Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29833 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. un., 18/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 18/11/2019), n.29833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17371-2019 proposto da:

F.S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato CARLO TAORMINA, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso le ordinanze n. 44/2019 depositata il 10/05/2019 e n. 93/2019

depositata il 01/08/2019 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Carlo Taormina.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La Dott.ssa F.S.M., magistrato, addetta dal 2009 alla Sesta Sezione civile del Tribunale di Catania, competente in materia di esecuzioni immobiliari, ha proposto ricorso per cassazione (rg. 17371 del 2019), affidato a tre motivi, avverso l’ordinanza del 30 aprile/15 maggio 2019 che ne aveva disposto la sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, nonchè il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, a norma del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 22 con corresponsione di un assegno alimentare nella misura di legge, avendo ritenuto sussistente il fumus degli illeciti disciplinari contestati, in relazione a sette degli otto capi di incolpazione formulati dal Ministro della giustizia.

1.1.- La Sezione ha positivamente delibato la sussistenza dei requisiti della massima misura cautelare, in considerazione della molteplicità, gravità e reiterazione delle condotte illecite imputate dalla Dott.ssa S. e del concreto rischio derivante dalla prosecuzione dell’attività giurisdizionale; ha ritenuto non pertinente, ai fini valutativi, l’intervenuto trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale con la privazione delle funzioni monocratiche, disposto con provvedimento del Plenum del Csm in data 21 marzo 2019, trattandosi di una misura amministrativa prevista esclusivamente per i fatti non colpevoli e non integranti illecito disciplinare che abbiano compromesso la possibilità di esercitare nel distretto le funzioni giurisdizionali con imparzialità.

Gli illeciti contestati sono consistiti nella consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge (art. 2, comma 1, lett. c), nell’avere tenuto comportamenti reiteratamente e gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni e di altri magistrati del medesimo ufficio (lett. d) e nella grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile (lett. g), fatti che determinavano una incompatibilità dell’incolpata con l’esercizio delle funzioni giudiziarie in qualunque luogo o funzione, essendo rivelatori di mancanza di equilibrio, di imparzialità e assenza di consapevolezza delle ruolo del giudice (art. 1, comma 1).

1.1.1.- In relazione al capo 1) della incolpazione (ex art. 2, lett. d), la Sezione ha ritenuto esistente il fumus dell’illecito, avendo valutato come gravemente scorretta la condotta dell’incolpata per avere utilizzato un provvedimento giudiziario per esprimere giudizi denigratori sull’operato di altri magistrati e delle parti nei procedimenti esecutivi di cui la S. era assegnataria, essendo priva di rilevanza la eventuale ed asserita fondatezza dei suddetti giudizi.

1.1.2.- In relazione al capo 3) della incolpazione (ex art. 2, lett. d), la Sezione ha ravvisato il fumus dell’illecito, ritenendo gravemente scorrette le valutazioni inserite nell’ordinanza depositata il 12 ottobre 2018, riguardante altra procedura esecutiva (rg. n. 96/2017), con le quali la Dott.ssa S. aveva commentato negativamente l’istanza di ricusazione avanzata da Riscossione Sicilia Spa nei suoi confronti, ritenendola espressione di un disegno unitario facente capo al legale della società, avv. Fi.An., alla Dott.ssa A.M. (presidente di sezione) e al Dott. D.M.B. (presidente del Tribunale), diretto a rimuoverla dall’incarico di giudice delle esecuzioni immobiliari. Ad avviso del giudice disciplinare, non rilevava che quelle valutazioni fossero fondate o no, essendo disciplinarmente rilevante il fatto di averle inserite in un provvedimento giurisdizionale.

1.1.3.- In relazione al capo 4) dell’incolpazione (ex art. 2, lett. g), la Sezione ha giudicato arbitrario il comportamento della Dott.ssa S. per non avere sospeso la suddetta procedura esecutiva nè trasmesso l’istanza di ricusazione al Presidente del Tribunale e per avere proseguito la trattazione commentando l’istanza nei termini di cui si è detto, mentre avrebbe dovuto astenersi, essendo imputata del reato di tentata concussione in un procedimento penale nel quale Riscossione Sicilia era costituita parte civile, senza che possa darsi rilievo all’asserita infondatezza delle ragioni poste a base della medesima istanza.

