Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29810 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. II, 19/11/2018, (ud. 25/05/2018, dep. 19/11/2018), n.29810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9838/2014 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI

4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PAOLO SCALETTARIS;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MARESCIALLO

RILSUDSKI 118, presso io studio dell’avvocato ANTONIO STANIZZI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUCA ZANFAGNINI,

ALBERTO ZILLI;

– controricorrente –

e contro

M.E.;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 625/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 13/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato M.A., con delega depositata in udienza

dell’Avvocato STANIZZI Antonio e orale per gli altri colleghi, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 12.3.2010 la signora M.A. adiva il tribunale di Udine per ottenere la revocazione dell’atto di donazione, stipulato in data 8.8.2005, con cui il fratello M.E. aveva ceduto all’altro fratello, M.G., la nuda proprietà delle quote indivise di alcuni beni immobili. Assumeva l’attrice di essere creditrice del fratello E. della somma di Euro 230.000, credito accertato con efficacia di giudicato, in forza del decreto ingiuntivo n. 2393/2009, emesso in suo favore e mai opposto dall’ingiunto. Con sentenza n. 625 del 13 maggio 2013, il tribunale di Udine accoglieva la domanda, avendo accertato l’esistenza del credito – ritenuta pacifica – e dell’eventus damni, giacchè con tale disposizione il debitore si era spogliato di ogni suo cespite; la corte ha inoltre ritenuto che l’accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo coprisse anche la data di insorgenza del credito, identificata nella data (17.7.2002) della scrittura privata di riconoscimento di debito sottoscritto da M.E., allegata al ricorso per ingiunzione accolto col decreto divenuto definitivo per mancata opposizione.

La corte d’appello di Trieste, investita del gravame proposto da M.G., ha dichiarato l’appello inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c..

Per la cassazione della pronuncia del tribunale di Udine il signor M.G. ha proposto ricorso, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., sulla scorta di cinque motivi.

La signora M.A. ha depositato controricorso, mentre il signor M.E. non ha spiegato attività difensive in questa sede di legittimità.

La causa è stata discussa nell’ udienza del 25 maggio 2018, per la quale il ricorrente ha depositato una memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. M.G. attinge l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui “l’esistenza di un credito di M.A. nei confronti del fratello M.E. è pacifica e nemmeno contestata” (pag. 2, ultimi tre righi, della sentenza), sostenendo che, al contrario, esso ricorrente aveva sempre contestato, negli scritti difensivi depositati in sede di merito (di cui riproduce alcuni stralci), l’esistenza del credito vantato dalla sorella nei confronti del fratello E..

Il motivo va giudicato inammissibile perchè attinge una statuizione priva di portata decisoria. La decisione del tribunale si fonda, infatti, sull’efficacia di giudicato calata, sull’accertamento del suddetto credito, nel momento in cui è diventato definitivo, per mancata opposizione, il decreto ingiuntivo del tribunale di Udine n. 2393/2009 del 4.8.09.

Col secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 2909 e 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3. Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe errato nell’affermare che il vincolo della cosa giudicata sull’esistenza del credito copra anche la data di insorgenza del credito, sottolineando come il menzionato decreto ingiuntivo non contenga alcun riferimento alla data di insorgenza del credito, nè alcuna condanna del debitore alla corresponsione di interessi legali sul relativo importo. In sostanza, secondo la prospettazione svolta nel mezzo di impugnazione, “tra gli aspetti per i quali il decreto ingiuntivo dà luogo al giudicato vi è certamente, quale elemento proprio della statuizione contenuta nel decreto, quello della sussistenza del credito al momento in cui il decreto viene pronunciato, ma il decreto non potrà costituire invece giudicato con riferimento ad una data anteriore di origine e di nascita del credito che nel decreto non sia nemmeno indicata” (pag. 8, penultimo capoverso, del ricorso per cassazione).

Preliminarmente va evidenziato che con il motivo in esame non viene censurata la (implicita) statuizione della sentenza gravata secondo cui M.G. soggiace all’efficacia del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo emesso a favore della sorella A. nei confronti del fratello E., bensì la statuizione – concernenti i limiti oggettivi, non quelli soggettivi, del giudicato secondo cui il giudicato formatosi sull’esistenza del credito non coprirebbe l’accertamento della data della relativa insorgenza.

