Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29814 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. II, 19/11/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 19/11/2018), n.29814

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5933/2014 proposto da:

D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

140, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI LUCATTONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA FABI;

– ricorrente –

contro

D.T.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO

II N. 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PALMIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASCIA CICCHITTI;

– controricorrente –

e contro

J.D.M. SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6219/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che chiede il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato, a mezzo del servizio postale, in data 20-25,10,2005, D.D., quale titolare dell’omonima ditta individuale, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, D.T.E., titolare dell’omonima ditta e impresa individuale, al fine di sentirlo condannare al pagamento di Euro 35.348,69 oltre IVA, interessi e rivalutazione monetaria, ovvero, al pagamento del diverso importo accertato in giudizio; il tutto col favore delle spese di lite. A sostegno di tale domanda esponeva di aver eseguito su incarico in subappalto dell’impresa individuale del convenuto lavori di impiantistica presso gli edifici realizzati dalla stessa impresa convenuta e che tali lavori, benchè realizzati come richiesto dal committente e subappaltatore, comprendenti anche lavori extracontratto realizzati per esigenze dell’affittuario dei locali, tale D.M.J., non erano stati saldati interamente, residuando, infatti, da pagare la somma richiesta in citazione. Aggiungeva al riguardo che il valore economico totale dei lavori eseguiti, compresi quelli aggiuntivi, ammontava ad Euro 60.348,69 oltre i.v.a” e di questo risultavano versati Euro 25.000,00, di talchè residuava un credito di Euro 35.348,69 oltre i.v.a., rimasto insoluto, nonostante, le formali richieste avanzate al convenuto.

Si costituiva il convenuto D.T., contestando la domanda attrice e chiedendone il rigetto. Eccepiva, infatti, di essere estraneo alla pretesa di pagamento avanzata dall’attore, atteso che i lavori aggiuntivi erano stati richiesti ed ordinati direttamente dall’affittuaria dei locali società J.D.M. s.r.l., alla quale, pertanto, tali somme dovevano essere richieste. Per tale ragione avanzava richiesta di chiamata in causa della predetta società.

A seguito di chiamata del terzo di costituiva, sia pure tardivamente alla seconda udienza, la società J.D.M. s.r.l., contestando qualsiasi domanda rivolta nei suoi confronti in quanto totalmente estranea ai rapporti oggetto di causa ed eccependo, quindi, la propria carenza di legittimazione passiva. Istruita la casa con produzione documentale, prova testimoniale il Tribunale di Roma con sentenza n. 13174 del 2009: a) condanna D.T.E. a pagare a D.D. la somma rivalutata di Euro 38.000,00, nonchè l’importo dovuto per L’IVA, su Euro 35348,69 e gli interessi legali, sempre su Euro 35348,69 dal 6.8.2004 sino al completo soddisfo; b) rigetta la domanda di manleva proposta da D.T.E. nei confronti della J.d.M. s.r.l.; c) condanna D.T.E. a rifondere a D.D. le spese del presente giudizio; d) condannava D.T.E. a rifondere alla J.d.M. s.r.l. le spese del presente giudizio.

A fondamento della decisione, il primo giudice ha svolto le considerazioni che seguono: “La domanda di pagamento proposta dall’attore è fondata e va accolta. Dalle prove documentali e testimoniali agli atti del giudizio emerge che tra il D. e il D.T., entrambi esclusivi titolari delle rispettive imprese e ditte individuali, è intercorso un contratto di subappalto per la realizzazione di impiantistica varia all’interno dell’immobile sito in (OMISSIS). In particolare, relativamente a detto immobile, il D.T. riceveva l’appalto dalla committente principale cooperativa edilizia Romagnoli per la costruzione dell’edificio stesso, e ciò in virtù del contratto d’appalto concluso, tra tali parti, in data 4.01,2001, al quale si ricollegava il contratto di sub-appalto dal D.T. all’odierno attore D. per l’esecuzione degli impianti elettrico, telefonico, allarme incendi, anti-intrusione, televisivo, diffusione sonora, come specificato nel contratto del 20.01.2004. Orbene, a fronte di tali contratti, risulta provato, come detto, per documenti e testi, che i lavori eseguiti dall’impresa del D. sono stati tutti realizzati e accettati senza contestazioni di alcun tipo in ordine alla loro rispondenza a quanto richiesto ed alla bontà degli impiantì costruiti, dato che non risultano contestazioni di alcun tipo avanzate dal D.T. nel corso dei lavori, tanto meno a lavori eseguiti e regolarmente consegnati.

Avverso questa sentenza ha proposto appello D.T.E., titolare dell’omonima ditta ed ha chiesto: di dichiarare la sentenzi impugnata nulla per mancanza degli elementi di diritto e pei difetto o insufficienza di motivazione; di rigettare la domanda formulata dalla ditta attrice in quanto infondata in fatto e diritto e comunque non provata; nell’ipotesi di accoglimento della domanda attorea, di condannare la J.d.M. S.r.l. al pagamento di quanto richiesto e dovuto alla Ditta D.. D.D. ha resistito al gravame e ne ha chiesto il rigetto, con il favore delle spese. J.d.M. S.r.l. è rimasta contumace.