1.1.4.- In relazione ai capi 5) e 6) (ex art. 2, lett. c), la Sezione ha ravvisato il fumus dell’illecito per non essersi astenuta in numerosi procedimenti di esecuzione immobiliare nei quali Riscossione Sicilia Spa era parte, tenuto conto che la Dott.ssa S. era imputata nel già menzionato procedimento penale nel quale era accusata di avere compiuto atti univocamente diretti a costringere funzionari di Riscossione Sicilia a cancellare procedure esecutive intentate nei suoi confronti – non rilevando che nei procedimenti esecutivi detta società non avesse in ipotesi titolo ad intervenire – e che essa stessa era parte in due giudizi contenziosi relativi a pignoramenti derivanti dal mancato pagamento di tasse iscritte a vario titolo.

1.1.5.- In relazione al capo 7) di incolpazione (ex art. 2, lett. d), la Sezione ha ravvisato il fumus dell’illecito disciplinare per le dichiarazioni rese in un convegno svoltosi a Catania il 18 maggio 2018, all’interno del Tribunale, nel quale la Dott.ssa S. aveva accusato pubblicamente l’avv. Fi. di essere un “delinquente” “in concorso” con la Dott.ssa A. e il Dott. D.M..

1.1.6.- In relazione al capo 8) (ex art. 2, lett. d), la Sezione ha censurato il fatto di avere inveito contro i colleghi in più occasioni nelle aule del Tribunale e nelle camere di consiglio, accusandoli di sottrazione indebita di fascicoli e definendo “ammucchiate” le camere di consiglio allargate cui partecipavano altri magistrati.

2.- La Dott.ssa S. ha proposto ricorso per cassazione (rg. 25473 del 2019) anche avverso l’ordinanza della Sezione disciplinare del 15 luglio/1 agosto 2019 che aveva rigettato la sua istanza di revoca della già impugnata ordinanza del 30 aprile 2019 e, in subordine, di adozione di una misura cautelare meno afflittiva, in considerazione della vigenza del provvedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale con privazione delle funzioni monocratiche, adottato in data 21 marzo 2019.

2.1.- L’ordinanza impugnata ha riferito i motivi posti a fondamento dell’istanza: violazione dei principi del ne bis in idem, per l’identità dei fatti posti a fondamento dell’impugnata sospensione cautelare e del trasferimento d’ufficio, e di insindacabilità del contenuto dei provvedimenti giurisdizionali; omessa valutazione che l’incolpata era rimasta vittima di una “strumentale orchestrazione” ordita dai colleghi Dott. D.M. e Dott.ssa A., dall’avv. Fi. (legale di Riscossione Sicilia) e da Su.Fa.Ma., essendo emerso (nel procedimento penale scaturito dalla denuncia della predetta società nei confronti della S.) il meccanismo illecito realizzato da Riscossione Sicilia mediante la proposizione di atti illegittimi di intervento in procedure esecutive per costringerla impropriamente ad astenersi e rimuoverla dall’incarico; difetto di terzietà e imparzialità di alcuni componenti della Sezione disciplinare.

2.2.- La Sezione ha rilevato che i suddetti argomenti a sostegno dell’istanza di revoca erano stati già vagliati nell’ordinanza del 30 aprile 2019; in relazione ai contrasti all’interno dell’ufficio giudiziario del Tribunale di Catania, ha osservato che non erano dimostrate le indebite interferenze nelle procedure esecutive gestite dalla Dott.ssa S.; la Riscossione Sicilia, intervenendo nelle procedure avviate da privati al fine di partecipare al piano di riparto, aveva assunto la qualità di parte e da ciò derivava l’obbligo di astensione del giudice che si trovasse in situazione di incompatibilità con la stessa parte che lo aveva ricusato, non potendo egli stesso sindacare l’ammissibilità dell’istanza di ricusazione, tanto più che il Presidente del Tribunale di Catania l’aveva accolta; i documenti prodotti non consentivano di verificare la rilevanza delle denunciate pratiche illecite di congiunti di magistrati dell’ufficio; le doglianze di difetto di terzietà e imparzialità del giudice disciplinare riguardava persone e fatti privi di qualsiasi collegamento con quelli contestati alla S..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I ricorsi devono essere riuniti, a norma dell’art. 17 c.p.p., essendo intimamente legati da un nesso logico-giuridico di carattere soggettivo ed oggettivo: il primo riguarda l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della sospensione cautelare dal servizio e dalle funzioni; il secondo, avendo ad oggetto l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca della prima, si risolve nella proposizione di motivi aggiunti, la cui ammissibilità deriva dall’art. 584 c.p.p., comma 4, applicabile a norma del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 24.

