Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2982 del 16/02/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2982 Anno 2016
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — La S.I.C.E. Costruzioni S.r.l. convenne in giudizio la Banca Popolare
Pugliese Soc. Coop. p.a., per sentir dichiarare la nullità delle clausole del contratto
di conto corrente stipulato il 3 ottobre 1974 che richiamavano le condizioni praticate dalle aziende di credito su piazza per la determinazione del tasso d’interessi e
di quelle riguardanti la capitalizzazione trimestrale, le commissioni ed i giorni valuta, con la condanna della convenuta alla restituzione delle somme risultanti a
credito di essa attrice.
Si costituì la Banca, ed eccepì che il tasso d’interesse era stato regolarmente
convenuto per iscritto nell’ambito di concessioni di fido, opponendo inoltre la legittimità della capitalizzazione ed il mancato superamento del tasso-soglia previsto dalla legge 7 marzo 1996, n. 108.
1.1. — Con sentenza del 19 gennaio 2009, il Tribunale di Lecce accolse parzialmente la domanda, determinando il credito dell’attrice in Euro 45.576,68 alla
data del 30 aprile 1998, condannando la Banca al pagamento della differenza tra il
saldo debitore del conto corrente alla data di chiusura ed il predetto importo, da
calcolarsi in separato giudizio, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali con

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Data pubblicazione: 16/02/2016

decorrenza dalla domanda.
2. — L’impugnazione proposta dalla SICE è stata parzialmente accolta dalla
Corte d’Appello di Lecce, che con sentenza del 6 ottobre 2011 ha accolto anche il

45.576,68, oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda, l’importo dovuto in
restituzione.
Premesso che, in quanto censurata dall’appellante soltanto nella memoria di
replica, la sentenza di primo grado era passata in giudicato nella parte in cui aveva
ritenuto legittima la capitalizzazione annuale degl’interessi, la Corte ha dichiarato
inammissibile la documentazione prodotta dalla SICE nel corso della c.t.u. espletata in primo grado e ridepositata con l’atto d’appello, osservando che le preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 cod. proc. civ. si riferiscono anche alle prove precostituite, ed escludendo la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 345, terzo comma,
cod. proc. civ., in quanto i documenti prodotti, consistenti in estratti conto, erano
già in possesso dell’attrice all’epoca del giudizio di primo grado e non risultavano
comunque sufficienti a provocare un ribaltamento della decisione impugnata, richiedendo lo svolgimento di ulteriori indagini.
Rilevato inoltre che, come accertato dal c.t.u., al contratto di conto corrente
accedeva un’apertura di credito per Lire 1.200.000.000, per la quale la società attrice si era obbligata a corrispondere gl’interessi al tasso del 18% e del 14% con
atti sottoscritti rispettivamente il 13 novembre 1990 e 6 giugno 1994, la Corte ha
ritenuto che la produzione delle relative scritture, sottoscritte dall’attrice e recanti
la specifica indicazione del tasso d’interesse, fosse sufficiente a sopperire alla
mancata sottoscrizione da parte della Banca, reputando irrilevante la condotta da
quest’ultima tenuta nei rapporti con gli altri clienti. Precisato poi che il TAEG non

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gravame incidentale proposto dalla Banca, determinando definitivamente in Euro

aveva mai superato il tasso soglia previsto dalla legge n. 108 del 1996, in ogni caso inapplicabile alla fattispecie in esame, la Corte ha ritenuto inammissibile, ai
sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., la produzione di due lettere del 3 marzo 1995 e

cazioni, osservando comunque che non era stato chiarito il modo in cui tale ammllamento potesse riflettersi sull’apertura di credito e sulle richieste di affidamento
inviate dalla SICE.
Rilevato infine che l’importo riconosciuto a quest’ultima era rimasto incontestato, ha ritenuto superfluo il rinvio della sua determinazione ad un separato giudizio, osservando invece che, in quanto dovuto a titolo di ripetizione dell’indebito,
esso integrava un debito di valuta, con la conseguente esclusione della rivalutazione monetaria.
3. — Avverso la predetta sentenza la SICE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. La Banca ha resistito
con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 61, 62, 91, 112, 115, 116, 183, 184, 191,
194 e 196 cod. proc. civ. e degli artt. 1283, 1284 e 2697, secondo comma, cod.
civ., anche ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., osservando
che, nel dichiarare inammissibili i documenti prodotti in primo grado e ridepositati in appello, la sentenza impugnata non ha considerato che la domanda di restituzione degl’importi indebitamente corrisposti a titolo d’interessi si estendeva all’intero rapporto di conto corrente, e richiedeva pertanto l’acquisizione della documentazione ad esso relativa fin dalla data della sua instaurazione, con la conse-

