Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29826 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.M.A. C.F.: (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma, Circonvallazione Clodia n. 29, presso lo studio

dell’Avvocato Piccini Barbara, dal quale è rappresentata e difesa,

unitamente all’Avvocato Giuliano Dalfini, per procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GRE-CASA di Rossini Giuseppe e C. s.n.c. (P.I.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, via Muggia n. 21, presso lo studio dell’Avvocato

Rendina Simona, dal quale è rappresentata e difesa, unitamente agli

Avvocati Vincenzo Ierimonte e Guido Trabucchi, per procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1447 del

2009, depositata in data 9 settembre 2009.

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti gli Avvocati Barbara Piccini e Simona Rendina;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

FUCCI Costantino, il quale ha concluso in senso conforme alla

relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ..

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che la Gre-Casa di Rossini Giuseppe & C. s.n.c. conveniva in giudizio B.M.A. chiedendone la condanna al pagamento di Euro 73.000,00 a titolo di risarcimento danni subiti per la sospensione dei lavori per la costruzione di due fabbricati su lotto di terreno acquistato, con atto 23 novembre 1988, dalla convenuta, la quale aveva assicurato trattarsi di terreno edificabile perchè inserito in un piano di lottizzazione;

che i lavori erano stati sospesi per la mancata ottemperanza all’obbligo (taciuto dalla alienante. che aveva anche omesso di prestare la fideiussione chiesta dal Comune) di realizzare le opere di urbanizzazione;

che, costituitosi il contraddittorio, la convenuta chiedeva il rigetto della domanda sostenendone l’infondatezza;

che con sentenza n. 2103 del 2004 l’adito Tribunale di Verona accoglieva la domanda e condannava la convenuta a pagare all’attrice Euro 37.701,35;

che la soccombente B. proponeva appello al quale resisteva la società Gre-Casa;

che con sentenza resa pubblica mediante deposito il 9 settembre 2009 la Corte di appello di Venezia, in parziale accoglimento del gravame, riduceva ad Euro 17.793,78 la somma posta a carico della B.;

che la Corte osservava che: l’appellata, consapevole della mancata ottemperanza nei termini all’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione, aveva omesso di farne menzione alla società acquirente e, anzi, aveva accordato garanzia in merito alla inesistenza di ordinanze comunali pregiudizievoli e alla possibilità edificatoria del lotto; alcune di dette opere di urbanizzazione non erano state realizzate in modo conforme a quanto previsto; la B. non aveva neanche prestato la fideiussione bancaria a garanzia della completa esecuzione delle opere di urbanizzazione; la controversia tra la B. e il Comune si era risolta – con il pagamento da parte della appellante di L. 16.500.000 – solo nel novembre 1989; il cantiere della società acquirente era rimasto bloccato per quasi 10 mesi, il che costituiva conferma della decisione del Tribunale in merito alla sussistenza dell’an debeatur;

era configurabile la responsabilità della B. per violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.; il danno subito dalla appellata era pari ad Euro 10.793,78 per le spese sostenute per la necessaria proposizione di due ricorsi al Tar Veneto; alla società appellata non potevano essere riconosciuti danni connessi alle spese sostenute per la sistemazione del cantiere e per il rifacimento dei muri perimetrali; andava riconosciuto solo il ristoro dei danni derivanti dall’aumento dei costi di manodopera e materiali e dalla ritardata percezione degli utili conseguiti con la vendita degli appartamenti dei due edifici; le due circostanze generatrici del danno potevano ritenersi presunte; in mancanza di elementi per confermare il valore dichiarato degli immobili realizzati e venduti, il danno in questione andava necessariamente liquidato in via equitativa e quantificato in Euro 7.000,00;

che la cassazione di tale sentenza è stata chiesta da B.M. A. con ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la Gre-Casa di Rossini Giuseppe & C. s.n.c.;

che essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso con il rito camerale, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) 6) Con il primo motivo di ricorso la B. denuncia violazione degli artt. 1175, 1375 e 1489 c.c. deducendo che ad essa ricorrente è stato contestato di non aver dichiarato che era necessario ultimare le opere di urbanizzazione e non di aver affermato il falso dichiarando o facendo intendere che le dette opere erano state ultimate. Quanto dichiarato da essa B. nel contratto di compravendita non è contraddetto dalla mancata ultimazione delle opere di urbanizzazione. Peraltro l’art. 1489 c.c., non ha nulla a che vedere con l’onere di realizzare le opere di urbanizzazione. Non ha poi senso la contestazione relativa alla violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. posto che essa ricorrente non ha mai garantito l’ultimazione delle opere di urbanizzazione e che la controparte ha peccato di superficialità procedendo all’esecuzione delle opere senza effettuare alcun controllo in Comune.

7) Il motivo è manifestamente infondato atteso che la Corte di appello ha ravvisato la responsabilità della B. per violazione non dell’art. 1489 c.c., bensì degli artt. 1175 e 1375 c.c. dando al riguardo adeguata e coerente motivazione, ponendo in evidenza il non corretto comportamento tenuto dalla ricorrente sia per aver taciuto – durante le trattative contrattuali e poi nello stipulare il contratto – la mancata ultimazione delle opere di urbanizzazione, sia per aver omesso di attivarsi, dopo la stipula del contratto, al fine di rendere possibile la realizzazione delle opere progettate dalla società acquirente. La Corte di appello ha quindi ineccepibilmente rilevato che la B., comportandosi in tal modo, ha violato il dovere di fare quanto possibile per assicurare la soddisfazione dell’interesse dell’altra parte contrattuale e ciò indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali. Tale parte della sentenza impugnata non ha formato oggetto di specifiche censure da parte della ricorrente nel motivo in esame, nel quale neanche si formulano precise e circostanziate critiche all’altra parte di detta sentenza con la quale la Corte di appello ha indicato, come ulteriore ed autonomo comportamento inadempiente della ricorrente, il ritardo con il quale quest’ultima aveva rimosso gli ostacoli alla possibilità di edificazione costituiti dalla fideiussione bancaria richiesta dal Comune a garanzia delle esecuzione delle opere di urbanizzazione.