E’ noto che, in materia di procedimento disciplinare a carico degli appartenenti all’ordine giudiziario, il regime delle impugnazioni è caratterizzato dall’applicazione delle norme processuali penali quanto alla fase introduttiva del giudizio, con assoggettamento del ricorso per cassazione al principio di tipicità dei motivi di ricorso (Cass., sez. un., 9 giugno 2017, n. 14430; sez. un., 13 settembre 2011, n. 18701), e delle norme processuali civili quanto al suo svolgimento, il quale inizia con gli incombenti previsti all’art. 377 c.p.c. (Cass., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10935; sez. un., 12 giugno 2017, n. 14550).

Determinando la proposizione del ricorso per cassazione la consumazione del diritto d’impugnazione, si è precisato che i “motivi nuovi” di impugnazione ex art. 585 c.p.p., comma 4, non possono avere ad oggetto nuove ragioni di censura – sia di fatto che di diritto – rispetto a quelle tempestivamente introdotte, dovendo essere meramente integrative e chiarificatrici di quelle già formulate, e palesare una necessaria inerenza o connessione funzionale con temi specificati nei capi e punti della decisione investiti con l’impugnazione (già) proposta (Cass. 24 settembre 2015, n. 18897; Cass. pen., 30 ottobre 2014, n. 45075; Cass. pen. 5 maggio 2014, n. 18293), a tale stregua non potendo essi valere a sanare i vizi originari che rendono il ricorso inammissibile (Cass. pen., 6 marzo 2019, n. 9837; Cass. pen., 16 dicembre 2016, n. 53630).

Orbene, i “motivi nuovi” nella specie formulati dalla ricorrente hanno in realtà ad oggetto mere illustrazioni e chiarimenti delle censure originariamente dedotte nel ricorso principale, delle quali in effetti al più costituiscono mere integrazioni (in senso analogo Cass., sez. un., 29 ottobre 2019, n. 27741), la cui necessità è sorta in seguito al rigetto dell’istanza di revoca dell’ordinanza afflittiva della misura della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio.

2.- Il terzo motivo del ricorso principale, il secondo e terzo motivo aggiunti devono essere esaminati preliminarmente e congiuntamente, essendo strettamente connessi tra loro.

– Con il terzo motivo la Dott.ssa S. denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, art. 2, comma 1, lett. c), d) e g), e art. 22 in relazione al capo 1) di incolpazione, per non avere considerato che i propri comportamenti erano giustificati, in quanto determinati dalle illegittime misure organizzative (come decretato dal Tar Lazio, in sede di annullamento della variazione tabellare disposta per la creazione di un nuovo posto di giudice delle esecuzioni immobiliari assegnato alla Dott.ssa G.F.) adottate dalla Dott.ssa A., la quale arbitrariamente aveva sottratto dal ruolo della S. centinaia di fascicoli già lavorati di cui essa era titolare, con l’effetto di interferire illegittimamente nella propria attività giurisdizionale; in relazione ai capi 3) e 4), per non avere valutato la gravità e falsità delle accuse rivoltele da persone ( A., G., D.M., Fi., Su.) che a torto si reputavano essere state da lei offese; in relazione al capo 5), per avere impropriamente censurato l’interpretazione di norme processuali nella vicenda dell’omessa astensione nelle procedure esecutive immobiliari, avendo la S. deciso di non astenersi perchè aveva valutato l’intervento di Riscossione Sicilia nelle procedure e le istanze di ricusazione come atti precostituiti al fine di rimuoverla dalla gestione del ruolo delle esecuzioni; in relazione al capo 7) di incolpazione, per non avere compreso che l’intervento della Dott.ssa S. al convegno del maggio 2018 era stato determinato dallo stato di esasperazione in cui si trovava per essere da tempo vittima di atti prevaricatori e false denunce da parte dei colleghi A. e D.M., che l’avevano accusata anche in passato di presunti illeciti disciplinari dai quali era stata assolta, tanto più che alcuni giorni prima era stata pubblicata sul giornale “La Sicilia” la notizia del suo rinvio a giudizio per le false accuse mosse nei suoi confronti e che in quello stesso giorno era stata raggiunta da minacce da parte di un pluripregiudicato con disturbi psichici; in relazione al capo 8), per avere travisato e non contestualizzato il senso delle parole di protesta che aveva pronunciato nelle camere di consiglio nelle quali si discuteva di reclami avverso provvedimento emessi da giudici impropriamente presenti in quel contesto.

