Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29829 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 18/11/2019), n.29829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21547-2018 proposto da:

E.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CALABRIA 56,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI D’AMATO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANDREA MONTI;

– ricorrente –

contro

S.S., SO.SI., S.A.M., tutti nella

qualità di eredi di S.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, PANARO 25, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VISCO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO SPOSITO;

– controricorrenti –

e contro

ER.MA.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 287/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

Che:

– la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda avanzata da E.R. volta a ottenere il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con S.R., sulla base del rilievo che gli elementi probatori non consentivano di ritenere provata la sottoposizione della medesima al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del presunto datore di lavoro;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione E.R. sulla base di due motivi;

gli eredi di S.R., nelle more deceduto, resistono con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, osservando che la Corte territoriale aveva ritenuto erroneamente la mancanza degli elementi essenziali che caratterizzano lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato, poichè da un’attenta analisi della prova per testi escussa tali elementi risultavano pienamente accertati;

con il secondo motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, rilevando che erroneamente i giudici del merito avevano attribuito alla comunicazione dell’avv. S.R. del 27/7/1994 alla Banca Commerciale Italiana, nella quale egli faceva menzione di una “retribuzione”, una mera dichiarazione di scienza avente al massimo semplice valore indiziario, piuttosto che valore confessorio ai sensi dell’art. 2730 c.c.;

che i motivi sono entrambi inammissibili per plurime ragioni;

che, in primo luogo, le censure, attinenti a vizi di motivazione, sono erroneamente enunciate già nella formulazione, che riproduce il tenore del disposto di cui al vecchio art. 360 c.p.c., n. 5, in contrasto con la nuova formulazione della norma, come interpretata dalla decisione Cass. n. 8053 del 7/4/2014, richiedente il riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo;

che, per altro verso, l’inammissibilità delle censure discende dalla circostanza che le medesime attengono a vizio di motivazione in ipotesi di doppia decisione conforme (Cass. n. 26774 del 22/12/2016);

che, in ogni caso, le censure sostanzialmente propongono una valutazione degli elementi istruttori divergente rispetto a quella del giudice del merito, cui tale attività è riservata (Cass. n. 29404 del 07/12/2017);

il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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