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del 22 agosto 1996, con cui la Banca aveva annullato tutte le precedenti comuni-

guenza che i documenti prodotti dalla Banca avrebbero dovuto essere integrati con
l’acquisizione degli estratti conto, alla quale il c.t.u. avrebbe dovuto provvedere
autonomamente, indipendentemente dalle preclusioni nel frattempo maturate. Nel

Banca aveva d’altronde proposto eccezioni in senso proprio, restando pertanto assoggettata all’onere di provare, oltre alla sopravvenienza dei predetti accordi, il
saldo esistente al momento in cui gli stessi erano intervenuti.
2. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel dichiarare inammissibili i documenti prodotti in appello, la sentenza impugnata non ha
considerato che la produzione degli stessi era imposta dall’insufficienza della documentazione prodotta dalla Banca e dalla decisione conseguentemente adottata in
primo grado, la quale, comportando l’azzeramento del saldo del conto alla data del
31 dicembre 1991, avrebbe richiesto la rinnovazione della c.t.u., ai fini della ricostruzione dell’andamento del rapporto fin dalla data della sua instaurazione.
3. — I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi entrambi ad oggetto l’ammissibilità dei documenti prodotti, sono infondati.
La domanda proposta dalla società attrice ha infatti ad oggetto la restituzione
delle somme indebitamente percepite dalla Banca a titolo d’interessi sul saldo debitore del conto corrente ad essa intestato, in virtù di clausole contrattuali ritenute
nulle in quanto regolanti il tasso d’interesse attraverso il rinvio agli usi e la previsione della capitalizzazione trimestrale: la determinazione dell’importo dovuto
presupponeva pertanto la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla
base degli estratti conto attestanti i movimenti registrati a partire dall’apertura del

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far valere i tassi d’interesse convenuti negli atti sottoscritti nel 1990 e nel 1994, la

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conto stesso, dovendosi procedere alla rideterminazione del saldo finale mediante
l’applicazione del tasso d’interesse effettivamente dovuto, con esclusione dell’anatocismo (cfr. Cass., Sez. I, 20 settembre 2013, n. 21597; 19 settembre 2013, n.

Mentre nel caso in cui la domanda abbia ad oggetto il pagamento della somma dovuta a titolo di saldo debitore l’onere di fornire la prova dell’andamento del
conto incombe alla banca, in qualità di attrice, nel caso in esame, vertendosi in
tema di ripetizione dell’indebito, la predetta dimostrazione era a carico della correntista, a sua volta tenuta, in qualità di attrice, a provare i fatti costitutivi della
domanda, e quindi non solo l’inesistenza della giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore della Banca, ma anche l’ammontare delle somme
dovute in restituzione, in quanto ingiustificatamente corrisposte (cfr. Cass., Sez.
III, 25 gennaio 2011, n. 1734; 15 luglio 2011, n. 15667; Cass., Sez. lav., 10 novembre 2010, n. 22872). Il predetto onere non può aver subito alcuna inversione
per effetto delle eccezioni sollevate dalla convenuta, il cui oggetto, costituito
dall’intervenuta pattuizione del tasso d’interesse nell’ambito di concessioni di fido
stipulate nel 1990 e nel 1994, pur ponendo la relativa prova a carico della Banca,
che l’ha puntualmente fornita, non dispensava l’attrice dalla dimostrazione dell’andamento concreto del rapporto, a suo dire divergente dalle condizioni concordate.
Se è vero, d’altronde, che, pur in mancanza di un apposito patto stipulato ai sensi
dell’art. 2698 cod. civ., l’inversione dell’onere della prova può essere determinata
dalla condotta processuale della parte, è anche veroperò, che a tal fine non risulta
sufficiente la deduzione o anche l’offerta della prova alla quale la stessa non è tenuta, occorrendo invece un’inequivoca manifestazione della volontà di rinunciare
ai benefici ed ai vantaggi derivanti dal principio generale che regola la distribu-

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21466; 10 settembre 2013, n. 20688).