– Il secondo motivo aggiunto ribadisce la denuncia di violazione del D.Lgs. n. 109 del 2019, art. 2, comma 2, per non avere l’ordinanza impugnata del 15 luglio 2019 ritenuto operante l’esimente della interpretazione di norme di diritto, essendosi limitata a fare generico rinvio alle motivazioni dell’ordinanza del 30 aprile 2019: in relazione al capo 1), premesso di essere stata reimmessa nel ruolo delle esecuzioni immobiliari a seguito dell’annullamento del trasferimento di centinaia di fascicoli ad altro magistrato, come disposto dalla Dott.ssa A., la ricorrente riferisce di avere disposto la revoca dell’aggiudicazione di un immobile effettuata a prezzo vile dal magistrato che le era succeduta nel ruolo; in relazione al capo 3), imputa alla Sezione di non avere compreso che le affermazioni contenute nell’ordinanza del 12 ottobre 2018 costituivano reazione a plurime e strumentali istanze di ricusazione proposte nei suoi confronti da Riscossione Sicilia; in relazione ai capi 4), 5) e 6, per i quali era accusata di non avere adottato i provvedimenti (di astensione e sospensione dei procedimenti) consequenziali alle istanze di ricusazione, la ricorrente imputa nuovamente alla Sezione di avere impropriamente censurato una plausibile e fondata interpretazione di norme processuali, in base alla quale aveva ritenuto che la Riscossioni Sicilia non avesse titolo per intervenire nelle esecuzioni immobiliari e quindi non fosse legittimata a proporre le istanze di ricusazione.

– Il terzo motivo aggiunto ribadisce la denuncia di violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 per avere ravvisato il periculum per l’applicazione della misura cautelare sulla base di una motivazione assente e di un palese travisamento degli elementi probatori e, in particolare, per avere ritenuto non provate le denunciate interferenze indebite nelle procedure esecutive e impropriamente sindacato l’interpretazione di norme e istituti giuridici, in ordine al potere di Riscossioni Sicilia di proporre atti di intervento senza titolo con lo scopo illecito – che sarebbe stato dalla Dott.ssa S. intuito e sventato – di partecipare impropriamente alla distribuzione del ricavato delle procedure e, di conseguenza, di assumere la legittimazione per proporre le istanze di ricusazione (come risultava, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, dalle dichiarazioni testimoniali rese nel processo penale da un teste, il quale aveva riferito che Riscossioni Sicilia era solita intervenire sulla base di un estratto di ruolo non costituente titolo esecutivo, e dall’utilizzo strumentale della vicenda, risalente nel tempo, della telefonata dai toni minacciosi della Dott.ssa S. a un dipendente di Riscossioni Sicilia, riguardante una procedura esecutiva nella quale la stessa S. era parte in causa).

2.1.- Le riferite censure riguardanti gli addebiti di scorrettezza nei confronti di altri magistrati, delle parti e dei loro difensori (ex art. 2, lett. d), sono infondate.

E’ sufficiente riportare, a titolo esemplificativo, alcuni brani dell’ordinanza del 21 dicembre 2018, con la quale la Dott.ssa S., a definizione della procedura esecutiva (rg. n. 109/2006) relativa ad uno dei fascicoli transitati nuovamente sul suo ruolo, disponeva l’annullamento degli atti di vendita e di aggiudicazione di un immobile pignorato, argomentando che tale valutazione spettava al giudice dell’esecuzione “indipendentemente dalle interferenze illecite nelle vendite”; in detta ordinanza la S. riferiva il fatto, definito “gravissimo”, che il fascicolo le era stato “sottratto arbitrariamente dal ruolo di questo G.E. dal presidente della Sesta Sezione Dott.ssa A.M.”, la quale “appena arrivata in Sezione (…) Pensa bene di scegliersi arbitrariamente determinate procedure esecutive immobiliari, recandosi all’uopo, personalmente in cancelleria e spostando a suo unico gradimento alcuni fascicoli, tra cui la presente procedura esecutiva”; si tratta – prosegue l’ordinanza – di “sottrazione di fascicoli dal ruolo di questo G.E. quale Giudice Naturale (con) evidente violazione dell’art. 25 Cost.”, che sarebbe stata agevolata dai mancati controlli da parte del presidente del Tribunale (Dott. D.M.B.), del Consiglio direttivo e del Csm; “lo strumento utilizzato dal Presidente A. (…) è costituito da (…) provvedimenti arbitrariamente adottati”; ed ancora, il fascicolo “va a finire nelle mani del Giudice G.F.” che all’epoca “non era in servizio presso questa Sezione. La predetta (amica da anni del Presidente A.M.) arriva in Sezione solo nel mese di settembre-ottobre 2012 e avrebbe dovuto, peraltro, ricoprire il posto alle “esecuzioni mobiliari” e non alle “esecuzioni immobiliari” dove non vi era alcun “posto libero””. Si legge sempre nell’ordinanza: “il Giudice G.F. che all’epoca di questi provvedimenti “abnormi” emessi dal Presidente A. si trovava a fare tutt’altro: il Giudice del lavoro, partecipa all’interpello indetto per la sola copertura del posto della Sesta di Giudice delle esecuzioni mobiliari (…) Come sia finita a fare il Giudice delle esecuzioni immobiliari è altro fatto grave, misterioso”. Vengono in rilievo (quanto all’incolpazione sub 4) anche le improprie valutazioni espresse nell’ordinanza riservata del 12 ottobre 2018, nella quale la Dott.ssa S. commentava le istanze di ricusazione proposte da Riscossioni Sicilia come atti aventi l’unica finalità di allontanarla dal luogo di lavoro.