La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 6219 del 2013 accoglieva parzialmente l’appello e, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava D.T.E. al pagamento in favore di D.D. della somma di Euro 4.345,04, compensava tra le parti le spese del giudizio nella misura di 5/6 e poneva la restante parte a carico di D.T.E.. Secondo la Corte distrettuale: a) la necessità dell’esecuzione delle nuove opere sarebbe sorta nell’esecuzione del contratto di subappalto direttamente per iniziativa della Società committente; b) andava escluso che le nuove opere potessero considerarsi ampliamenti di quelle inizialmente pattuite e, dunque, mere varianti al progetto, anche perchè non debitamente autorizzate con forma scritta dal direttore del cantiere; c) non poteva interpretarsi la non contestazione da parte del D.T., come una nuova manifestazione di volontà contrattuale in ordine all’esecuzione delle nuove opere.

La cassazione di questa sentenza è stava chiesta da D.D. con ricorso affidato a quattro motivi. D.T.E. ha resistito con controricorso. In prossimità della Camera di Consiglio, le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso D.D. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1656,1372,1218 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione al motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo il ricorrente, la ricostruzione dell’istituto del subappalto da parte della Corte sarebbe illogica e viziata avendo qualificato le opere aggiuntive commissionate al D. quali oggetto di un nuovo contratto stipulato direttamente tra la D.M.J. e il D.. Piuttosto, la Corte non avrebbe considerato che era stato lo stesso D.T. ad aver commissionato le varianti di cui il D. chiedeva il pagamento, come risulterebbe dalla deposizione del teste S., dipendente dalla ditta D.T.. In altri termini, sempre secondo il ricorrente, il Giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto che l’obbligazione di pagamento fosse di pertinenza della J.D.M. e tra quest’ultima e la ditta D. fosse sorto un nuovo contratto autonomo.

1.1. – Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perchè l’assunta violazione di legge (compresa la violazione della normativa di cui all’art. 1372 c.c.) si basa e presuppone una diversa valutazione e ricostruzione delle risultanze di causa, censurabile – e solo entro certi limiti – sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detto motivo. Va qui ribadito che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica, necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di Cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero, erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in tal senso essenzialmente cfr. Cass. n. 16698 e 7394 del 2010).

Ora, nel caso in esame, come lo stesso ricorrente specifica” (….), tale errore (l’errore di ritenere che tra D.M.J. e la ditta D. fosse sorto un nuovo contratto autonomo) sarebbe stato determinato in violazione dell’art. 115 c.p.c., dall’inesatta ricostruzione giuridica dei fatti, degli istituti, e delle testimonianze raccolte in sede istruttoria che avevano evidenziato come ogni variante realizzata dalla ditta D. fosse stata espressamente ordinata dal D.T. o, comunque, da questa non opposta, senza alcuna prova della sussistenza di un rapporto giuridico tacito tra la ditta D. e la J.d.M. e, dunque, di un rapporto diretto tra i due (….)”. E’ di tutta evidenza, come è agevole apprendere, che il ricorrente censura più propriamente un vizio di motivazione e non, invece, una violazione di legge, e/o, comunque, che la violazione di legge sarebbe dovuto ad una diversa ricostruzione della fattispecie concreta, non censurabile in cassazione.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1661 c.c., comma 1, art. 1352 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione al motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente sostiene che” la Corte distrettuale non avrebbe valutato correttamente il consenso espresso dal D.T. alla realizzazione delle opere da parte di D.. In particolare, secondo il ricorrente, il D.T. se non ha commissionato direttamente le opere, comunque, avrebbe acconsentito per facta concludentia alla loro realizzazione e, pertanto, sarebbero ad esso riconducibili. Avrebbe errato, insomma, la Corte distrettuale secondo il ricorrente violando gli artt. 115 e 116 c.p.c., nello sminuire le risultanze delle escussioni testimoniali. Così come avrebbe errato anche per quanto avrebbe ritenuto che le parti contraenti, dopo aver concordato la forma scritta per l’esecuzione di variazioni non potessero successivamente rinunciare a tale requisito convenzionale mediante comportamenti incompatibili con la volontà di mantenere in vita il vincolo formale dell’autorizzazione o nella mancata opposizione del D.T..

