Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29798 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20403-2018 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO ALBERTI;

– ricorrente –

contro

BANCA NETWORK INVESTIMENTI SPA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA,

in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRA SIRACUSANO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO DE INNOCENTIIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2429/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.I. e F.R., a seguito della asserita dazione, avvenuta presso la loro abitazione, al sig. B.G.G., promotore finanziario di Area Banca S.p.A., delle somme di (i) Euro 61.974,83, il 5 Dicembre 2002, (ii) Euro 9.318,74, il 4 Gennaio 2003, (iii) Euro 5.680,00, il 6 Febbraio 2003, (iv) Euro 50.000,00, il 13 Febbraio 2003, (v) Euro 200.000,00, il 15 Maggio 2003, per quanto riguarda la C., e dell’importo di (vi) Euro 15.000,00, il 19 Febbraio 2003, per quanta riguarda il F., avendo scoperto, recatisi presso l’ufficio di rappresentanza dei promotori finanziari di Area Banca, che nessuna posizione era aperta a nome del predetto promotore finanziario e che al B. era stato revocato il mandato in data 31 Marzo 2003, convenivano in giudizio la banca preponente (la Banca Bipielle Network spa, incorporante Area Banca spa) ed il promotore finanziario, dinanzi al Tribunale di Bologna, chiedendo la condanna, in solido, dei convenuti alla restituzione delle somme consegnate al B.. Il Tribunale di Bologna, all’esito dell’istruttoria e nella contumacia del promotore, condannava, per quanto qui ancora interessa, la banca (in solido, con il B.) al pagamento, già inclusi gli interessi, di Euro 392.565,92, in favore della C., ed Euro 18.052,20, in favore del F., ritenendo provata sia la dazione di denaro sia la responsabilità solidale della banca per l’illecito penale (truffa aggravata) commesso dal promotore finanziario.

Avverso tale sentenza interponeva appello la Banca Network Investimenti S.p.A.(e nel corso del giudizio la procedura di liquidazione coatta amministrativa della stessa), subentrata alla originaria convenuta.

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 2429/2017, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenendo procedibile la domanda nei confronti della liquidazione coatta amministrativa, L. Fall., ex art. 96, comma 3, e fondati il secondo, solo in parte (con riferimento alla prova della dazione di Euro 5.860,00 dalla C. al B.), il quarto (con riferimento alla dazione da parte della C. al promotore di Euro 200.000,00) ed il quinto motivo (in punto di omessa pronuncia sulla domanda di manleva proposta dalla banca contro il promotore) del gravame, ha ridotto il quantum dovuto dalla banca a soli Euro 121.293,57 oltre interessi in favore di C.I., accogliendo i motivi di gravame inerenti all’esclusione della responsabilità della banca, per l’asserita dazione di Euro 5.658p.,00 da parte della C., in difetto di prova della dazione, e per l’ultima dazione di denaro da parte della C., di Euro 200.000,00, avvenuta il 15/5/2003, allorchè il B. non era più promotore finanziario, non essendo peraltro i signori C. e F. neppure clienti di Area Banca (cosicchè quest’ultima non poteva informarli dell’interruzione del rapporto con il B. dal 31/3/2003) e neppure essendo stata dimostrata dalla C. la effettiva dazione della suddetta somma di denaro.

Avverso la suddetta sentenza, la sig.ra C.I. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Si difende con controricorso la Banca Network Investimenti S.p.A. in Liquidazione Coatta Amministrativa.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per non aver la Corte d’Appello adeguatamente motivato in ordine alla mancata prova della dazione di denaro con riferimento all’importo di Euro 200.000,00; 2) con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2730,2735 c.c. anche in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, per non aver la Corte d’Appello adeguatamente motivato in ordine alla mancata prova delle dazioni di Euro 5.680,00 ed a quella di Euro 200.000,00; 3) con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, a violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31 e degli artt. 1189,1176,2043 c.c. e art. 115 c.p.c., per non aver la Corte d’Appello tratto le corrette conseguenze dalle incontestate circostanze di fatto dalle quali emergerebbe il c.d. nesso di occasionalità necessaria, sempre in relazione alla dazione di Euro 200.000,00.

2. Il primo motivo è infondato.

Al contrario di ciò che afferma il ricorrente, si evincono quelle che sono le motivazioni addotte dalla Corte d’Appello, al fine di decidere sul secondo e sul quarto motivo d’appello, in relazione alla asserita dazione di Euro 200.000,00 nel Maggio 2003, al paragrafo 11 della sentenza oggi impugnata (su cui è esclusivamente incentrata la doglianza).