La Sezione disciplinare ha evidenziato il comportamento gravemente scorretto della Dott.ssa S., per il tono e le parole usate nella suddetta ordinanza (che è oggetto del capo di incolpazione 1) e in altri provvedimenti giurisdizionali (cui si riferiscono i capi 3, 7 e 8); ha evidenziato che erano prive di rilievo le asserite ragioni che l’avevano indotta ad esprimersi in tal modo nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, trattandosi di un comportamento ingiustificabile, indipendentemente da ogni altra valutazione, senza possibilità di considerarlo una reazione ad azioni altrui percepite come aggressive. Ed infatti, i provvedimenti giurisdizionali in nessun caso possono trasformarsi in una occasione per regolare conti personali e per esprimere giudizi e valutazioni personali da parte del magistrato sull’operato di altri colleghi e su vicende estranee all’oggetto del procedimento.

E’ una decisione argomentata e priva di vizi logici, che si sottrae al sindacato consentito a questa Corte (Cass., sez. un., 19 marzo 2019, n. 7691), il cui esito è conforme ai principi regolatori della materia.

Questa Corte si è pronunciata in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. d), ed ha chiarito che, ai fini della valutazione delle incolpazioni riguardanti l’adozione di un provvedimento giudiziario, non rileva la correttezza in sè del provvedimento bensì la condotta del magistrato che lo ha adottato, allorchè raggiunga un livello di negligenza tale da poter incidere negativamente sui valori tutelati dalla prescrizione disciplinare (Cass., sez. un., 18 gennaio 2019, n. 1416). In particolare, risponde dell’illecito disciplinare il magistrato che, contravvenendo ai doveri di correttezza, equilibrio e rispetto della persona, individuati dal medesimo D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 quali precondizioni essenziali di un corretto esercizio della giurisdizione, si abbandoni, in udienza, a comportamenti indicativi di scarso controllo della propria impulsività e di aggressività verbale, assumendo così un contegno che assume quel carattere di oggettiva gravità richiesto per la sussistenza dell’illecito, anche per il pregiudizio arrecato all’immagine di una giurisdizione che deve essere esercitata con equilibrio e terzietà (Cass., sez. un., 9 settembre 2013, n. 20588). Analoghe considerazioni valgono quando simili comportamenti siano tenuti dal magistrato in convegni e, a maggior ragione, in provvedimenti giurisdizionali.

Si deve enunciare il seguente principio: in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, costituisce comportamento gravemente scorretto del magistrato, nei confronti di altri magistrati, delle parti e dei loro difensori, rilevante in sede disciplinare, a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), inserire in provvedimenti giurisdizionali valutazioni e giudizi personali (o effettuare pubbliche dichiarazioni) sull’operato di altri colleghi e su vicende estranee all’oggetto dei procedimenti nei quali sono pronunciati, tanto più se oggettivamente denigratori nei loro confronti.

2.2.- Infondate sono anche le censure di violazione dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge (ex art. 2, lett. c) e di grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile (ex art. 2, lett. g), cui si riferiscono le altre incolpazioni (capi di incolpazione 4, 5 e 6).

