Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29806 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24469-2018 proposto da:

SARDALEASING SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 177,

presso lo studio dell’avvocato FERNANDO ARISTEI STRIPPOLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIAN LUIGI MASTIO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SAS;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 20739/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI,

depositato il 15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Sardaleasing s.p.a. proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento di (OMISSIS) s.a.s. e del socio accomandatario M.N.: opposizione che il Tribunale di Napoli accoglieva solo parzialmente. A fronte della pretesa della opponente, che si asseriva creditrice, nei confronti dei falliti, per l’importo di Euro 330.928,36, a titolo di canoni scaduti e a scadere relativi a un contratto di leasing, il Tribunale osservava che la stessa istante aveva diritto di insinuarsi per i soli ratei del corrispettivo della locazione finanziaria che erano maturati in epoca anteriore alla cessione dell’azienda: infatti il contratto di leasing, in quanto inerente al compendio aziendale, trasferito con contratto del (OMISSIS), era proseguito con il cessionario e la società cedente fallita era chiamata a rispondere solo dei debiti sorti in epoca anteriore alla cessione, a norma dell’art. 2560 c.c., comma 1. Lo stesso Tribunale rilevava, inoltre, che nulla era dovuto dal fallimento per interessi moratori dal momento che il tasso convenuto al riguardo risultava essere superiore al tasso soglia vigente al momento della conclusione del contratto.

2. Per contrastare la pronuncia del Tribunale di Napoli Sardaleasing si avvale di un ricorso per cassazione basato su tre motivi, che è illustrato da memoria. La curatela fallimentare, intimata, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nella mancata comunicazione alla ricorrente della cessione del contratto di locazione finanziaria attuatasi con il trasferimento dell’azienda. Viene ricordato che nelle proprie note difensive Sardaleasing aveva ribadito che la cessione del contratto non era stata mai comunicata; si sostiene che tale circostanza sarebbe dirimente ai fini della decisione, dal momento che la comunicazione, pur non costituendo requisito di validità della cessione tra le parti, condizionava, tuttavia, l’efficacia della cessione stessa nei confronti del contraente ceduto: “sicchè la cessione non può essere opposta a quest’ultimo sino a quando la comunicazione non venga eseguita”.

Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2558 c.c., comma 2. La censura, qui declinata nei termini dell’error juris di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, verte sulla medesima questione dell’omessa comunicazione della cessione. Viene richiamato il principio secondo cui la comunicazione della cessione del contratto al terzo contraente incide sull’efficacia del contratto di cessione nei confronti del contraente ceduto, nel senso che la cessione stessa non è opponibile fino a quando la comunicazione non abbia luogo.

I due motivi possono esaminarsi congiuntamente, e si mostrano privi di fondamento.

Il tema della comunicazione della cessione è stato affrontato dal Tribunale, il quale ha osservato, al riguardo, che gli effetti del contratto trasferito si erano prodotti ipso jure, “a prescindere dall’accettazione e senza bisogno di comunicazione” (pag. 2 del decreto impugnato). Si tratta di un’affermazione conforme al diritto: questa Corte ha infatti avuto modo di rilevare più volte che la successione nei contratti relativi all’esercizio dell’azienda che non abbiano carattere personale avviene, a norma dell’art. 2558 c.c., ope legis ed è efficace nei confronti del terzo contraente senza che egli debba accettarla o che sia necessario dargliene comunicazione, costituendo tale comunicazione oggetto di un onere a carico dell’alienante e dell’acquirente dell’azienda (e dei soggetti ad essi equiparati) finalizzato solo al decorso del termine di tre mesi entro il quale è consentito al terzo di recedere dal contratto (Cass. 14 maggio 1997, n. 4242; Cass. 30 marzo 2001, n. 4728; Cass. 7 dicembre 2005, n. 27011; cfr. da ultimo Cass. 3 gennaio 2020, n. 15). Nel caso in esame non si controverte del recesso dal contratto della ricorrente, onde la mancanza di comunicazione, di cui si duole l’istante, è del tutto priva di rilevanza. L’argomento fondato sul diritto di recesso risulta speso dalla ricorrente solo nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2: e la deduzione, oltre ad essere tardiva, appare pure non concludente, visto che il diritto del contraente ceduto di sciogliersi dal vincolo, per una giusta causa, nel termine di tre mesi decorrenti dal momento in cui ha avuto notizia della cessione (art. 2558 c.c., comma 2), non implica affatto che la cessione stessa sia inopponibile al ceduto fino a quando il detto soggetto non ne abbia acquisito conoscenza.

Nè appare pertinente il richiamo alla disciplina generale in tema di cessione del contratto: infatti, il subentro contemplato dall’art. 2558 c.c., integra un’ipotesi di successione ope legis, cui non è applicabile tale regolamentazione (Cass. 25 gennaio 1979, n. 564; Cass. 8 giugno 1994, n. 5534).

2. – Col terzo mezzo il decreto impugnato viene censurato per violazione o falsa applicazione del D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1. Rileva la ricorrente che la Banca d’Italia nel corso dell’esecuzione del contratto di leasing oggetto del giudizio, aveva stabilito, con riferimento agli interessi moratori, che i tassi globali medi dovessero essere aumentati del 2,1% e che, applicando tale coefficiente al caso concreto si perveniva a un innalzamento del tasso soglia tale da escludere che l’interesse moratorio potesse considerarsi usurario.

Reputa anzitutto il Collegio che il motivo sia ammissibile, in quanto presenta carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata. Non è decisivo, al riguardo, che la ricorrente faccia questione della violazione o falsa applicazione di una disposizione (D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1), che era destinata a regolare, come norma di interpretazione autentica, l’applicazione della L. n. 108 del 1996, ai contratti conclusi prima dell’entrata in vigore di questa (laddove il contratto di leasing per cui è causa è stato di contro stipulato nel 2013). La ricorrente oppone, in realtà, l’erroneità del calcolo del tasso soglia rilevando che esso andrebbe determinato, per gli interessi di mora, maggiorando il TEGM del 2,1%. Ebbene, ai fini della ammissibilità del ricorso per cassazione, non è necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza, essendo necessario, invece, che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (Cass. 29 agosto 2013, n. 19882; Cass. 21 gennaio 2013, n. 1370).

Ciò posto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, di recente, che la disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori e che, ove i decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali con riguardo a tale tipologia di interessi, il tasso soglia sarà dato dal TEGM, incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal cit. art. 2, comma 4.(Cass. Sez. U. 18 settembre 2020, n. 19597).

Il decreto impugnato si mostra non conforme a tale enunciato: il Tribunale ha infatti preso in considerazione il tasso soglia indicato nel decreto ministeriale, che si basa sul TEGM, e non il tasso soglia che è ottenuto sommando al tasso globale in questione la maggiorazione percentuale media degli interessi di mora (maggiorazione che, trattandosi di contratto concluso nel 2013, è quella del 2,1%, indicata in ricorso). Era in altri termini necessario ricavare il tasso soglia da tale maggiorazione e incrementare, in conseguenza, il valore ottenuto dello spread di cui al L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4.

3. – Il decreto è dunque cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.

PQM

La Corte:

accoglie il terzo motivo e respinge gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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