La Corte ha ritenuto che: a) non risultava provata la dazione della somma di Euro 200.000,00, nel Maggio 2003, dalla C. al B., in quanto, a fronte della quietanza di versamento a firma del B. (priva di qualsiasi riferimento alla banca), alcuna prova del versamento effettivo del denaro, in parte in contanti, in parte con assegni, era stata data, cosiderato che, anche con riferimento alle copie degli assegni bancari prodotte, essi risultavano emessi a favore della C. e, dopo la sua firma di girata, negoziati da soggetti non identificati; b) era venuto meno, all’epoca, anche il nesso di occasionalità necessaria tra l’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria svolta dal promotore presso Area Banca ed il danno lamentato, in quanto il B. era stato rimosso dall’incarico già dal 31/3/2003 e la banca non era nemmeno in grado di avvisare detti investitori, non censiti nei suoi database, avendo inoltre provveduto a ritirare tutti gli strumenti di lavoro del promotore (ed il tesserino di riconoscimento non era più, a quel tempo, rilasciato).

Non si vede come possa il ricorrente affermare che la Corte si è limitata ad affermare che “non appare dunque provata la dazione delle somme al promotore finanziario”.

Come osservato dalle S.U. di questa Corte (Cass. S.0 22232/2016) “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

In realtà, il motivo sottende una censura di insufficienza motivazionale che non può essere più avanzata, in sede di legittimità, attesa la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione.

3. Il secondo motivo è solo parzalmente fondato.

La ricorrente con la censura si duole, sotto il profilo della violazione del principio di ripartizione dell’onere della prova, che la Corte d’appello abbia ritenuto non provata sia la dazione, in contanti, da parte della C. al B., di Euro 5.860,00, il 6/2/2003 (par.9 della sentenza), sia quella di Euro

ANI 200.000,00, nel maggio 2003 (par. 11 della sentenza).

La Corte d’appello, in relazione alla questione della asserita dazione, in contanti, da parte della C. di Euro 5.860,00, al paragrafo 9 della sentenza impugnata, ha rilevato che la stessa non era stata provata, in quanto, a fronte del modulo di versamento sottoscritto dal B., su carta intestata di Area Banca, contenente quietanza di ricezione della somma (doc.to 5), non vi era traccia dell’addebito della predetta somma nell’estratto del conto corrente alla prima intestato (come invece vi era traccia di altri importi).

Orbene, la censura sul punto è fondata, in quanto, pur vero che nella presente causa risarcitoria spetta all’investitore che agisce contro la banca preponente per fatto del promotore finanziario dare la prova del danno (e quindi di aver consegnato il proprio denaro, oggetto dell’illecita appropriazione, al promotore per l’effettuazione di operazioni finanziarie che apparentemente rientrino nel campo della attività a costui attribuita dall’intermediario secondo un criterio di normale affidamento in buona fede, cfr. Cass. 6829/2011), la Corte d’appello, non dando rilievo alcuno ad una quietanza di pagamento rilasciata dal B. in vigenza del mandato ricevuto da Area Banca, su carta intestata della stessa banca (ed al precedente par.8 la Corte d’appello aveva chiarito che sino al 12 febbraio 2003 il promotore aveva utilizzato moduli di Area Banca o riportanti timbro con detta dicitura), ha ritenuto non provata la dazione del denaro sulla base della mera mancata prova, da parte dell’attrice C., dell’addebito dell’importo sul conto corrente (e “delle contestazioni della controparte”).

La ricorrente assume che tale quietanza di pagamento sottoscritta dal promotore, su modulo di Area Banca (e dunque con spendita del nome della preponente), nella vigenza del mandato conferitogli dalla intermediaria, costituiva, nei confronti di quest’ultima, una confessione stragiudiziale in merito al ricevuto pagamento, con piena efficacia probatoria, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c. (cfr.Cass. 4196/2014; Cass. 32548/2018).

Ora, se questa Corte (Cass.21737/2016; Cass.32514/2018) ha chiarito che “nel giudizio di risarcimento promosso dal cliente nei confronti dell’intermediario finanziario per i danni arrecati dal promotore finanziario infedele, l’intermediario assume la posizione di terzo rispetto al promotore autore dell’illecito, con la conseguenza che la quietanza rilasciata da quest’ultimo e relativa alla ricezione del denaro da parte del cliente deve considerarsi alla stregua della scrittura privata proveniente dal terzo ed è, dunque, priva dell’efficacia probatoria che ha la scrittura fra le parti secondo l’art. 2702 c.c., avendo una valenza meramente indiziaria e potendo essere liberamente contestata”, nella specie, la Corte di merito non ha tenuto conto del fatto che la “ricevuta” rilasciata dal promotore al cliente, nella vigenza del rapporto promotore/banca intermediaria, valeva comunque come indizio, di valenza presuntiva, ove supportata da ulteriori elementi indiziari, per poter ritenere effettivamente provata la dazione di denaro.