L’ordinanza impugnata del 30 aprile 2019 ha dato conto adeguatamente dell’obbligo di astensione inadempiuto dalla S. nei procedimenti nei quali era parte Riscossioni Sicilia, con la quale il magistrato aveva rapporti di debito e cause pendenti (art. 51 c.p.c., n. 3), in procedimenti esecutivi dai quali erano scaturiti procedimenti contenziosi dinanzi allo stesso Tribunale e nel menzionato procedimento penale nel quale Riscossioni Sicilia era costituita parte civile.

L’esistenza del suddetto obbligo di astensione rendeva non inammissibile ictu oculi l’istanza di ricusazione, imponendo di conseguenza la sospensione dei procedimenti e il divieto di compiere atti processuali.

Non coglie nel segno quindi la difesa della ricorrente quando osserva che Riscossione Sicilia non era legittimata ad intervenire nei procedimenti esecutivi e, quindi, neppure a proporre l’istanza di ricusazione, la cui ammissibilità era stata implicitamente esclusa dalla S. per carenza dei requisiti formali, nelle cui attribuzioni – si potrebbe aggiungere – rientrava la sommaria delibazione circa l’ammissibilità dell’istanza, al fine di decidere sulla sospensione del procedimento (cfr. Cass. 4 dicembre 2014, n. 25709). Ed infatti, si può replicare che, una volta accertata l’esistenza di un obbligo di astensione, il magistrato ricusato non ha più il potere di operare la suddetta delibazione, trovando piena attuazione l’esigenza di assicurare alle parti l’imparzialità del giudizio nella controversia, cui è connessa la sospensione del processo e il divieto di compiere atti processuali, secondo la valutazione legale di cui all’art. 52 c.p.c., comma 3 e art. 298 c.p.c., comma 1. Non attenersi a questa regola di comportamento, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non integra una incensurabile interpretazione di norme processuali, ma è segno di ignoranza o negligenza inescusabile.

Si deve quindi enunciare il seguente principio: la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione del magistrato, costituente illecito disciplinare, a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c), non può essere esclusa nel caso in cui sia proposta una istanza di ricusazione che il magistrato ritenga inammissibile (nella specie, sul presupposto che l’istante non fosse in ipotesi legittimato ad intervenire, e quindi ad assumere la qualità di parte, nella procedura esecutiva), quando sussista un obbligo di astensione nei casi di cui all’art. 52 c.p.c., (nella specie, n. 3), sussistendo anche l’illecito della grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett., g), qualora il magistrato non disponga la sospensione del procedimento e compia atti ulteriori del procedimento.

3.- Infondato è anche il primo motivo del ricorso principale, che denuncia violazione del principio del ne bis in idem, in relazione all’art. 4 prot. 7 della Cedu, art. 50 della Carta dei diritti fondamentali Ue e art. 111 Cost., per avere la Dott.ssa F.S. già subito, per gli stessi fatti contestati in sede disciplinare, un provvedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale con privazione delle funzioni monocratiche.

3.1.- Alla Dott.ssa S. è stata applicata, con provvedimento del 27 marzo 2019, la misura del trasferimento d’ufficio, a norma del R.D. 31 maggio 1946, n. 511, art. 2 modificato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 26 che dispone che i magistrati “possono, anche senza il loro consenso, essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni (…) quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”.

Con questa disposizione la legge richiede una condotta (volontaria o involontaria) del magistrato alla quale ascrivere, anche solo come concausa, la situazione fattuale che compromette l’indipendenza e l’imparzialità della funzione giudiziaria, prescindendo dalla valutazione della sussistenza di condotte colpevoli del magistrato, il cui accertamento è rimesso esclusivamente al giudice disciplinare o a quello penale. Ne consegue che nessuna sovrapposizione è configurabile, in termini di bis in idem, tra la suddetta misura amministrativa e le misure cautelari applicabili in presenza (o in vista dell’accertamento definitivo) di illeciti disciplinari, sebbene identici a quelli che hanno determinato l’applicazione della misura di cui al R.D. n. 511 del 1946, art. 2.

Resta fermo che l’applicazione delle misure cautelari, e in particolare della sospensione cautelare facoltativa di un magistrato dalle funzioni e dallo stipendio, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 non concretando l’irrogazione di una sanzione disciplinare, non richiede un completo accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti (riservato al giudizio di merito sull’illecito disciplinare), ma presuppone esclusivamente una valutazione della rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, e la delibazione della possibile sussistenza degli stessi (Cass., sez. un., 23 luglio 2015, n. 15475; 21 dicembre 2012, n. 23856; 25 novembre 2008, n. 28046; 20 dicembre 2018, n. 33017, quest’ultima con riferimento al trasferimento cautelare d’ufficio).

