Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29805 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 18/11/2019), n.29805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24380-2017 R.G. proposto da:

D.S.M.L., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza

dei Prati degli Strozzi 34, presso lo studio dell’avvocato Emanuele

Di Cataldo, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO BONIFICA TEVERE ED AGRO ROMANO, in persona del Presidente

pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Fosso di

Dragoncello 116, presso lo studio dell’avvocato Giuliano Boschetti,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante in proprio e quale procuratore speciale

della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.),

elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria 29, presso la

sede dell’Avvocatura dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

dagli avvocati Carla D’Aloisio, Antonino Sgroi, Lelio Maritato,

Emanuele De Rose, Giuseppe Matano ed, Ester Ada Vita Sciplino;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

EQUITALIA SUD S.P.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 755/2017 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 6 febbraio 2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28 febbraio 2019 dal Consigliere Dott. D’Arrigo

Cosimo.

Fatto

RITENUTO

D.S.M.L. proponeva opposizione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso una diffida di pagamento, convenendo innanzi al Tribunale di Roma il Consorzio Bonifica Tevere ed Agro Romano, I’I.N.P.S. e l’Agenzia delle Entrate Roma (OMISSIS).

Il Tribunale accoglieva l’opposizione con sentenza pubblicata in data 11 febbraio 2010.

Con atto d’appello consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione il 25 marzo 2011, il Consorzio Bonifica Tevere e Agro Romano impugnava la decisione di primo grado. Regolarizzato il contraddittorio anche nei confronti della D.S., alla quale inizialmente l’impugnazione non era stata ritualmente notificata, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame, riformando la decisione impugnata.

Avverso tale decisione la D.S. ricorre per tre motivi. Hanno resistito con controricorso l’I.N.P.S. e il Consorzio Bonifica Tevere ed Agro Romano.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

La D.S. e il Consorzio Bonifica hanno depositato memorie difensive, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 327 e 115 c.p.c. Osserva la ricorrente che l’appello proposto dal Consorzio Bonifica Tevere e Agro Romano è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione soltanto in data 25 marzo 2011, allorquando era già scaduto il termine di decadenza previsto dall’art. 327 c.p.c.. Ciò in quanto, vertendosi in materia di opposizione all’esecuzione, al presente giudizio non si applica la sospensione dei termini nel periodo feriale e quindi il termine “lungo” per impugnare sarebbe stato di un anno esatto e non di un anno e 45 giorni.

Il motivo è infondato.

Infatti, la presente controversia non verte in materia esecutiva, in quanto l’atto opposto non è una cartella di pagamento (equiparabile, anche quanto agli effetti processuali, all’atto di precetto), bensì una diffida di pagamento. Pertanto, la controversia – avente carattere ordinario – è soggetta alla regola generale della sospensione feriale dei termini processuali.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1. La censura si rivolge avverso il capo della sentenza impugnata che ha affermato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia, appartenendo la stessa alla giurisdizione del giudice tributario, fatta eccezione per la statuizione concernente i contributi dovuti in favore dell’I.N.P.S..

La ricorrente sostiene che, poichè la diffida di pagamento conteneva l’avvertimento che, in mancanza, sarebbe stata avviata l’azione esecutiva, l’unico strumento processuale a sua disposizione era costituito dall’opposizione ex art. 615 c.p.c., rientrante nella competenza residuale del giudice ordinario (in funzione di giudice dell’esecuzione).

Il motivo è infondato.

Anzitutto va ribadito, in continuità con l’orientamento costantemente espresso da questa Corte, che i contributi, spettanti ai consorzi di bonifica ed imposti ai proprietari per le spese relative all’attività per la quale sono obbligatoriamente costituiti, rientrano nella categoria generale dei tributi, sicchè le relative controversie, insorte dopo il primo gennaio 2002, sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, in applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, il quale ha esteso la giurisdizione tributaria a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie (Sez. U, Ordinanza n. 2598 del 05/02/2013, Rv. 624892 – 01; Sez. U, Ordinanza n. 10703 del 23/05/2005, Rv. 580690 – 01).

Ciò posto, risulta priva di fondamento la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale l’atto di opposizione da lei proposto costituiva un’ipotesi di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.. Come si è già detto esaminando il primo motivo, l’atto impugnato non era una cartella di pagamento, bensì una generica diffida di pagamento, come tale non ascrivibile ad alcuno degli atti dei quali si compone il processo esecutivo c.d. “esattoriale”.

Ciò posto, poichè l’attribuzione alle commissioni tributarie della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, si estende ad ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo, arrestandosi unicamente di fronte agli atti dell’esecuzione tributaria (Sez. U, Sentenza n. 8770 del 03/05/2016, Rv. 639481 – 01), dal momento che per l’atto impugnato deve escludersi tale natura, correttamente ha ritenuto la Corte d’appello di declinare la propria giurisdizione in favore del giudice tributario.

Infine, con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 59 della L. 18 giugno 2009, n. 69, che la Corte d’appello avrebbe commesso omettendo di fissare, a seguito della pronuncia di difetto di giurisdizione, un termine per la riassunzione della causa innanzi al giudice tributario.

Il motivo è manifestamente infondato, in quanto lo stesso della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 2, prevede che il termine perentorio entro il quale occorre riproporre la domanda innanzi al giudice munito di giurisdizione, così da far salvi gli effetti della translatio iudicii, è di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia del giudice che dichiara il proprio difetto di giurisdizione.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Il rigetto del secondo motivo determina il passaggio in giudicato della dichiarazione della giurisdizione del giudice tributario e il termine (di tre mesi) per la riproposizione della domanda, ai sensi del citato art. 59, comma 2, L. n. 69 del 2009, decorre dalla pubblicazione della presente sentenza.

La particolare novità della questione di diritto decisa giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Nondimeno, ricorrono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lei proposta.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali fra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.

Depositato in cancelleria il 18 novembre 2019

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