Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29831 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.R. (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma, via Giuseppe Sacconi n. 19, presso lo studio

dell’Avvocato Cabras Francesca, dalla quale è rappresentata e

difesa, unitamente agli Avvocati Marcello Vignolo e Massimo Massa,

per procura speciale per notaio Luraghi in Bergamo, del 9 aprile

2010, rep. n. 87.439;

– ricorrente –

contro

N.L. (C.F.: (OMISSIS)), domiciliato per legge in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema

di cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Palitta Paola per

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Core d’appello di Cagliari – Sezione

Distaccata di Sassari n. 17 del 2009, depositata in data 12 gennaio

2010.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che N.L., assumendo di essere proprietario di un terreno in (OMISSIS), i cui confini rispetto al limitrofo terreno di proprietà S. erano stati determinati con un muretto a secco nel momento in cui erano iniziati su di essi i lavori di edificazione di fabbricati, e lamentando che nel marzo 1998 aveva constatato che il muretto di confine era stato distrutto con asportazione di tutte le pietre e spostamento della linea di confine da parte della S., che aveva realizzato un nuovo muretto, chiese al Pretore di Tempio Pausania (poi Tribunale) di essere reintegrato nel possesso della porzione di terreno in tal modo occupato dalla S.;

che la S. si oppose deducendo l’inesistenza di un possesso tutelabile in capo al N., essendo ella da tempo proprietaria della porzione di terreno a confine tra i due fondi;

che, esaurita la fase cautelare e iniziato il giudizio di merito, l’adito Tribunale rigettò la domanda di reintegrazione;

che avverso questa sentenza propose appello il N. e, nella resistenza della S., la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza n. 17 del 2010, depositata il 12 gennaio 2010, ha accolto il gravame, ordinando a S.R. di reintegrare il N. nel possesso dell’area, estesa per circa tre metri dall’attuale confine verso la proprietà N. e di riposizionare il muro divisorio nella posizione originariamente esistente;

che la Corte d’appello ha escluso che una lettera a firma del N. in data 13 dicembre 1993, con la quale egli avrebbe acconsentito alla demolizione del muretto, valorizzata dal Tribunale, potesse valere ad escludere l’animus spoliandi in capo alla S.; e ciò sul rilievo che detta lettera, di cinque anni antecedente al lamentato spoglio, conteneva una proposta transattiva complessiva che non aveva poi avuto seguito, tanto che la stessa S., nel costituirsi in sede possessoria, aveva affermato di avere delimitato la porzione di fondo di sua proprietà “perchè si erano rivelati inutili i reiterati inviti al N. di provvedere congiuntamente alla realizzazione del muro di confine fra le rispettive proprietà”;

che, ha osservato la Corte, la situazione nel 1988 era ancora fluida e non si era affatto pervenuti ad un accordo, dovendosi comunque escludere in quel momento il possesso della S. sull’area in contestazione e il consenso del N. allo spoglio;

che, in ogni caso, ha proseguito la Corte d’appello, il riposizionamento dei confini sarebbe dovuto avvenire di comune accordo; il che non era avvenuto, con la conseguenza che doveva ritenersi che l’originario posizionamento del muro delimitasse anche l’ambito del rispettivo possesso sui fondi delimitati fin dal momento in cui i lotti erano stati formati, e che doveva escludersi che la S. potesse avere esercitato un possesso esclusivo, o concorrente, su un’area posta al di là del muro;

che la Corte d’appello ha poi rilevato che la prova testimoniale assunta nel corso del giudizio non offriva conforto alla tesi della S. che il N. non avesse posseduto l’area poi occupata con lo spostamento del muretto, non risultando che il N. fosse mai stato allontanato dalla porzione contesa, nè che vi fossero stati gesti di contestazione rispetto al persistere della occupazione da parte dello stesso N.;

che avverso questa sentenza S.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, N.L.;

che essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso con il rito camerale, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1168 cod. civ., dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia omesso di considerare che in relazione alla domanda di reintegrazione è onere dell’attore provare l’esistenza del possesso a tutela del quale agisce, mentre è onere del convenuto dimostrare l’assenza dell’animus spoliandi. Nella specie, ella aveva dimostrato, attraverso la produzione di varia corrispondenza intercorsa con il N., che questi aveva prestato il proprio consenso allo spostamento del muro a secco e, attraverso la prova testimoniale, di avere svolto sulla striscia di terreno in contestazione attività qualificabili come possesso.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello tratto il proprio convincimento da elementi labili anzichè utilizzare le lettere del 1991 e del 1998, inviate al N., nonchè le risultanze del processo penale a suo carico per il reato di cui all’art. 392 cod. pen. e delle consulenze tecniche di parte, dalle quali si desumeva sia la reale situazione di diritto, sia il consenso del N. alla eliminazione del muro.