Si deve quindi enunciare il principio secondo cui non incorre nel divieto di bis in idem il giudice disciplinare che applichi la misura cautelare della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio a un magistrato al quale sia stata già applicata, in relazione agli stessi fatti, la misura del trasferimento per incompatibilità ambientale di cui al R.D. n. 511 del 1946, art. 2.

4.- Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1, lett. c), d) e g), artt. 1 e 6 della Cedu e art. 49, comma 3 Carta dei diritti fondamentali, nonchè del principio di proporzionalità e adeguatezza, essendo stata inflitta la misura più drastica prevista dalla legge, normalmente applicata per casi molto più gravi, irragionevolmente omettendo di valutare il disposto trasferimento d’ufficio in distretto non limitrofo e la cessazione delle funzioni monocratiche come misura idonea a soddisfare le medesime esigenze poste a base della sospensione facoltativa dalle funzioni e a rendere evanescente il pericolo di reiterazione degli illeciti disciplinari contestati.

Al suddetto motivo è connesso il primo motivo aggiunto, il quale denuncia violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 imputando alla Sezione disciplinare di avere disposto la sospensione facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio con ordinanza del 30 aprile 2019, nonostante che per gli stessi fatti con ordinanza del 21 marzo 2019 la ricorrente fosse stata trasferita d’ufficio ad altro ufficio giudiziario per incompatibilità con le funzioni giudiziarie nel circondario di Catania e con quelle monocratiche, senza che fossero emersi e indicati in motivazione fatti successivi giustificativi dell’applicazione della misura cautelare massima prevista dalla legge.

4.1.- I suddetti motivi sono fondati nei seguenti termini.

E’ acquisita in giurisprudenza l’ontologica distinzione tra la misura della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 e la misura amministrativa del trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, di cui al R.D. n. 511 del 1946, art. 2 la quale ultima trova causa nella perdita delle condizioni di autonomia e indipendenza del magistrato (che, di regola, si riflette negativamente sul prestigio dell’ordine giudiziario), il cui ripristino deve necessariamente avvenire con il trasferimento del magistrato divenuto incompatibile con la sede di appartenenza. Si spiega quindi perchè l’irrogazione della misura amministrativa non è di ostacolo alla successiva irrogazione della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio.

E tuttavia, sebbene i rispettivi accertamenti debbano restare ben distinti e autonomi, in modo da evitare improprie commistioni o sovrapposizioni, si è anche rilevato che “per quanto non possano essere poste a fondamento del trasferimento per incompatibilità ambientale le “medesime ragioni” legittimanti l’iniziativa disciplinare, non si può pregiudizialmente escludere la considerazione, sull’uno e sull’altro versante, del medesimo “nucleo di fatti”” (Cons. di Stato, sez. V, 22 agosto 2019, n. 5783).

L’identità dei fatti genetici delle due misure, laddove sussista (come nella specie), impone di verificare se e in quale misura l’attuazione della misura amministrativa possa offrire elementi di valutazione rilevanti ai fini dell’applicazione della misura cautelare massima della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. E ciò anche alla luce del principio di gradualità che governa l’applicazione delle misure cautelari, espresso nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 quale precipitato del principio generale di proporzionalità (ad esempio, a norma dell’art. 275 c.p.p., commi 1 e 2, ciascuna misura “deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata”, “il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”).

Nella vicenda in esame, alla Dott.ssa S. è stata applicata, con provvedimento del 21 marzo 2019, la misura del trasferimento d’ufficio per incompatibilità con le funzioni giudiziarie nel circondario di Catania e con le funzioni monocratiche, cui ha fatto seguito pochi giorni dopo, in data 30 aprile 2019, l’applicazione della misura cautelare massima della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, essendo stata giudicata “incompatibile con l’esercizio delle funzioni giudiziarie in qualunque luogo o funzione”.

Una così radicale affermazione avrebbe richiesto di essere confermata o smentita all’esito di una verifica in concreto e all’attualità delle modalità di esercizio della funzione giudiziaria da parte dell’incolpata nella sede dove era stata trasferita d’ufficio o comunque successivamente all’adozione del provvedimento di trasferimento.