2.1. – Il motivo è infondato. Come più volte ha affermato questa Corte di Cassazione, il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito. Piuttosto, la Corte distrettuale ha correttamente valutato la documentazione allegata e le prove testimoniali eseguite e con ragionamento privo di vizi logici e/o giuridici, come tale non suscettibile di un sindacato di legittimità, ha ritenuto che “(….) non vi è alcun elemento dal quale ritenere che il D.T., direttore del cantiere, nell’autorizzare o, semplicemente, non opponendosi alle nuove opere richieste dalla committente, abbia voluto, non solo ampliare l’oggetto del contratto di subappalto includendovi opere diverse e non previste, ma abbia, altresì, inteso disattendere la previsione contrattuale in forza della quale i lavori aggiuntivi eseguiti in economia dovevano essere autorizzati per iscritto

3.) Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1661 c.c., comma 2, in relazione al motivo di cui dell’art. 360 c.p.c.. Sostiene il ricorrente, la Corte distrettuale non avrebbe correttamente valutato la natura delle opere e non avrebbe considerato che le modifiche aggiuntive al progetto non erano qualitativamente differenti rispetto alla natura dell’opera, inizialmente, commissionata, dato che si trattava di variazione, comunque concernenti l’impiantistica elettrica la cui realizzazione era stata affidata fin dall’inizio affidata alla ditta D. e che non avevano stravolto il piano dei lavori iniziali. La Corte distrettuale dunque avrebbe dovuto applicare al caso in esame la normativa di cui all’art. 1661 c.c., secondo la quale il subcommittente aveva il potere di chiedere l’esecuzione di varianti che costituivano una modificazione dell’oggetto originario d. dell’appalto e che il sub appaltatore era obbligato ad eseguire con diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti.

3.1. – Anche questo motivo non coglie nel segno e non può essere accolto perchè anche questa censura si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale non presenta un vizio logico e/o giuridico. Ancora una volta, il ricorrente non tiene conto che la Corte distrettuale ha esplicitamente ritenuto che le opere di cui si dice non erano ricomprese nel contratto di appalto e, ancor di più, erano opere aventi una natura diversa. Sicchè, a fronte di questa affermazione della Corte distrettuale, comunque, non pienamente censurata, non supera il limite di una propria opinione individuale l’osservazione del ricorrente che le opere di cui si dice avessero la stessa natura di quelle originariamente appaltate perchè appartenenti alla stessa all’impiantistica elettrica. Piuttosto, la Corte distrettuale (pag. 9 della sentenza) ha avuto modo di chiarire “(….) che le opere eseguite dalla ditta attrice, che hanno fatto lievitare il prezzo ad Euro 60.000 rispetto a quello preventivato di Euro 30.000; non sono affatto ricomprese nell’originario contratto d’appalto del 2003, e neppure nel contratto di subappalto del 2004, ma hanno natura diversa. Esse, infatti, consistevano nella realizzazione dell’impianto fibra ottica, antenna satellitare, impianto interfonico, linea UBS, linea trasmissione dati, impianto di condizionamento, corpi illuminanti, mentre nel contratto di subappalto del 2004 era previsto che la ditta D. eseguisse rimpianto elettrico, rimpianto telefonico, rimpianto allarme incendi, rimpianto diffusione sonora, rimpianto antiintrusione, rimpianto TV, la progettazione, per l’importo di circa Euro 30.000; tale ultimo importo trova riscontro nel contratto di appalto stipulato nel 2003 dal d.T. e la J.d.M., nel quale le opere relative all’impianto elettrico erano state quantificate in Euro 33.000 (….)”.

4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 96 e 100 c.c., in relazione al motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene il ricorrente che la Corte distrettuale sarebbe incorsa in errore nel ritenere che il D. avrebbe dovuto e non avrebbe svolto in secondo grado domanda nei confronti di D.M.J., a cui nel corso del primo aveva esteso la domanda, perchè non avrebbe tenuto conto che D. era stato totalmente vittorioso e, dunque, non aveva interesse ad agire per proporre una domanda in giudizio.

4.1. – Anche questo motivo è infondato.

E’ principio più volte affermato da questa Corte che la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello per chiedere il riesame delle domande e delle eccezioni respinte, ritenute assorbite o, comunque, non esaminate con la sentenza impugnata dalla parte soccombente, essendo sufficiente la riproposizione di tali domande od eccezioni in una delle difese del giudizio di secondo grado. Ora, nel caso in esame, come ha affermato la sentenza impugnata, la domanda svolta nei confronti della società J.D.M. in primo grado non è stata riproposta, nè direttamente (con appello incidentale), ma neppure con argomentazioni difensive. Come, infatti, ha avuto modo di affermare la Corte distrettuale “(…..) La società attrice, oggi parte appellata, nel costituirsi, non ha svolto domanda nei confronti della società J.D.M., terza chiamata nel primo grado di giudizio ed appellata contumace nel presente grado di appello, di talchè la pretesa azionata in primo grado nei confronti della ditta D.T. non può essere scrutinata in relazione alla società J.D.M. s.r.l., nei confronti della quale la ditta attrice, nel corso del giudizio di primo grado, aveva esteso l’originaria domanda (….).

5. – Va disattesa, altresì, la richiesta risarcitoria per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., formulata dall’odierna controricorrente, in quanto l’infondatezza del proposto ricorso non si identifica con il carattere “pretestuoso” e “temerario” del gravame, profilo che postula al sussistenza di mala fede o colpa grave di colui che propone l’impugnazione, il che non risulta evidenziato dalle carte processuali.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso e accessori come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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