Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29803 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18505-2019 proposto da:

S.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARTINO BENZONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto 1471/2018 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il

18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Trieste, in composizione collegiale, con decreto, all’esito della camera di consiglio del 18/12/2018, dopo avere convertito il rito, da ordinario a speciale, ha respinto la richiesta di S.T. cittadino del (OMISSIS), a seguito di diniego della competente Commissione Territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, il Tribunale ha osservato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine a causa problemi intrafamigliari, a causa del matrimonio non condiviso dai parenti della sposa da cui sarebbero derivate intimidazioni e minacce) non era credibile, in assenza di riscontri adeguati; quanto alla protezione sussidiaria, il Paese di provenienza del richiedente (il (OMISSIS), la Regione del Punjab) non era interessato da conflitti armati interni (come riferito dai (OMISSIS) e (OMISSIS)); infine, quanto alla protezione umanitaria, il richiedente non aveva evidenziato situazioni di vulnerabilità (anche in relazione ai disturbi di natura psichiatrica, epilessia, non essendo stata certificata l’assoluta impossibilità di cura in (OMISSIS)) ed il solo percorso di integrazione in Italia non era sufficiente.

Avverso la suddetta pronuncia, S.T. propone ricorso per cassazione, notificato il 12/6/2019, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, l’erronea o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di norme di diritto di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 3, conv. in L. n. 46 del 2017, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35 bis, rilevando che la domanda originariamente proposta con il rito ordinario, sia pure sempre davanti alla Sezione specializzata in materia di immigrazione, ritenuta competente, con atto di citazione notificato nel marzo 2018, era limitata al riconoscimento della sola protezione umanitaria, statuale quindi, e non era estesa alla protezione internazionale, con conseguente inoperatività del rito speciale, atteso che solo con la modifica, operata dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. in L. 1 dicembre 2018, n. 132, del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4 bis, era stata prevista l’estensione della decisione collegiale e del rito camerale speciale anche alle domande relative al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; 2) con il secondo motivo, l’erronea o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, applicabile al caso di specie, per avere il Tribunale, solo con il provvedimento decisorio, disposto il mutamento del rito, negando all’attore la possibilità di integrare il proprio atto di citazione; 3) con il terzo motivo, l’erronea o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, e art. 8, comma 3, per avere il Tribunale, in relazione alla domanda del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, non indicato specificatamente le fonti esaminate e non acquisito le COI più recenti; 4) con il quarto motivo, l’omessa valutazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, della domanda D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6.

2. Preliminarmente, il ricorso è improcedibile, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.

Invero, il ricorrente deduce in ricorso, notificato via PEC il 12 giugno 2019, di impugnare il decreto “del 18 dicembre 2019 (rectius 2018) pubblicato il successivo 13 maggio 2019”, ma il provvedimento depositato, unitamente al ricorso, del Tribunale di Trieste, redatto in formato elettronico e sottoscritto dal Presidente estensore con firma digitale (munito in calce di attestazione dell’Avv.to Benzoni di conformità della copia analogica rispetto alla copia informatica presente nel fascicolo informatico), non reca l’attestazione di Cancelleria con la attribuzione del numero identificativo e della data di pubblicazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 133 c.p.c., comma 2, e art. 327 c.p.c., comma 1.

Ora, questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18569 del 22/9/2016, ha chiarito che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione (conf. Cass. 6384/2017). Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, il giudice deve accertare attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione – quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo.

In tema di redazione della sentenza in formato digitale, si è poi precisato che il procedimento decisionale è completato e si esterna fin dal momento del suo deposito per via telematica, divenendo da tale data il provvedimento irretrattabile da parte del giudice che l’ha pronunciato (così Cass. n. 17278 del 2016, sulla scorta di Cass. S.U. n. 13794 del 2012), ma una tale trasmissione non può integrare la pubblicazione della decisione, la quale si ha solo con l’attestazione del cancelliere; attestazione, che, appunto, ha la funzione di pubblicare la stessa.

Sempre questa Corte, nella pronuncia n. 24891 del 2018 (conf. 2362/2019), ha per l’appunto chiarito che la data di pubblicazione di una sentenza redatta in modalità digitale, ai fini del decorso del termine lungo di impugnazione, coincide non già con quella della sua trasmissione alla cancelleria da parte del giudice, bensì con quella dell’attestazione del cancelliere, giacchè è solo da tale momento che la sentenza diviene ostensibile agli interessati, con conseguente decorso del termine lungo di impugnazione (principio formulato in relazione ad una fattispecie in cui la Corte d’appello aveva erroneamente fatto decorrere il termine per impugnare dal momento della trasmissione in cancelleria della sentenza da parte del giudice e non da quello successivo della pubblicazione ad opera del cancelliere).

E’ poi consolidato il principio secondo cui l’attestazione di cancelleria concernente la data di pubblicazione della sentenza (cui è equiparabile, nell’ambito del processo civile telematico, l’adempimento della pubblicazione, con cui il sistema informatico provvede, per tramite del cancelliere, all’attribuzione alla sentenza del numero identificativo e della data di pubblicazione) costituisce atto pubblico, la cui efficacia probatoria, ex art. 2700 c.c., può essere posta nel nulla solo con la proposizione della querela di falso, di talchè, ai fini della decorrenza del termine lungo per l’impugnazione, la sentenza deve ritenersi depositata nella data attestata dal cancelliere (i.e. risultante dalla copia telematica munita del numero identificativo e della data di pubblicazione), fino a che non si sia concluso, con esito positivo, il procedimento di falso (cfr. fra le tante Cass. nn. 9622 del 2009, 4092 del 1985).

Ora, nella specie, la copia del decreto impugnato prodotta non reca la data di pubblicazione, con conseguente improcedibilità del ricorso, per mancato deposito di copia autentica del provvedimento impugnato.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato improcedibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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