L’ulteriore affermazione, secondo cui “la reiterazione di comportamenti simili è sintomo evidente di una incompatibilità con le funzioni giudiziarie “, non consente di collocare temporalmente i comportamenti giudicati devianti, sicchè non è dato comprendere se la reiterazione sia avvenuta solo prima, come sembra, o anche dopo l’applicazione e l’attuazione della misura amministrativa, nel qual caso il giudice disciplinare avrebbe dovuto attualizzare la valutazione delle esigenze cautelari, tenendo conto dei comportamenti del magistrato successivamente all’attuazione e/o all’adozione della misura amministrativa del trasferimento d’ufficio.

Si tratta di verifiche tanto più doverose se si considera la specificità del contesto ambientale nel quale sono sorti i conflitti interpersonali che sono all’origine delle pur gravi incolpazioni formulate nei confronti della Dott.ssa S..

Le ordinanze impugnate non superano, quindi, lo scrutinio di legittimità quanto ai profili di adeguatezza delle motivazioni che le sorreggono e di conformità al principio normativo di gradualità nell’applicazione delle misure cautelari, non avendo argomentato in ordine alla possibilità di applicare la misura cautelare minore del trasferimento d’ufficio che può comportare sia l’allontanamento del magistrato dalla sua sede e la destinazione ad altre funzioni, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 13, comma 2, sia il trasferimento provvisorio ad altro ufficio di un distretto limitrofo, nei casi di minore gravità, ai sensi dell’art. 22, comma 1 cit. D.Lgs., avendo come unitario presupposto il fatto che la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appaia in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia (Cass., sez. un., 8 luglio 2009, n. 15976).

Neppure coerente con il principio generale di utilità in senso oggettivo, cui deve rispondere qualsiasi misura applicata al magistrato, a prescindere dalla natura giuridica della stessa, è l’affermazione dell’assoluta irrilevanza degli effetti del trasferimento per incompatibilità ambientale, i quali invece potrebbero offrire ulteriori elementi di valutazione ai fini della scelta della misura cautelare da applicare in concreto.

A quest’ultimo riguardo, questa Corte ha avuto modo di precisare che l’irrogazione della misura del trasferimento cautelare d’ufficio, di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22, comma 1, (pur diversa per natura giuridica da quella di cui al R.D. n. 511 del 1946, art. 2), non determina la consumazione del potere cautelare, dovendosi ritenere che resti sempre possibile l’adozione di una nuova misura più incisiva (quale la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio), anche in assenza di revoca della precedente, nel caso sopravvengano fatti che si qualifichino come aggravamento dell’originario illecito disciplinare contestato al magistrato incolpato, attesa la perdurante possibilità di adeguamento del provvedimento alle effettive esigenze cautelari, desumibile sia dalla graduazione prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22, comma 1, (che, in ragione della gravità del fatto, distingue tra trasferimento cautelare ad altro ufficio e sospensione dalle funzioni e dallo stipendio), sia dalla flessibilità della misura stessa che resta sempre revocabile d’ufficio ove ne vengano meno i presupposti Cass., sez. un., 28 ottobre 2011, n. 22570). E analogamente è ammissibile la revoca della misura cautelare disciplinare in presenza di fatti nuovi – di cui il giudice disciplinare deve dare conto – che evidenzino un mutamento “in melius” del quadro cautelare, pur congiuntamente apprezzati a quelli originariamente esaminati (Cass., sez. un., 20 luglio 2015, n. 15152).

Si deve quindi enunciare il seguente principio: l’applicazione della misura amministrativa del trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale con privazione delle funzioni monocratiche, a norma del R.D. 31 maggio 1946, n. 511, art. 2 modificato dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 26 non osta alla successiva applicazione della misura della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, a condizione che il giudice disciplinare dia conto della perdurante attualità delle esigenze cautelari giustificative della predetta misura o, in alternativa, della idoneità della misura cautelare minore del trasferimento d’ufficio, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 13 o art. 22, comma 1, tenendo conto del comportamento tenuto dal magistrato nell’esercizio delle funzioni nella nuova sede ove è stato trasferito in via amministrativa e comunque successivamente all’adozione della misura di cui al R.D. del 1946, art. 2.

5.- In conclusione, in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo aggiunto, le ordinanze impugnate sono cassate con rinvio alla Sezione disciplinare per un nuovo esame.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie nei limiti di cui in motivazione, cassa le ordinanze impugnate e rinvia alla Sezione disciplinare, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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