Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29797 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18762-2018 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIONE N.

8, presso lo studio dell’avvocato GIUDITTA MERONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati BRUNO SAETTA, UMBERTO OLIVERI DEL CASTILLO;

– ricorrente –

contro

DEUTSCHE BANK SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 318 presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO CORAPI, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCO TORTORANO;

– controricorrente –

contro

FINANZA & FUTURO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1437/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 12/05/2010, M.L. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale(di Napoli, la Finanza e Futuro Banca S.p.A. e la Deutsche Bank S.p.A. esponendo: (i) di aver sottoscritto, in data 09/02/2006 e in data 17/03/2006, n. 1792,22 azioni del Fidelity Funds Sicav Euro Balanced Fund A, per l’importo di Euro 25.000,00, nonchè, nel 2006, l’offerta di certificati Deutsche Bank AG London, per un importo complessivo di Euro 31.000,00, tramite il promotore Manuel Migliaccio, il quale non gli aveva fornito alcuna “adeguata e specifica informazione”; (ii) che il promotore era stato da lui informato della sua inesistente propensione al rischio e della sua volontà di investire i propri risparmi in maniera sicura, anche se poco redditizia, al fine di conservare il capitale investito; (iii) di non aver sottoscritto il contratto-quadro, prescritto dall’art. 23 TUF, all’epoca vigente, e che la banca ed il promotore avevano violato i doveri di comportamento, informazione e trasparenza di cui all’art. 21 TUF e del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998, artt. 28, 30 e 96 sia in fase precontrattuale che successivamente. Premesso di aver subito un rilevante danno economico e di aver richiesto senza alcun risultato la restituzione di quanto investito, il sig. M. domandava, in via principale, che fosse accertata e dichiarata la nullità dei contratti per violazione delle norme del TUF e del Regolamento CONSOB; in via gradata, che fosse pronunciato l’annullamento dei contratti per errore e/o dolo nonchè per conflitto d’interessi ex art. 1394 e 1395 c.c.. Lo stesso chiedeva, infin, che i convenuti fossero condannati al risarcimento del danno, oltre interessi e rivalutazione.

Con sentenza emessa nel Dicembre 2012, il Tribunale di Napoli rigettava la domanda proposta contro la Deutsche Bank, dichiarava nulli gli ordini d’investimento e condannava la Futuro e Finanza a restituire all’attore la somma di Euro 56.000,00, oltre interessi legali, nonchè alla refusione delle spese di CTU anticipate dall’attore pari a Euro 2.943,53 e spese processuali per Euro 5.380,00 oltre accessori.

Avverso detta decisione, proponeva appello la Finanza e Futuro chiedendo in riforma della sentenza il rigetto della domanda di nullità degli ordini d’investimento e della domanda risarcitoria oppure, in subordine, accertare che le perdite ammontassero ad Euro 13.551,44, in luogo di Euro 56.000,00, e che conseguentemente venisse restituito quanto corrisposto anche in relazione agli interessi, spese di CTU e legali; l’appellante sosteneva che il Regolamento CONSOB, art. 30, comma 3 escludeva l’applicabilità dei commi 1 e 2 della medesima norma alla fattispecie in esame, il che aveva legittimato la mancata stipula del contratto-quadro e, di conseguenza, il promotore aveva legittimamente formalizzato il rapporto di collocamento fuori sede mediante redazione del DAC (documento accessorio al contratto), nel rispetto del Regolamento CONSOB.

Con sentenza del 28/03/2018, la Corte d’Appello di Napoli riformava parzialmente la pronuncia impugnata, rilevando che il DAC, richiamato dalla difesa della banca, era relativo ad altri investimenti e non a quelli per cui era causa e che l’art. 30 comma 3 del Regolamento richiamato si poteva applicare alle operazioni di collocamento di titoli di nuova emissione e non di titoli derivati già emessi, come nel caso di specie, cosicchè, anche in conseguenza della mancata dimostrazione dell’assolvimento agli obblighi informativi da parte della Finanza e Futuro, doveva confermarsi la declaratoria di nullità degli ordini d’investimento; tuttavia, dovendo riconfigurarsi le richieste della banca come eccezione di compensazione, avendo sempre l’intermediaria dedotto che l’ammontare del capitale investito da restituire all’investitore dovesse essere limitato alle minusvalenze, quest’ultima doveva essere condannata alla restituzione non dell’intera somma investita ma di quella risultante dopo la detrazione di quanto dal M. ricevuto a titolo di rimborso al termine dell’investimento (secondo quanto dimostrato dalla banca tramite la produzione della situazione patrimoniale al 09/12/2012), somma calcolata in Euro 13.551,44 (integrante la perdita subita dal M.), oltre interessi legali dalla domanda al saldo; di conseguenza, le spese di lite dovevano essere compensate, per i due gradi del giudizio, per la metà, stante la parziale soccombenza reciproca. In ragione di detta determinazione il M. era condannato a restituire quanto ricevuto in eccesso rispetto al dovuto, in esecuzione alla sentenza di primo grado.

