Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29829 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

N.G.E. (C.F.: (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in Roma, Piazza dell’Unità n. 13, presso lo studio

dell’Avvocato Pannella Paolo, dal quale è rappresentato e difeso per

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

N.G.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Cosseria n. 5, presso lo studio dell’Avvocato Sivieri Orlando, dal

quale è rappresentato e difeso, unitamente all’Avvocato Felice

Torzini, per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1396 del

2009, depositata in data 20 ottobre 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito l’Avvocato Orlando Sivieri;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

FUCCI Costantino, il quale ha concluso in senso conforme alla

relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ..

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che il Tribunale di Arezzo, con sentenza non definitiva n. 620 del 2000, ha rigettato la domanda con la quale N.G.E. aveva chiesto nei confronti del fratello N.G.L., previa ricostruzione dell’asse ereditario e rendiconto, lo scioglimento della comunione ereditaria nata a seguito della morte del padre N.G.R. (avvenuta il (OMISSIS)), e ha disposto, con separata ordinanza, la rimessione della causa sul ruolo per la prosecuzione delle operazioni divisionali, condannando N.G.E. al rimborso delle spese di lite fin a quel momento sopportate da N.G.L.;

che il Tribunale di Arezzo, con sentenza definitiva del 22 maggio 2006, n. 475, ha poi ordinato lo scioglimento della comunione ereditaria e ha disposto procedersi alla divisione dei beni caduti in successione, compensando, inoltre, le spese del giudizio di divisione successive alla sentenza non definitiva;

che avverso queste sentenze ha proposto appello N.G. E.;

che, quanto alla sentenza non definitiva, l’appellante ha contestato la valutazione di tardività del disconoscimento, da parte sua, del testamento, nonchè il fatto che il Tribunale avesse escluso la rinuncia del convenuto all’eccezione di tardività del disconoscimento; ha inoltre censurato il fatto che il Tribunale non avesse considerato nulla la rinuncia di B.T. all’eredità del marito;

che, quanto alla sentenza definitiva, l’appellante ha lamentato, sostanzialmente, che la divisione fosse stata effettuata sulla base di perizie estimative non adeguate;

che la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 20 ottobre 2009, ha dichiarato inammissibile l’appello principale proposto da N.G.E. contro la sentenza non definitiva, ritenendo che, in realtà, detta sentenza fosse definitiva e che pertanto fosse passata in giudicato, essendo decorso inutilmente il termine di cui all’art. 327 c.p.c.; ha dichiarato, altresì, inammissibile l’appello principale proposto avverso la sentenza definitiva perchè “privo di qualunque, specifico riferimento alle motivazioni, tra l’altro stringenti e pertinenti del Tribunale”; ha accolto l’appello incidentale proposto da N.G.L. contro la sentenza definitiva; ha condannato l’appellante a rifondere all’appellato le spese di lite del doppio grado;

che N.G.E. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, cui ha resistito, con controricorso, N. G.L.;

che essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso con il rito camerale, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 278 e 279, n. 4, in relazione all’art. 340 c.p.c., comma 2, e dell’art. 129 disp. att. c.p.c.; nonchè, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c, l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione. La censura si riferisce alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello avverso la sentenza non definitiva.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello sarebbe incorsa in un vizio di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in quanto avrebbe reso insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alle osservazioni effettuate dal perito di parte attrice.

Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, in considerazione della evidente fondatezza del ricorso.

La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza non definitiva, sul rilievo che, nonostante la riserva di impugnazione ex art. 340 c.p.c., comma 2, l’appello avrebbe dovuto essere proposto nel termine di cui all’art. 327 c.p.c., in quanto la sentenza sarebbe stata, in realtà, definitiva.

Si tratta di statuizione erronea per un duplice concorrente ordine di ragioni.

In primo luogo, deve rilevarsi che nella giurisprudenza di legittimità si è affermato il principio secondo cui “nel giudizio di divisione ereditaria, costituisce sentenza, definitiva soltanto quella che scioglie la comunione rispetto a tutti i beni che ne facevano parte, mentre le eventuali sentenze che concludono le singole fasi del procedimento hanno carattere strumentale e natura di sentenza non definitiva e sono, come tali, suscettibili di riserva di gravame, ai sensi dell’art. 340 c.p.c.” (Cass. n. 5203 del 2007).

Nella specie, la sentenza n. 620 del 2000 del Tribunale di Arezzo ha disposto la rimessione della causa sul ruolo ai fini della prosecuzione delle operazioni divisionali, mentre nulla ha disposto circa lo scioglimento della comunione relativa ai beni ereditari, cosa che invece è avvenuta con la sentenza definitiva n. 475/2006.

La sentenza n. 620 del 2000 ha, quindi, natura non definitiva essendo teleologicamente orientata alla mera conclusione di una fase del procedimento. Sotto altro profilo, deve rilevarsi che è lo stesso giudice che, nell’emettere la sentenza de qua, ha consapevolmente scelto di qualificarla come non definitiva, in tal modo ingenerando nelle parti il ragionevole convincimento in ordine alla effettiva sussistenza di detta natura e della ammissibilità della riserva di impugnazione. In proposito, si deve ricordare che recentemente le Sezioni Unite si sono pronunciate sul punto enunciando il seguente principio di diritto: “al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha. deciso la controversia, assume rilevanza la forma, adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento” (Cass., S.U., n.390 del 2011)”;

che il Collegio condivide tale proposta di decisione, non contenendo la memoria depositata da parte controricorrente argomenti idonei ad indurre a una diversa conclusione;

che in particolare deve rilevarsi che, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata” (sentenza n. 3840 del 2007);

che non può quindi tenersi conto delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine alla inammissibilità della sentenza per altro profilo, posto che la medesima Corte d’appello aveva rilevato la inammissibilità dell’appello sulla base delle ritenuta natura definitiva della sentenza nei confronti della quale era stata formulata la riserva di impugnazione;

che non può essere neanche condiviso l’assunto del controricorrente secondo cui, avendo la sentenza non definitiva deciso una questione pregiudiziale autonoma rispetto al procedimento di divisione, la stessa avrebbe dovuto essere qualificata come definitiva;

che infatti, dalla stessa sentenza impugnata emerge che con la sentenza qualificata non definitiva il Tribunale di Arezzo ha dichiarato la riferibilità della scheda testamentaria al de cuius N.G.R. e per l’effetto ha assegnato i beni ereditari in base alle disposizioni della scheda testamentaria, disponendo, con separata ordinanza, la rimessione della causa sul ruolo per la prosecuzione delle operazioni divisionali;

che, dunque, non pare in alcun modo predicabile la estraneità della statuizione adottata dalla sentenza non definitiva rispetto al procedimento divisionale, atteso che la stessa ha individuato le regole di attribuzione dei beni oggetto della divisione;

che appare peraltro opportuno precisare che la proposta di accoglimento contenuta nella relazione si riferiva al primo motivo di ricorso, discendendo da tale pronuncia l’assorbimento del secondo;

che, in conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, con conseguente assorbimento del secondo e con cassazione della sentenza impugnata, con rinvio a una diversa sezione della Corte d’appello di Firenze, alla quale è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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