Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29834 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 30/12/2020), n.29834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21771/2019 R.G. proposto da:

J.F., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Civitanova Marche, alla via

Fermi, n. 3, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lufrano, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 7744/2019 del Tribunale di Ancona;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 3 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. J.F., cittadino della (OMISSIS), originario della città di (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che era cresciuto, senza padre, nel paese d’origine in condizioni di estrema povertà; che un amico gli aveva offerto di lavorare nel settore dell’edilizia e dopo alcune settimane di lavoro era stato condotto in Libia, ove si avvedeva di essere stato venduto a sua insaputa; che dopo alcuni mesi era fuggito dalla Libia e nel luglio del 2017 aveva raggiunto l’Italia.

2. La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 7744/2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da J.F. avverso il provvedimento della commissione territoriale.

Evidenziava il tribunale che era poco credibile che il ricorrente ignorasse di esser trasportato in un luogo lontano dal suo paese d’origine; che in ogni caso le dichiarazioni del ricorrente, pur reputate attendibili, davano conto di una vicenda privata e dunque dell’insussistenza di violazioni dei diritti umani.

Evidenziava altresì che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso J.F.; ne ha chiesto sulla base di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente, ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza pubblica.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis.

Deduce che, a fronte delle sue dichiarazioni, il tribunale avrebbe dovuto avvalersi dei poteri istruttori officiosi, onde acquisire informazioni in ordine alla capacità delle autorità costituite del suo paese d’origine di assolvere le funzioni a tutela dei cittadini.

Deduce inoltre che l’affermazione del tribunale, secondo cui avrebbe abbandonato il suo paese d’origine per necessità economiche, non è adeguatamente supportata sul piano motivazionale.

6. Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

7. L’affermazione del tribunale, secondo cui si è al cospetto di “una vicenda di vita privata e di miglioramento socio – economico” (così decreto impugnato, pag. 2), si correla all’univoco tenore delle dichiarazioni del ricorrente, invero ribadite pur nel ricorso (cfr. pag. 3, ove il ricorrente ha riferito della sua estrema povertà).

Cosicchè la prospettazione del ricorrente, secondo cui, in parte qua, l’assunto del tribunale “appare (…) non essere basato su alcun elemento di fatto idoneo a supportarlo” (così ricorso, pag. 4), è del tutto ingiustificata.

8. Vero è, d’altra parte, che anche i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. (ord.) 1.4.2019, n. 9043).

E nondimeno in maniera più che congrua il tribunale ha reputato che fosse poco credibile che J.F. ignorasse di esser trasportato in Libia.

Cosicchè soccorre l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non solo riguarda tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; ma a tenor del quale, inoltre, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo ad un ulteriore approfondimento istruttorio, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

9. In tal guisa non vi era necessità alcuna chè il tribunale, mercè i suoi poteri istruttori officiosi, acquisisse informazioni circa l’efficienza degli apparati di polizia e giudiziari dello Stato nigeriano.

10. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; il vizio di motivazione apparente.

Deduce che ha errato il tribunale a negargli la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), cit., tanto più in considerazione dei poteri istruttori officiosi di cui il giudice del merito è investito.

Deduce invero che dal rapporto “EASO” del novembre 2018 si evince che la violenza diffusa ed indiscriminata coinvolge l’intero territorio nigeriano, che le attività criminali del gruppo terroristico “Niger Delta Avengers” si protraggono tuttora, che l’Edo State è tra gli Stati più violenti della delta del Niger.

11. Il secondo motivo di ricorso del pari è destituito di fondamento.

12. Ovviamente, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

13. Su tale scorta, nel segno della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si osserva quanto segue.

Per un verso, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della citata pronuncia delle sezioni unite, si scorge nelle motivazioni alla stregua delle quali il Tribunale di Ancona ha disconosciuto la protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c).

Difatti il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare il tribunale ha evidenziato, alla luce delle risultanze di talune fonti di informazione – quali quelle, pubblicate il 10.5.2019, del Centro austriaco per la ricerca e la documentazione sui paesi d’origine e asilo – che i territori nigeriani del sud, di provenienza del ricorrente, non sono interessati da conflitti armati o da violenze generalizzate, sì da comportare per i civili colà residenti un concreto rischio per la loro vita e personale incolumità.

Per altro verso, il tribunale ha indiscutibilmente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi in astratto prefigurata dell’art. 14 cit., lett. c).

Per altro verso ancora, il ricorrente, in fondo, non adduce a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazioni più recenti sulla situazione sociopolitica attualmente esistente in Nigeria (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

14. In questo quadro, analogamente, per nulla si prefigurava la necessità che, ai fini della protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c), il tribunale si avvalesse dei suoi poteri istruttori officiosi.

15. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione umanitaria. Deduce che il tribunale, pur sulla scorta dei suoi poteri istruttori officiosi, avrebbe dovuto attendere al riscontro della condizione di elevata vulnerabilità, in cui si ritroverebbe qualora rimpatriato, con una valutazione differenziata rispetto a quella operata con riferimento alle protezioni cosiddette “maggiori”.

16. Il terzo motivo di ricorso parimenti è destituito di fondamento.

17. Senza dubbio la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione (cfr. Cass. (ord.) 7.8.2019, n. 21123).

18. Su tale scorta si rimarca che il tribunale, in tema di protezione umanitaria, nel quadro della debita valutazione comparativa, ha assunto, sì, che il ricorrente, qualora rimpatriato, non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità sia in considerazione della natura privata della vicenda che lo aveva indotto ad espatriare (cfr. decreto impugnato, pag. 2) sia in considerazione delle condizioni di sufficiente pacificazione della regione nigeriana di sua origine.

E però a disconoscimento della condizione di elevata vulnerabilità il tribunale ha soggiunto che difettava qualsivoglia allegazione a riscontro del radicamento del ricorrente nel tessuto socioeconomico italiano (cfr. decreto impugnato, pag. 9).

Ebbene, allorchè adduce che in sede di disconoscimento della protezione umanitaria è mancata la necessaria autonoma valutazione, il ricorrente neppure censura il testè riferito passaggio della motivazione dell’impugnato dictum.

19. Si tenga conto, da ultimo, che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. (ord.) 3.2.2020, n. 2355).

20. Il Ministero dell’Interno sostanzialmente non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

21. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

 

 

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