Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29800 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 18/11/2019), n.29800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21792-2017 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Alberico II 5,

presso lo studio dell’avvocato Ettore Travarelli, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove 21, presso la sede

dell’Avvocatura Comunale, rappresentata e difesa dall’avvocato

Giorgio Pasquali;

– controricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7815/2017 del Tribunale di Roma, depositata il

19 aprile 2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28 febbraio 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo

D’Arrigo.

Fatto

RITENUTO

R.F. proponeva opposizione avverso un’ordinanza del giudice dell’esecuzione, lamentando il fatto che in detto provvedimento si fosse provveduto alla liquidazione unitaria delle spese e dei compensi del difensore, senza distinguere le une dagli altri.

Il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione.

Il R. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza per un unico, ma articolato motivo, individuato nella violazione degli artt. 91 ss. c.p.c., della L. n. 794 del 1942, del D.M. Giustizia n. 55 del 2014 e degli artt. 3,24, 28, 97 e 111 Cost..

Roma Capitale ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

In data 26 febbraio 2019 il ricorrente ha depositato memorie difensive, tardive in quanto presentate oltre il termine di cui all’art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Il ricorso, che peraltro presenta criticità anche quanto alla completezza nell’esposizione dei fatti di causa, è inammissibile in quanto non intercetta la ratio decidendi della sentenza impugnata. Costituisce oggetto di censura la statuizione del giudice dell’esecuzione in merito alle spese processuali, fatta nella misura di Euro 400,00, senza distinguere le spese vive dagli onorari.

Il Tribunale ha rilevato che l’applicazione del D.M. n. 55 del 2014 portava ad individuare un compenso pari ad Euro 307,62 così emergendo – ed è questo il senso della motivazione – che la differenza (Euro 400,00 – Euro 307,62 = Euro 92,38) costituisse la somma liquidata a titolo di spese vive. Tale affermazione non viene criticata nella sua correttezza.

Il ricorrente, infatti, non si duole dell’ingiustizia sostanziale della liquidazione, ma si limita a ribadire che, sotto il profilo formale, il mancato distinguo fra compenso e spese vive imporrebbe di dover procedere ad una nuova liquidazione.

Ed invece, il R., per censurare convincentemente la sentenza impugnata, avrebbe dovuto dimostrare che gli esborsi fossero superiori alla differenza fra l’importo di Euro 307,62 – indicato dal Tribunale come conforme alle previsioni del D.M. n. 55 del 2014 – e quello omnicomprensivo (Euro 400,00) liquidato dal giudice dell’esecuzione. Solo in tal modo, infatti, si sarebbe potuta affermare la violazione di legge, ossia che la liquidazione “omnicomprensiva” fatta dal giudice dell’esecuzione fosse inferiore ai minimi tariffari stabiliti con il decreto ministeriale.

Il ricorso è quindi inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lui proposta.

P.Q.M.

dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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