8) Con il secondo motivo la B. denuncia violazione dell’art. 1226 c.c. e vizi di motivazione deducendo che -in relazione al danno liquidato in Euro 7.000,00 – la società Gre-Casa nulla ha allegato o provato per rendere possibile la quantificazione come sarebbe stato consentito provando l’entità del capitale immobilizzato, producendo i bilanci, dimostrando l’aumento dei costi delle materie prime e della manodopera e chiarendo l’entità dei lavori rifatti.

9) Il motivo è palesemente fondato risultando evidente l’errore commesso dalla Corte di appello nell’aver prima ritenuto presunte le due circostanze generatrici del danno (aumento dei costi e perdita per la ritardata percezione degli utili) e poi liquidato il danno in via equitativa per la “mancanza di elementi per confermare il valore dichiarato degli immobili realizzati e venduti”. Operando in tal modo il giudice di appello si è posto in contrasto con i seguenti principi più volte affermati da questa Corte:

– il potere discrezionale che l’art. 1226 cod. civ. conferisce al giudice del merito è rigorosamente subordinato al duplice presupposto che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che sia impossibile, o molto difficile, la dimostrazione del loro preciso ammontare, non già per surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza (sentenza 12/4/2006 n. 8615);

– in tema di risarcimento del danno, l’accertamento del fatto) produttivo del pregiudizio non è, di per sè, sufficiente a giustificare una pronuncia di condanna al risarcimento in forza di valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., occorrendo l’impossibilità o l’estrema difficoltà, nel caso concreto, di provare l’ammontare del danno (sentenza 24/10/2006 n. 22836); (…) – la liquidazione del danno in via equitativa può aver luogo soltanto in caso di impossibilità o difficoltà di una precisa prova sull’ammontare e sull’entità del danno subito (sentenza 11/7/2007 n. 15585);

– l’attore, che abbia proposto una domanda di condanna al risarcimento dei danni da accertare e liquidare nel medesimo giudizio, ha l’onere di fornire la prova certa e concreta del danno, così da consentirne la liquidazione (sentenza 15/2/2008 n. 3794);

– l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 122 6 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ., da luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, 1 dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi proba tori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinchè l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'”iter” della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno (sentenza 7/6/2007 n. 13288).

Nella specie – come rilevato dalla stessa Corte di appello -la società danneggiata non ha fornito “gli elementi per confermare il valore dichiarato degli immobili realizzati e venduti” così venendo meno all’obbligo sulla stessa incombente di provare l’ammontare del danno lamentato o di dimostrare l’impossibilità o l’estrema difficoltà nel caso concreto di provare l’entità del danno derivante dall’aumento dei costi e dalla ritardata percezione degli utili. Va in proposito osservato che la società acquirente ben avrebbe potuto fornire agevolmente adeguate e convincenti prove (essenzialmente documentali: contratti di vendita; prezzi dei materiali e della manodopera) in ordine all’asserito incremento dei costi e alle somme incassate per la vendita dei singoli appartamenti.

Considerato quindi che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio per ivi essere rigettato il primo motivo di ricorso e accolto il secondo (…) rimette gli atti al Presidente per la fissazione dell’adunanza della Corte a norma dell’art. 375, comma 1, n. 1 e 5 e art. 380 bis, comma 2″;

che il Collegio condivide tale proposta di decisione, non contenendo la memoria depositata da parte ricorrente argomenti idonei ad indurre a una diversa conclusione;

che invero, ribadito che in nessun passo della sentenza impugnata si legge alcun riferimento alla supposta violazione dell’art. 1489 cod. civ., la Corte d’appello ha congruamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto che la ricorrente abbia violato i doveri di correttezza e buona fede, omettendo di informare la parte acquirente del mancato completamento delle opere di urbanizzazione e delle conseguenze negative di tale circostanza sul rilascio della concessione edilizia;

che il primo motivo di ricorso non censura adeguatamente tale statuizione, ma postula invece che la causa sia stata decisa in appello sulla base dell’art. 1489 cod. civ. ed è pertanto manifestamente infondato, non valendo le considerazioni svolte nella memoria dalla ricorrente ad integrare una censura non tempestivamente proposta con il ricorso;

del resto la responsabilità della ricorrente, nei termini ravvisati dalla Corte d’appello, non può neanche escludersi sulla base del rilievo che la società resistente ha iniziato la propria attività edilizia prima del formale rilascio della concessione, potendo al più una simile circostanza incidere sulla determinazione dei danni patiti, in relazione alla quale, peraltro, la ricorrente non ha svolto specifiche censure;

che, con riferimento alla proposta di accoglimento del secondo motivo di ricorso, si deve rilevare che la controricorrente non ha svolto alcuna critica;

che in conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso e accolto il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia;

che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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