Il primo e il secondo motivo, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono manifestamente infondati. La Corte d’appello, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha invero rilevato che il posizionamento del muro delimitava con certezza l’ambito del possesso sui due fondi e ha quindi ritenuto provata la sussistenza del possesso in capo al soggetto che agiva per la reintegrazione. Ha poi escluso che la ricorrente avesse offerto la prova di un proprio possesso concorrente o esclusivo sull’area in questione e ha valutato la lettera del 1993 a firma del N. come una mera proposta transattiva, inidonea ad indurre il convincimento in capo alla destinataria della stessa della adesione alla eliminazione del muro e tanto meno come autorizzazione a procedere unilateralmente a detta rimozione. In proposito, la Corte ha valorizzato il dato temporale – la lettera era del dicembre 1993 mentre lo spoglio è stato perpetrato nel marzo 1998 – per escludere la rilevanza del detto documento sul piano possessorio, sotto il profilo della dimostrazione della insussistenza dell’animus spoliandi.

In sostanza, devono escludersi le denunciate violazioni di legge.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia vizio di motivazione, dolendosi che la Corte d’appello: a) abbia qualificato la lettera del 1993 come mera proposta transattiva laddove la stessa, collegata alla lettera che ella aveva inviato al N., rappresentava piuttosto il riconoscimento da parte del N. dell’ingiusto posizionamento del muretto, assumendosi addirittura l’onere di concorrere alle spese della rimozione; b) non abbia apprezzato il documento del 1993 come idoneo ad ingenerare il convincimento circa il consenso del possessore alla modifica o privazione del suo possesso; c) abbia ritenuto che essa ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di avere compiuto atti di contestazione rispetto al persistere dell’occupazione da parte del N. della striscia di terreno a confine tra le due proprietà; d) abbia fondato il proprio convincimento sulle affermazioni contenute nella comparsa di costituzione, ritenendole significative della consapevolezza, in capo ad essa ricorrente, del fatto che il N. aveva revocato il proprio consenso alla eliminazione del muretto.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella sollecitazione di un diverso apprezzamento del materiale istruttorio, sulla base del quale la Corte d’appello, con motivazione congrua e logica, ha ritenuto sussistenti sia una situazione di possesso in capo al N., sia l’animus spoliandi in capo alla ricorrente. In particolare, la richiesta di una inammissibile nuova valutazione delle risultanze istruttorie emerge laddove la ricorrente pretende di collegare una condotta tenuta nel 1998 a una corrispondenza intercorsa svariati anni prima, in assenza di comportamenti della controparte idonei a manifestare un consenso alla rimozione unilaterale di un muro che, come rilevato dalla Corte d’appello, delimitava con certezza l’ambito del suo possesso.

Sussistono quindi le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”;

che il Collegio condivide tale proposta di decisione, non contenendo la memoria depositata da parte ricorrente argomenti idonei ad indurre a una diversa conclusione;

che la ricorrente insiste nel sottolineare che la Corte d’appello avrebbe errato nel riconoscere alla lettera del 1993 natura transattiva e ribadisce che la dichiarazione del N., contenuta in detta lettera, avrebbe avuto valore quanto meno ai fini della esclusione della sussistenza dell’animus spoliandi;

che deve in contrario rilevarsi che la interpretazione degli atti negoziali è attività rimessa al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità quando, come nel caso di specie, non risultino violati i canoni ermeneutici e la interpretazione o qualificazione dell’atto sia sorretta da motivazione immune da vizi logici o giuridici;

che in particolare, nel mentre la Corte d’appello, nel qualificare la citata scrittura come proposta transattiva, ha fondato il proprio convincimento sul contenuto complessivo della stessa, le censure della ricorrente sono volte ad isolare la dichiarazione del N. relativa allo spostamento del muro, omettendo di valutare complessivamente la portata del documento nel quale quella dichiarazione era inserita;

che, d’altra parte, la Corte d’appello ha dato ampiamente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente l’animus spoliandi in capo alla ricorrente, dovendosi qui soggiungere che l’avvenuta assoluzione della ricorrente dal delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non spiega effetto nella presente sede, attesa la diversità tra le condotte rilevanti in sede penale, con il correlativo elemento soggettivo, e quelle rilevanti in sede civile, ai fini della sussistenza degli elementi costitutivi dello spoglio;

che, ancora, la Corte d’appello ha compiutamente dato conto delle ragioni per le quali ha escluso che la S. avesse esercitato un possesso tutelabile sull’area esterna al muro, risolvendosi le censure sul punto in una inammissibile richiesta di diverso apprezzamento di circostanze di fatto già adeguatamente valutate, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, dal giudice del merito;

che in conclusione il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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