Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29810 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15801-2019 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 10,

presso lo studio dell’avvocato BOCCONGELLI EMANUELE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 648/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di L’Aquila pubblicata il 10 aprile 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da A.B. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., comma 5. del Tribunale del capoluogo abruzzese. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un motivo. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente denuncia la violazione “delle norme di diritto che regolano la protezione internazionale”. E’ lamentato che nel provvedimento impugnato si sia affermata l’inattendibilità di quanto dichiarato dal ricorrente senza dare piena contezza delle ragioni poste alla base di tale giudizio; ci si duole, inoltre, del mancato rilievo che è stato attribuito alla situazione del paese di origine dell’istante, contrassegnato da episodi di violenza a carattere generale: viene rilevato, in proposito, che il giudice è tenuto a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale dello Stato di provenienza dello straniero mediante l’esercizio di poteri ufficiosi di indagine e di acquisizione documentale. Una contestazione investe, da ultimo, la decisione impugnata avendo riguardo al rigetto della domanda di protezione umanitaria.

2. – Il ricorso è infondato.

Sotto un primo profilo, è da osservare che la Corte di appello ha dato ampiamente conto delle ragioni che la inducevano a dubitare della credibilità del racconto del richiedente (vertente sull’emarginazione e la violenza di cui lo stesso sarebbe stato vittima a causa della ritenuta sua condizione di figlio illegittimo). Oltre a rimarcare le contraddizioni e gli elementi di genericità già rilevati dalla Commissione territoriale, il giudice del gravame ne ha evidenziati altri: e così, l’essere inverosimile che la madre del ricorrente, ritenuta adultera dagli abitanti del villaggio, non corresse alcun rischio, al contrario del figlio, esposto al pericolo di essere ucciso; l’essere non plausibile che il medesimo Bouare avesse vissuto indisturbato con la nonna fino alla morte della stessa, sebbene coloro che erano fermamente decisi a privarlo della vita fossero al corrente di tale sua sistemazione abitativa.

Per quanto concerne la situazione generale del paese di origine del ricorrente (il Mali), essa è stata oggetto di una dettagliata ricognizione da parte della Corte di appello (cfr. sentenza impugnata pagg. 8 ss.) e la violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), il quale non può essere quindi genericamente contrastato in questa sede, dovendo essere invece specificamente censurato a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), o per l’assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).. La censura attinente alla mancata spendita dei poteri officiosi risulta essere del resto connotata da assoluta genericità e appare, per conseguenza, priva di decisività, giacchè il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso con riguardo all’ipotesi di protezione sussidiaria in esame.

Con riguardo, infine, alla protezione umanitaria, la pronuncia della Corte di appello è incentrata su due rilievi che si sottraggono a censura: il non poter essere detta forma di protezione riconosciuta in difetto di elementi individuali circostanziati, risultando non pertinente il generico riferimento alle generali condizioni del paese di provenienza; la non decisività degli sforzi compiuti dal richiedente per la propria integrazione in Italia. Infatti, la situazione di vulnerabilità deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, sempre in motivazione). Nè può attribuirsi rilievo esclusivo ad aspetti della vita del ricorrente che siano indicativi del suo inserimento nel tessuto sociale del nostro paese: e ciò perchè non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072; ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459).

3. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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