zione dell’onere in questione e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento
della prova dedotta od offerta (cfr. Cass., Sez. III, 7 luglio 2005, n. 14306; 21 febbraio 2003, n. 2653; Cass., Sez. V, 10 dicembre 2002, n. 17573). Irrilevante, in

dalla sentenza di primo grado, la quale, anzi, ha giustificato il diniego della restituzione delle somme ingiustificatamente addebitate in epoca precedente alla stipulazione delle concessioni di fido proprio con la mancata dimostrazione dell’andamento del rapporto nel predetto periodo, dovuta alla tardiva produzione dei relativi estratti conto da parte dell’attrice: non può pertanto condividersi l’affermazione
di quest’ultima, secondo cui tale produzione avrebbe dovuto essere ritenuta ammissibile anche nel giudizio di appello, trattandosi di documenti la cui acquisizione agli atti era resa necessaria dalla decisione adottata in primo grado.
Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto insussistenti i requisiti prescritti dall’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. per l’ammissibilità di
nuovi mezzi di prova, rilevando che la mancata produzione degli estratti conto
nella precedente fase processuale non era stata determinata da una causa non imputabile alla ricorrente, la quale ne aveva già la disponibilità, ed escludendo l’indispensabilità di tali documenti, in quanto inidonei a determinare da soli il ribaltamento della decisione di primo grado: tale statuizione si pone infatti in linea con
l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui
la predetta disposizione, nell’individuare i requisiti che i documenti, al pari degli
altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame, prescrive in via alternativa che la produzione in primo grado sia stata impedita da cause indipendenti dalla volontà della parte e che si tratti di documenti dotati di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove definite come

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quest’ottica, è anche la circostanza che la domanda sia stata parzialmente accolta

rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia (cfr. ex plurirnis, Cass.,
Sez. III, 5 dicembre 2011, n. 26020; Cass., Sez. V, 16 ottobre 2009, n. 21980; 23
marzo 2007, n. 7138).

cazione degli artt. 1284 e 1842 e ss. cod. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittima la pattuizione degl’interessi
ultralegali sulla base degli atti prodotti dalla Banca. Afferma infatti che, pur non
richiedendo la produzione di un atto sottoscritto contestualmente da entrambe le
parti, la prova della predetta pattuizione presuppone l’esistenza di un rapporto inscindibile tra le sottoscrizioni o gli atti sottoscritti separatamente, in mancanza del
quale deve escludersi l’incontro di volontà delle parti: essa, pertanto, non poteva
essere desunta da due richieste di fido intervenute a notevole distanza di tempo
dall’instaurazione del rapporto di conto corrente, dovendosi tener conto, in assenza
di qualsiasi riscontro alle predette richieste, dell’affidamento di essa ricorrente in
ordine alla prosecuzione del rapporto nei termini previsti dal contratto originariamente stipulato.
4.1. — Il motivo è infondato.
L’affermata legittimità dell’addebito degl’interessi in misura superiore a quella legale è stata infatti giustificata dalla sentenza impugnata con l’osservazione che
il relativo tasso era stato pattuito nell’ambito delle aperture di credito concesse con
atti del 13 novembre 1990 e del 6 giugno 1994, prodotti dalla Banca, il cui accreditamento sul conto corrente è stato ritenuto idoneo a far sorgere a carico della
correntista l’obbligo di corrispondere gl’interessi al tasso indicato, non avendo l’attrice individuato una diversa funzione dei predetti affidamenti. Tale percorso logi-

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4. — Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa appli-

co, che ha condotto la Corte di merito ad estendere al conto corrente il tasso d’interesse pattuito per le aperture di credito, non risulta scalfito dalle contrarie argomentazioni della ricorrente, la quale, nell’insistere sull’avvenuta concessione dei

che, non essendo state fornite valide prove in ordine all’andamento del rapporto
nel predetto periodo, non vi era alcuna certezza che sul conto fossero state addebitate anche somme diverse da quelle da essa utilizzate nell’ambito della disponibilità concessa con le aperture di credito, con la conseguenza che non può ritenersi
illogica l’applicazione del predetto tasso a tutti gl’importi annotati a debito della
correntista dal momento della concessione dei fidi.
Nel ritenere acquisita la prova della pattuizione degl’interessi nella forma prescritta dall’art. 1284, terzo comma, cod. civ., per effetto dell’avvenuta produzione
da parte della Banca di atti sottoscritti dalla sola società attrice, la sentenza impugnata si è poi conformata al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza
di legittimità in tema di contratti per la cui stipulazione è richiesta la forma scritta
ad substantiam, secondo cui il contraente che non abbia materialmente sottoscritto
l’atto negoziale può validamente perfezionarlo producendolo nel corso del giudizio al fine di farne valere gli effetti nei confronti dell’altro contraente, a meno che
quest’ultimo, pur avendo validamente sottoscritto l’atto, non abbia poi revocato il
proprio consenso prima della proposizione della domanda giudiziale (cfr. Cass.,
Sez. VI, 5 giugno 2014, n. 12711; Cass., Sez. H, 17 ottobre 2006, n. 22223; 8
marzo 2006, n. 4921). Nessun rilievo possono assumere, in contrario, i precedenti
richiamati dalla ricorrente, i quali, nel subordinare il perfezionamento del contratto all’accertamento di un nesso inscindibile tra le dichiarazioni negoziali delle parti, si riferiscono alla diversa ipotesi in cui, essendo le stesse contenute in docu-

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fidi a distanza di circa sedici anni dall’apertura del conto, omette di considerare

menti diversi, cronologicamente distinti, l’affermazione dell’avvenuto incontro
della volontà delle parti presupponga logicamente la verifica dell’esistenza di un
collegamento tra i documenti prodotti (cfr. Cass., Sez. II, 19 novembre 1991, n.

