Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2981 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/02/2017, (ud. 17/11/2016, dep.03/02/2017),  n. 2981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHNOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19621-2014 proposto da:

FALEGNAMERIA E MOBILI D. DI D.R. & C S.N.C. C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante D.R.,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato DANIELE

METAFUNE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 447/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/04/2014 R.G.N. 1386/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.La Corte d’appello di Torino, in parziale accoglimento del gravame interposto da P.D. avverso la sentenza del giudice di primo grado, condannò la s.n.c. Falegnameria e Mobili d.S.R. & c. a pagare al Parta una somma a titolo di compenso per lavoro straordinario e differenze sul TFR.

2. A seguito di ricorso della società, la Corte di Cassazione, con sentenza del 29/3/2012, pur disattendendo le doglianze atte a contestare l’entità del lavoro straordinario nei termini accertati dalla Corte territoriale – in relazione al periodo intercorrente tra giugno 1988 e dicembre 2001, dalle 8 alle 12 del sabato mattina – accolse la censura inerente al vizio di motivazione della gravata pronuncia nella parte in cui la Corte d’Appello non aveva chiarito se l’importo liquidato a titolo di lavoro straordinario fosse al netto oppure al lordo degli importi già versati al lavoratore, giacchè la stessa sentenza aveva dato atto che al lavoratore erano stati versati importi “fuori busta”. Demandò, quindi, al giudice del merito di calcolare l’eventuale differenza a credito del lavoratore, da maggiorare di interessi e rivalutazione ex art. 429 c.p.c., nonchè di calcolare il t.f.r. includendo nella base di calcolo anche quanto ricevuto dal P. per lavoro straordinario.

3. In sede di rinvio la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 16/4/2014, effettuò la quantificazione dell’importo nei termini indicati dalla Corte di Cassazione.

4. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società sulla base di quattro motivi. Il lavoratore non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 429 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Rileva che il lavoratore aveva chiesto sin dall’origine rivalutazione e interessi solo sulle differenze risultanti per lavoro straordinario, al netto degli importi corrisposti, e che erroneamente erano stati considerati rivalutazione e interessi anche sugli importi dovuti per lavoro straordinario che si assumono pagati in ritardo. Osserva che in tal modo risulta violato anche l’art. 429 c.p.c., comma 3, norma che esige che il datore di lavoro intanto è tenuto al pagamento di interessi e rivalutazione in quanto sia stato condannato al pagamento di una somma di denaro, talchè, in assenza di condanna al pagamento, alcuna somma di denaro è dovuta a tale titolo.

2. Con il secondo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e 394 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Rileva che nel giudizio di riassunzione il lavoratore ha quantificato gli importi accessori per interessi e rivalutazione sugli asseriti tardivi pagamenti, proponendo in tal modo una domanda nuova che non poteva essere introdotta in quella sede.

3. Con la terza censura la ricorrente espone violazione e falsa applicazione degli artt. 1193 e 1194 c.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Sostanzialmente contesta il criterio d’imputazione delle somme corrisposte nel corso del rapporto, come esposto nei conteggi elaborati dal lavoratore, rispetto alle quali, in assenza di imputazione convenzionale, doveva essere applicato il criterio legale di cui all’art. 1193 c.c. Osserva che la relazione di ctu era errata, perchè del tutto arbitrariamente era stato tenuto conto del pagamento del minor importo di Euro 9.169,65 rispetto a quello effettivamente erogato di Euro 12.667,00 al solo fine di far risultare un ulteriore credito del lavoratore maggiorato di interessi e rivalutazione. Rileva che dalla lettura del punto 3 della sentenza della Corte di Cassazione e dal quesito posto al perito dalla Corte d’appello non risultava che costui fosse stato incaricato di determinare le spese dovute al difensore del lavoratore.

4. Con l’ultimo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Osserva che, in caso di giudizio di riassunzione conseguente alla cassazione, ai fini della liquidazione delle spese il giudice di merito deve tenere conto dell’esito complessivo della controversia. Ne consegue che la ricorrente intanto poteva essere condannata alla refusione delle spese, in quanto la Corte d’appello avesse respinto la domanda di restituzione, laddove alcuna statuizione di rigetto era rinvenibile nel dispositivo della sentenza impugnata, nella quale l’ulteriore importo dovuto dalla falegnameria discendeva del computo in favore del lavoratore delle spese del giudizio d’appello. Osserva, inoltre, che la sentenza impugnata aveva ingiustamente condannato la società alla rifusione delle spese in favore del lavoratore anche per il giudizio di legittimità, sebbene in detto grado di giudizio il lavoratore non avesse svolto alcuna attività difensiva.

5. I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente. Essi non risultano fondati alla luce del rilievo che, una volta intervenuta sentenza con la quale la Corte di Cassazione cassa con rinvio al giudice del merito, ogni questione posta a monte della pronuncia rescissoria non risulta più esaminabile, perchè travolta dal dictum della Corte. Conseguentemente nessun vizio di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto è pronunciato è, neppure in astratto, ipotizzabile, così come non può prospettarsi una violazione del disposto di cui all’art. 429 c.p.c. in relazione a una domanda che già è stata delibata in modo irretrattabile in forza della pronuncia di cassazione. Allo stesso modo l’esistenza di una domanda nuova o di un’erronea imputazione di somme nell’ambito del giudizio di rinvio non è suscettibile di essere dedotta nei termini esposti dalla ricorrente, i quali assumono come parametro di riferimento ciò che è a monte della pronuncia rescissoria, laddove le censure di violazione di legge in questa sede proponibili (e in concreto non formulate) avrebbero dovuto investire il confronto tra la statuizione della Corte territoriale in sede di rinvio e il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, in funzione della verifica del rispetto dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

6. In ordine al motivo d’impugnazione concernente le spese di lite, si rileva che la liquidazione delle spese da parte del giudice del rinvio appare coerente con il principio più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale “in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte”(Sez. 1, Sentenza n. 20289 del 09/10/2015, Rv. 637441).

7. Esula, tuttavia, dall’ambito applicativo del richiamato principio la liquidazione in favore del P. delle spese del giudizio di legittimità. Dalla sentenza della Corte di cassazione si evince, infatti, che il predetto non aveva svolto alcuna attività difensiva nella suddetta fase, rimanendo intimato. Nessun importo, pertanto, poteva essergli attribuito al riguardo, poichè in realtà tali spese non erano state mai sostenute.

8. In base ai principi enunciati il ricorso va accolto limitatamente alla pronuncia attinente alle spese del giudizio di legittimità poste a carico della società, mentre va nel resto rigettato. Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, che restano a carico della parte ricorrente in ragione dei limiti assai contenuti della pronuncia in suo favore e della condotta processuale del P., rimasto intimato.

PQM

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie in parte il quarto. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le spese liquidate nella sentenza impugnata con riferimento al precedente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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