/11/1998, Rv. 521053 – 01), con la conseguenza che, in caso di esercizio congiunto di vendita all’ingrosso e di vendita al minuto, il diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento può essere riconosciuto solo quando l’attività di vendita al minuto abbia rivestito carattere di prevalenza rispetto all’altra, e sia avvenuta con modalità comportanti contatto diretto con il pubblico (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1232 del 10/02/1997, Rv. 502319 – 01);

che, con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 92 c.p.c. e dell’art. 11 disp. prel. c.c., per avere la corte territoriale erroneamente condannato l’odierna ricorrente al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio, provvedendovi, peraltro, sulla base dell’applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 in violazione del principio che esclude l’applicazione retroattiva delle norme di legge;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, infatti – premessa la corretta applicazione, da parte del giudice a quo, del principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., in ordine a entrambi i gradi del giudizio (essendo la società ricorrente rimasta integralmente soccombente rispetto a tutte le domande proposte nel corso del giudizio) – al caso di specie deve trovare applicazione l’orientamento fatto proprio da questa corte di legittimità ai sensi del quale, in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, i nuovi parametri, in base ai quali vanno commisurati i compensi forensi in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto purchè, a tale data, la prestazione professionale non sia ancora completata, sicchè non operano con riguardo all’attività svolta in un grado di giudizio conclusosi con sentenza prima dell’entrata in vigore, atteso che, in tal caso, la prestazione professionale deve ritenersi completata sia pure limitatamente a quella fase processuale (Sez. 6 – 2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2016, Rv. 638855 – 01);

che, viceversa, nel caso di specie, essendosi il giudizio di primo concluso con sentenza depositata in data 23/4/2013 (successivamente all’entrata in vigore del d.m. cit), correttamente il giudice a quo ha determinato le spese del doppio grado di giudizio sulla base dell’applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014;

che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, rilevata la complessiva infondatezza del ricorso, dev’esserne pronunciato il rigetto, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 4 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2017

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