3088; Cass., Sez. I, 18 luglio 1997, n. 6629; 11 dicembre 1999, n. 13865).
5. — Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 112, 324, 342 e 346 cod. proc. civ.,
osservando che, nel rilevare l’intervenuta formazione del giudicato in ordine alla
capitalizzazione annuale degl’interessi, la sentenza impugnata non ha considerato
che la richiesta di rinnovazione della c.t.u. avanzata con l’atto di appello era volta
proprio a ricondurre a legittimità il calcolo degl’interessi, con esclusione dell’anatocismo, in tal senso dovendosi correttamente intendere il riferimento alla capitalizzazione trimestrale, già dichiarata illegittima dalla sentenza di primo grado. In
proposito, non era infatti configurabile un’acquiescenza di essa ricorrente, non
emergendo dall’atto di appello un’accettazione espressa della predetta pronuncia o
un comportamento inequivocabilmente incompatibile con la volontà d’impugnarla.
5.1. — Il motivo è infondato.
Correttamente, infatti, la sentenza impugnata ha ritenuto che la mera richiesta
di rinnovazione della c.t.u., finalizzata alla ricostruzione dell’andamento del conto
corrente sulla base del tasso d’interesse effettivamente applicabile, fosse inidonea
ad evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, nella parte in
cui aveva ritenuto legittima la capitalizzazione degl’interessi, sia pure con cadenza
diversa da quella applicata dalla Banca. Ai fini della specificità dei motivi di appello, l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione
non può risolversi nella mera contestazione dei conteggi elaborati dal c.t.u., ma

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12411; nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. II, 13 febbraio 2007, n.

richiede una critica adeguata e puntuale della decisione impugnata, che consenta
d’individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame ed il contenuto
delle censure rivolte alla motivazione, in modo tale da delimitare rigorosamente

tantum devolutum quantum appellatum, e da rendere possibile una precisa e ragionata valutazione delle ragioni fatte valere dall’appellante (cfr. Cass., Sez. lav.,
17 dicembre 2010, n. 25588; Cass., Sez. I, 19 settembre 2006, n. 20261; Cass.,
Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27727).
In assenza di una chiara manifestazione della volontà d’impugnare la sentenza
di primo grado anche nella parte riguardante la capitalizzazione degl’interessi, non
meritano accoglimento le censure sollevate dalla ricorrente in ordine alla configurabilità dell’acquiescenza parziale, ai fini della quale non è necessaria un’accettazione espressa delle statuizioni non impugnate, risultando sufficiente che, come
nella specie, dall’atto d’impugnazione si desuma in modo inequivoco la volontà di
sollecitare il riesame soltanto di una parte della decisione, del tutto autonoma rispetto a quelle non impugnate, e che queste ultime non ne costituiscano lo sviluppo logico, in modo da potersi escludere che la loro impugnazione si ponga in rapporto di consequenzialità necessaria con quella della statuizione censurata (cfr.
Cass., Sez. I, 7 gennaio 2008, n. 33; 17 aprile 2007, n. 9141; Cass., Sez. lav., 20
agosto 2003, n. 12267).
6. — Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ., sostenendo che, nel negare la rivalutazione della
somma dovuta, la sentenza impugnata non ha considerato che nelle obbligazioni
pecuniarie il maggior danno derivante dal ritardo nell’adempimento può essere riconosciuto in via presuntiva sulla base della differenza tra il tasso di rendimento

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l’ambito del riesame concesso al giudice d’appello, in conformità del principio

medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il
tasso d’interesse legale.
6.1. — Il motivo è inammissibile, in quanto, presupponendo il mancato rico-

attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha preso in esame la relativa domanda, ritenendola evidentemente mai avanzata, ma si è limitata
a dare atto della natura pecuniaria dell’obbligazione avente ad oggetto la restituzione delle somme ingiustificatamente addebitate a titolo d’interessi, ed ha pertanto escluso la possibilità di liquidare l’importo dovuto tenendo conto delle sopravvenute variazioni del potere d’acquisto della moneta.
7. — Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la S.I.C.E. Costruzioni S.r.l. al pagamento
delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, ivi compresi Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2015, nella camera di consiglio della
Prima Sezione Civile

noscimento del maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ., non

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