Avverso la suddetta sentenza, M.L. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Si difende con controricorso la Deutsche Bank spa, quale incorporante la Finanza e Futuro S.p.A..

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4,(a violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la Corte d’Appello statuito, andando ultra petitum, che il sig. M. deve restituire tutto quanto ricevuto in eccedenza rispetto a quanto stabilito nella pronuncia stessa, pronunciando così oltre i limiti di quanto richiesto dall’appellante; con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la Corte di merito, nel dispositivo, emesso statuizioni in contrasto con la motivazione e per non aver limitato la restituzione delle somme specificamente richieste dalla banca nelle sue conclusioni nell’atto di appello; con il terzo motivo, sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, si lamenta poi la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, artt. 1-11 e delle tabelle 1 e 2 ad esso allegate, per aver la Corte d’Appello liquidato le spese di giudizio in misura inferiore al minimo tariffario indicato dal decreto ministeriale.

2. Il primo motivo è infondato.

Sebbene la banca abbia concluso per la richiesta di condanna alla restituzione dell’importo di Euro 24.127,35 oltre Euro 6.802,52 per spese legali, i Giudici di appello hanno accertato che “la banca ha chiesto, fin dal primo grado, che l’ammontare della restituzione sia limitato alle minusvalenze”. Tale affermazione, debitamente evidenziata nella pronuncia di appello, specifica e chiarisce quella che è la domanda della banca, la quale non si è limitata a chiedere la restituzione delle somme indicate ma intendeva avere restituite tutte le somme in ogni tempo pagate e che eccedessero quanto già percepito dal M. come rimborso dell’avvenuto investimento. In tal modo, quindi, la statuizione della Corte risulta in linea con quanto domandato dall’appellante.

3. Il secondo motivo è infondato.

Il ricorrente sostiene che l’affermazione fatta in dispositivo dalla Corte d’Appello con la quale sì condanna la Finanza e Futuro al pagamento della minore somma di Euro 13.551,44 contrasta con quella successiva secondo cui il M. è condannato alla restituzione delle somme ricevute in eccedenza a quanto stabilito nella pronuncia stessa.

Tale censura è infondata, in quanto ben si comprende dalla lettura della motivazione che la prima affermazione di condanna altro non è che la riforma di quanto pronunciato in primo grado dal Tribunale. Solo la successiva statuizione di condanna nei confronti del M. risulta invece essere una effettiva condanna al pagamento da eseguirsi in esecuzione della sentenza riformata. Ciò anche in considerazione del fatto che solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione comporta la nullità del provvedimento (ex multis Cass. n. 5939/2018), evenienza che non ricorre nel caso in esame.

4. Il terzo motivo è inammissibile e comunque infondato.

Il giudice di merito, secondo il ricorrente, avrebbe errato nella liquidazione delle spese, nella sentenza del marzo 2018, in quanto i parametri indicati nel decreto ministeriale n. 55/2014 riportano cifre minime superiori rispetto a quelle indicate nella sentenza d’appello.

Ora, la Corte d’Appello, dichiarando compensate per la metà le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, ha liquidato Euro 3.766,00, per compensi, per il primo grado, secondo il D.M. n. 140 del 2012, ed Euro 3.777,00, per compensi, per il secondo grado, secondo il D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto “dell’assenza di attività istruttoria”.

Il ricorrente, non confrontandosi con il decisum si limita a contestare la violazione dei minimi tariffari, per lo scaglione di riferimento, ai sensi del “DM 55/2014”.

Ora, in tema di liquidazione delle spese processuali sulla base delle tariffe approvate con il D.M. n. 140 del 2012, questa Corte ha chiarito (Cass. 18167/2015) che, in difetto di specifica indicazione, non può presumersi che la somma liquidata sia stata parametrata dal giudice ai valori medi, rilevando unicamente che la liquidazione sia contenuta entro i limiti, massimo e minimo, delle tariffe medesime, “peraltro nemmeno vincolanti, come si desume dal menzionato decreto, art. 1, comma 7”, mentre, con riguardo al D.M. n. 55 del 2014, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, il giudice può scendere anche al di sotto o salire pure al di sopra dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento, purchè ne dia apposita e specifica motivazione e comunque non al di sotto del 30% del valore medio (Cass. nn. 11601/2018 e 23978/2019).

La Corte ha motivato, in relazione al grado di appello ove ha ritenuto operante il D.M. n. 55 del 2014, dando rilievo all’assenza di istruttoria.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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