Così precisati i termini della censura, la stessa va giudicata infondata, giacchè, in materia di diritti eterodeterminati, l’accertamento del diritto, ossia del credito, implica l’accertamento della relativa causa, vale a dire del titolo dedotto in giudizio quale fondamento del credito stesso (vedi, da ultimo, Cass. 28318/17: “Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio”).

Col terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., nonchè degli artt. 214 c.p.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in cui il tribunale sarebbe incorso assumendo che M.A. avrebbe “rammostrato tempestivamente in udienza, presenti le parti, quello che asserisce essere l’originale del documento allegato al ricorso monitorio, datato proprio 17.7.2002 e l’ha successivamente esibito anche all’udienza del 7.5.2013 (e di ciò è stato dato atto a verbale)” (pag. 8, penultimo capoverso, del ricorso per cassazione). Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe errato nel sorreggere le proprie argomentazioni sulla base di un documento non prodotto in giudizio, e quindi, non sottoposto al contraddittorio processuale.

Il motivo è inammissibile in quanto la censura risulta inidonea a condurre alla cassazione della sentenza impugnata, giacchè essa attinge un’affermazione che nella stessa sentenza si definisce espressamente resa “ad colorandum”, quindi estranea alla ratio decidendi (interamente fondata sull’efficacia di giudicato del suddetto decreto ingiuntivo) e, in definitiva, priva di portata decisoria.

Col quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo il ricorrente il tribunale, sull’erroneo presupposto dell’ anteriorità del credito accertato dal suddetto decreto ingiuntivo rispetto alla donazione stipulata tra i fratelli E. e G., aveva conseguentemente errato nell’accogliere l’azione revocatoria proposta dalla sorella A. senza verificare l’esistenza della volontà di E. di pregiudicare il di lei credito con la donazione in favore di G.; aggiunge peraltro il ricorrente che l’intera operazione posta in essere tra E. e A. (ricorso per ingiunzione di A., mancata opposizione di E. al decreto ingiuntivo, esperimento dell’azione revocatoria da parte di A.) sarebbe tesa a rimettere in discussione la donazione a suo tempo disposta da E. in favore dell’odierna ricorrente.

Il motivo non può trovare accoglimento. La censura concernente la mancata verifica, da parte del tribunale, del consilium fraudis è inammissibile, in quanto la stessa si fonda – a mente dell’ultima parte dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1) – sul presupposto dell’erroneità dell’ accertamento della anteriorità del credito vantato da A. nei confronti di E. rispetto alla data della donazione disposta da E. nei confronti di G.; accertamento che, tuttavia, resiste all’impugnazione recata con il secondo mezzo del presente ricorso. Quanto alle argomentazioni concernenti la sussistenza di un accordo tra A. ed E. per pervenire, attraverso l’uso strumentale dei mezzi offerti dal processo civile, alla vanificazione degli effetti della donazione disposta da E. nei confronti di G., è sufficiente osservare che le stesse costituiscono ipotesi congetturali che riguardano il merito della vicenda, senza risolversi nella formulazione di specifiche censure nei confronti della sentenza impugnata.

Col quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 15 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in cui il tribunale sarebbe incorso sia nella regolazione delle spese, non disponendone la compensazione, sia nella relativa liquidazione, facendo riferimento allo scaglione relativo al valore del credito vantato dall’ attrice in revocazione anzichè al valore (nella specie, molto inferiore) del revocando contratto di donazione. Ad avviso del ricorrente, il valore delle cause di revocazione andrebbe ancorato, ai fini della liquidazione delle spese, nel valore più basso tra quello dell’atto da revocare e quello del credito vantato dall’attore nel giudizio di revocazione.

Il motivo va disatteso. La doglianza relativa alla mancata compensazione delle spese è inammissibile in sede di legittimità (SSUU n. 14989/05), mentre la doglianza relativa alla determinazione del valore della lite, ai fini dell’individuazione dello scaglione di riferimento per la liquidazione delle spese, contrasta con la giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte precisato (da ultimo, Cass. 10089/14) che, ai fini della liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente nei giudizi relativi ad azione revocatoria, il valore della causa si determina sulla base non già dell’atto impugnato, bensì del credito per il quale si agisce, anche se il valore dei beni alienati, o comunque sottratti al creditore, risulti superiore o inferiore, e ciò in considerazione del carattere conservativo del rimedio, volto a paralizzare l’efficacia degli atti aggrediti per assicurare al creditore l’assoggettabilità ad esecuzione dei beni resi indisponibili dal debitore.

In definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza, con declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, da parte del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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