La Corte d’appello si è invece limitata a dare rilievo alla mancata prova da parte dell’investitrice dell’addebito per importo corrispondente sul suo conto corrente.

Inoltre, al riguardo, la Corte distrettuale non ha neppure motivato sull’eventuale interruzione del nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l’esecuzione delle incombenze affidate al promotore, nella vigenza del mandato, in rehzione ad una condotta anomala del danneggiato, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore (Cass. 22956/2015).

La doglianza è invece inammissibile, con riguardo alla ritenuta mancata prova della dazione di Euro 200.000,00, in quanto, aAzitutto, non viene efficacemente censurata, nel motivo in esame, la ratio decidendi relativa al venir meno del nesso di occasionalità necessaria tra attività del promotore finanziario presso la banca intermediaria ed il danno, per essere stata la somma in oggetto versata in epoca in cui il mandato al B. da parte della preponente era da tempo venuto meno, con ritiro di tutti gli strumenti di lavoro; inoltre, con riguardo alla prova della dazione, la Corte distrettuale ha dato rilievo al fatto che il modulo di versamento (doc.to 8) non conteneva alcun riferimento alla Banca ed era a firma del solo B., non più all’epoca promotore finanziario di Area Banca (essendo stato revocato a fine marzo 2003), con la conseguente mancata valenza di tale documento di confessione stragiudiziale imputabile anche alla banca.

4. Il terzo motivo, volto esclusivamente a contestare l’altra ratio decidendi della sentenza impugnata, fondante la statuizione di rigetto della domanda relativa al versamento di Euro 200.000,00, è infondata. La Corte d’appello ha ritenuto che la complessiva condotta tenuta dalla C. e dal B., al riguardo (non soltanto la mera circostanza che la prima avesse consegnato al promotore somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle, cfr. Cass. 1741/2011, ma anche l’assenza di compilazione e sottoscrizione di un modulo di versamento riferibile alla banca e l’assenza di completa evidenza contabile dell’investimento), presentasse delle evidenti anomalie, indice, quanto meno, di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, che, vagliate insieme al dato circa la mancata spendita da parte del B. del nome di area Banca, in relazione a detto versamento, fossero idonee ad interrompere il nesso causale – di occasionalità necessaria tra condotta illecita del promotore causa del danno e funzioni dal medesimo svolte per conto della proponente – ed ad escludere, quindi, la responsabilità dalle banca.

Orbene, questa Corte ha chiarito che, in tema di intermediazione finanziaria, la società preponente risponde, in solido, del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari da essa indicati in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il danno e l’esecuzione delle incombenze affidate al promotore e quindi non solo quando detto promotore sia venuto meno ai propri doveri nell’offerta dei prodotti finanziari ordinariamente negoziati dalla società preponente, ma anche in tutti i casi in cui il suo comportamento, fonte di danno per il risparmiatore, rientri comunque nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze affidategli (Cass. 10580/2002; Cass. 1741/2011). Questa responsabilità solidale “non viene meno per il fatto che il preposto, abusando dei suoi poteri, abbia agito per finalità estranee a quelle del preponente, ma deve essere esclusa quando la condotta del danneggiato presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle stesse, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche” (Cass. 30161/2018; Cass. 857/2020; Cass. 25374/2018; Cass. 1741/2011). Invero, la violazione da parte del promotore finanziario degli obblighi di comportamento che la legge pone a suo carico non esclude la configurabilità di un concorso di colpa dell’investitore, qualora questi tenga un contegno significativamente anomalo ovvero, sebbene a conoscenza del complesso “iter” funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento, ometta di adottare comportamenti osservanti delle regole dell’ordinaria diligenza od avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto professionale con il cliente e alle modalità di affidamento dei capitali da investire, così concorrendo al verificarsi dell’evento dannoso per inosservanza dei più elementari canoni di prudenza ed oneri di cooperazione nel compimento dell’attività di investimento (Cass.16813/2015; Cass. 22956/2015; Cass. 4037/2016; Cass. 18928/2017).

La Corte di merito, in conformità ai predetti principi di diritto, ha diffusamente argomentato, spiegando le ragioni per le quali, in epoca nella quale era veneto meno il rapporto tra la preponente ed il promotore, abbia ritenuto insussistente il nesso di cd. occasionalità necessaria, requisito richiesto per l’affermazione della responsabilità dell’intermediario finanziario, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31.

5. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo limitatamente alla questione della prova della dazione dell’importo di Euro 5.860,00 da parte della C., respinto il primo ed il terzo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Il Giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, nei limiti di cui in motivazione, respinto il primo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche in punto spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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