Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29814 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. II, 29/12/2011, (ud. 19/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29814

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv. Gigli Mauro, elettivamente domiciliato

nello studio dell’Avv. Antonella Fiorita in Roma, viale Giulio

Cesare, n. 71;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VITERBO, in persona del presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Viterbo, sezione distaccata di

Montefiascone, in data 15 febbraio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19

dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che il Tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Montefiascone, ha rigettato il ricorso in opposizione proposto da P.M. avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale l’Amministrazione provinciale di Viterbo gli aveva irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 774 per violazione della L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 21, lett. z), (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), per avere detenuto trappole per la fauna selvatica all’interno della riserva naturale (OMISSIS);

che il Tribunale ha rilevato che il rinvenimento nell’autocarro condotto dal P. di lacci in acciaio con un’estremità a cappio integra la condotta vietata dalla L. n. 157 del 1992, art. 21, lett. z), costituita dalla semplice detenzione di trappole per la cattura della fauna selvatica, sanzionata dalla L.R. 2 maggio 1995, n. 17, art. 47, comma 1, lett. ss), (Norme per la protezione della fauna selvatica e la gestione programmata dell’esercizio venatorio), apparendo detti strumenti del tutto idonei ad essere utilizzati per l’attività di bracconaggio;

che il Tribunale non ha ritenuto condivisibile la tesi secondo la quale gli strumenti sequestrati erano utilizzati dal P. nello svolgimento dell’attività pastorizia, per l’installazione e la fissazione di recinzioni per gli ovini, e ciò avuto riguardo al tipo di oggetti (cavetti con nodi a cappio) e al luogo e all’orario nei quali l’illecito è stato contestato (all’interno di una riserva naturale e alle ore 22.30);

che per la cassazione della sentenza del Tribunale il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 14 marzo 2006, sulla base di un complesso motivo;

che la Provincia di Viterbo non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 157 del 1992, art. 21 e della L.R. Lazio n. 17 del 1995, omessa o insufficiente istruttoria in ordine all’accertamento delle cause di esclusione della responsabilità L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 4 e vizio di motivazione per mancata ammissione dei mezzi istruttori offerti ;

che il ricorrente si duole che il giudice a quo, avendo svolto solo una modesta attività istruttoria senza accertare la natura e la possibilità di utilizzo degli oggetti di acciaio sequestrati, abbia reso incomprensibile la ratio decidendi, per mancanza di motivazioni ed argomentazioni; deduce che la prova per testi non ammessa dal Tribunale mirava a far emergere la causa di esclusione della responsabilità e quindi l’inapplicabilità della sanzione amministrativa, essendo la detenzione dei lacci di acciaio riconducibile a fini lavorativi, trattandosi di strumenti di lavoro indispensabili al P. per gli usi consentiti all’attività di pastore; fa presente che il P. non è stato colto nell’attività di cacciare, ma semplicemente alla guida di un autocarro al cui interno erano custoditi detti cavetti;

che il complesso motivo è infondato;

che occorre premettere che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni;

che nella specie il Tribunale ha ritenuto provata -con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa – la detenzione di trappole per la cattura della fauna selvatica, giacchè al P. sono stati sequestrati – all’interno di una riserva naturale (la (OMISSIS)) ed in orario notturno – lacci di acciaio con un’estremità a cappio, strumenti, questi, dal giudice valutati del tutto idonei per la caccia di frodo;

che il giudizio espresso dal giudice del merito sulla irrilevanza per superfluità della prova testimoniale capitolata dall’opponente, sfugge alle censure del ricorrente, essendo chiaro dal ragionamento svolto nella sentenza impugnata che la mancanza di pecore al seguito e il luogo e l’orario in cui l’illecito è stato contestato non potessero in alcun modo ricondurre in concreto i cavetti sequestrati con nodo a cappio all’attività di pastore svolta dal P., ma in un contesto tutt’affatto diverso;

che il motivo nel suo complesso, anche là dove denuncia il vizio di violazione di legge, finisce con il risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito;

che pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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