Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29815 del 19/11/2018
Cassazione civile sez. II, 19/11/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 19/11/2018), n.29815
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6453/2014 proposto da:
P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE
MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO LOMBARDI,
rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO GARLATTI;
– ricorrente –
contro
D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, V. BOCCA DI LEONE
78, presso lo studio dell’avvocato IMMACOLATA LEPRI, rappresentato
e difeso dall’avvocato CHIARA CANCIANI;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il
17/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
19/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che chiede
l’inammissibilità del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 12.11.2004 il geom. P.M. conveniva in giudizio il sig. D.D. davanti al Tribunale di Udine, chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di Euro 23.658,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, quale residuo dovutogli a saldo di prestazioni professionali effettuate tra il 1999 e il 2003, in occasione della ristrutturazione di un edificio con n. 6 alloggi situati nel Comune di (OMISSIS). Produceva, all’uopo, notula dettagliata, redatta sulla base della allora vigente tariffa professionale, dando atto del versamento di alcuni acconti e, concedendo, comunque, una riduzione di oltre Euro 18.000,00, rispetto al totale indicato nella predetta notula.
Si costituiva in giudizio il convenuto, contestando la pretesa attorea sostenendo, in primis, che la parcella attorea non sarebbe stata conforme alla tariffa professionale, tanto che non risultava vistata dal competente Collegio; eccepiva poi una presunta negligenza del professionista nella conduzione della direzione dei lavori per non aver eccepito ad una delle imprese appaltatrici taluni vizi delle opere realizzate e formulava le seguenti conclusioni: “nel merito: accertata l’effettiva attività professionale svolta dall’attore a beneficio del convenuto e le eventuali relative responsabilità professionali, nonchè gli eventuali danni arrecati a parte convenuta per i motivi e fatti esposti in narrativa, dichiararsi congruo l’importo già versato dal sig. D. al geom. P. per l’attività professionale da esso svolta e, pertanto, respingersi l’ulteriore di cui in citazione; in subordine: accertarsi e dichiararsi l’entità della somma spettante all’attore per le sue prestazioni professionali, svolte in favore di parte convenuta. In via riconvenzionale: condannarsi il geom. P. a pagare al sig. D.D. l’importo di Euro 2.746,77 per fornitura di carburante; condannarsi la parte attrice alla rifusione delle spese di procedimento a beneficio della parte convenuta”.
Il Tribunale di Udine con sentenza n. 926 del 2011 dichiarava la nullità dell’incarico conferito al convenuto sulla base dei limiti posti all’esercizio dell’attività di geometra del R.D. n. 274 del 1929, art. 16, lett. l) ed m). Per l’effetto, rigettava la domanda attorea, condannava l’attore al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso questa sentenza, interponeva appello il geom. P.M. censurando la sentenza impugnata per diversi motivi e chiedendo che venisse accolta la sua domanda originaria.
La Corte di Appello di Trieste, con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., dichiarava inammissibile l’appello.
La cassazione della sentenza del Tribunale di Udine e dell’ordinanza della Corte di Appello di Trieste è stata chiesta da P.M. per quattro motivi di cui il primo riferito all’ordinanza della Corte di Appello. D.D. ha resistito con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – P.M. lamenta:
a) Con il primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
b) con il secondo motivo (contrassegnato come primo), l’erronea applicazione di legge più precisamente del R.D. n. 274 del 1929, art. 16, lett. l) ed m).
c) Con il terzo motivo, erronea applicazione di legge del R.D. n. 327 del 1929, art. 16.
d) Con il quarto motivo, erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c..
2. – Il ricorso è inammissibile per tardività.
2.1. – Questa Corte ha chiarito che l’impugnazione autonoma (o congiunta alla sentenza di primo grado) dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., nei casi in cui è consentita, deve essere proposta nello stesso termine, previsto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 3, per l’impugnazione del provvedimento di primo grado (Cass. 06/02/2017, n. 3067; Cass. 12/12/2016, n. 25456; Cass. 13/10/2016, n. 20662).
Al riguardo, questa Corte ha infatti statuito che, sebbene l’art. 348 ter c.p.c., comma 3, disciplini espressamente solo il caso di ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, tuttavia ragioni di evidente coerenza logica impongono di ritenere assoggettato al medesimo termine anche il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, giacchè, se si applicasse, invece, a quest’ultima il termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c., il decorso di termini distinti per l’impugnazione dei due provvedimenti comporterebbe la conseguenza paradossale che l’esercizio del diritto di impugnare l’ordinanza resterebbe possibile pur dopo il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (Cass. 23/09/2015, n. 18827).
2.2. – Il termine per proporre ricorso per cassazione previsto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 3 – decorrente dalla comunicazione (o notificazione, se anteriore) dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile il gravame – si identifica in quello “breve” di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, dovendo intendersi il riferimento all’applicazione dell’art. 327 c.p.c., “in quanto compatibile” (contenuto nel medesimo art. 348 ter c.p.c.), come limitato ai casi in cui tale comunicazione (o notificazione) sia mancata (Cass. 14/12/2015, n. 25115).
2.3. – Ciò posto, nel caso di specie, è pacifico (per stessa ammissione del ricorrente vedi pag. 1 ricorso per cassazione) che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello è stata comunicata alle parti in data 17 gennaio 2013. A fronte di tale comunicazione, il ricorso per cassazione è stato notificato a D.D., soltanto il 3 marzo 2014, quando era ormai abbondantemente scaduto il termine di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Il ricorso è, dunque, inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso e accessori, come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 citato, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 19 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018