Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29792 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 19/11/2018), n.29792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25237/2013 proposto da:

B.V., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, V.

CRESCENZIO 2, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MASSINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA GIOVANNA ICOLARO,

VALERIO DI STASIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

REGIONE CAMPANIA AREA LLPP SETTORE PROVINCIALE DEL GENIO CIVILE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 638/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 21/05/2013 R.G.N. 25237/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato Maria Giovanna Icolaro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Salerno, a conferma della pronuncia del locale Tribunale, ha rigettato la domanda di B.V., dipendente della Regione Campania, Area LL.PP. Settore Provinciale Genio Civile, avente a oggetto il diritto all’indennizzo per l’indebito arricchimento conseguito dall’Amministrazione regionale, per effetto della mancata corresponsione allo stesso dell’indennità di trasferta e delle spese sostenute per gli incarichi espletati fuori sede tra il 2003 e il 2007.

La Corte territoriale ha accertato che il dipendente non aveva fornito la prova che lo svolgimento delle attività in trasferta si collocasse fuori dagli obblighi previsti dal regolamento contrattuale; ha altresì ritenuto non adeguatamente provata la diminuzione patrimoniale necessaria a dichiarare la responsabilità della Regione Campania; ha infine statuito che, non avendo l’appellante mai invocato la tutela prevista dall’art. 36 Cost., non avesse titolo all’indennizzo per indebito arricchimento in assenza del requisito della sussidiarietà, che l’art. 2042 c.c., richiede per l’utile esperimento dell’azione.

Per la cassazione della sentenza ricorre B.V. con tre motivi, illustrati da memoria, mentre la Regione Campania rimane intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione del principio di cui all’art. 2967 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.. Afferma che la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare non provati elementi di fatto quali lo svolgimento di trasferte fuori sede, l’autorizzazione all’utilizzo del mezzo proprio, la quantificazione degli emolumenti da erogare a titolo di indennità di trasferta e rimborso delle spese sostenute.

Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 113 c.p.c.”. La sentenza gravata avrebbe conferito natura retributiva all’emolumento preteso, mentre lo stesso rifletterebbe una logica non retributiva, essendo stato previsto dall’art. 41, del CCNL per i dipendenti delle Regioni e degli Enti Locali del 2000, per finalità di ristoro delle spese sostenute dai dipendenti nel caso di

spostamento di oltre dieci chilometri dalla ordinaria sede di lavoro.

Con il terzo e ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente si duole della “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 113 c.p.c.”. Censura l’interpretazione della Corte territoriale là dove la stessa ha ritenuto che la domanda d’indennizzo per indebito arricchimento fosse priva della sussidiarietà richiesta dall’art. 2042 c.c., non senza rilevare come una siffatta interpretazione finisca per lasciare priva di tutela la situazione sostanziale prospettata in giudizio.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

La doglianza deduce che il fatto che l’amministrazione non avesse mai contestato la veridicità dello svolgimento dell’attività di servizio fuori dall’ordinaria sede di lavoro per le indicate giornate, l’utilizzo del mezzo proprio, la sussistenza dell’autorizzazione del superiore gerarchico, la quantificazione degli emolumenti assunti come dovuti (p. 16 ric.) rappresenta una conclusione errata, là dove dette circostanze, in quanto allegate al ricorso e mai contestate dall’amministrazione, avrebbero dovuto essere ritenute sussistenti senza che fosse necessario un apposito accertamento da parte del giudice. Tale tendenziale irreversibilità della non contestazione dei fatti costitutivi del diritto (a seguito della definitiva acquisizione degli atti prodotti nel giudizio di merito) avrebbe precluso – secondo parte ricorrente – la pronuncia d’infondatezza della domanda per mancato raggiungimento della prova dell’estraneità dell’attività di trasferta al sinallagma contrattuale.

Il motivo di ricorso non si confronta con la ratio decidendi della sentenza gravata.

Il Giudice dell’Appello, nel ricostruire la fattispecie all’interno del regolamento contrattuale (integrato dalla fonte ex lege) ove si prevedono i contrapposti diritti e obblighi delle parti, ha accertato che l’appellante non aveva offerto la prova che le prestazioni in trasferta esulassero dai confini del sinallagma contrattuale.

Ha poi richiamato la Legge Finanziaria 23 dicembre 2005, n. 266, che all’art. 1, commi 213 e 214 (dichiarati costituzionalmente legittimi dalla sentenza della Corte Cost. n. 95 del 2007), ha soppresso l’indennità di trasferta per motivi di contenimento della spesa pubblica e, in particolare, di razionalizzazione dell’istituto, disciplinato dalla L. 26 luglio 1978, n. 417 (art. 1, comma 1) e dal D.P.R. 16 gennaio 1978, n. 513 (art. 1, comma 1).

Ha perciò rilevato che in tale rinnovato contesto, la domanda di indennizzo per indebito arricchimento costituisce un tentativo per “recuperare”, per altra via, una voce retributiva venuta meno per l’intervento della fonte regolatrice “esterna”.

Quest’ultima, tuttavia, nell’eliminare le disposizioni contrattuali che prevedevano il diritto all’indennità di trasferta e nel sancire il divieto per le parti sociali di reintrodurne di nuove in futuro, ha inteso comprimere l’autonomia collettiva nell’area pubblica, sicchè il ragionamento della Corte territoriale, secondo cui, in assenza di una previsione contrattuale, l’unica azione esperibile dall’appellante era quella rivolta ad accertare la violazione del diritto alla retribuzione proporzionata ai sensi dell’art. 36 Cost., va condiviso.

Come esattamente ha statuito il Giudice del merito, in tal caso, evidentemente, il bagaglio probatorio fornito dall’appellante avrebbe dovuto ricomprendere ogni elemento utile a rendere raggiungibile la conoscenza globale del trattamento corrisposto al dipendente e non già limitarsi a mere allegazioni concernenti le circostanze di fatto entro cui si erano svolte le diverse trasferte, senza alcun riferimento all’insieme delle concrete modalità della prestazione lavorativa.

Anche la seconda censura è infondata.

Essa si appunta sulla natura dell’indennità di missione, alla quale, secondo parte ricorrente, la fonte contrattuale avrebbe attribuito natura non retributiva, di mero ristoro del disagio e delle spese sostenute per gli spostamenti.

Una siffatta qualificazione dell’indennità s’infrange contro l’accertamento svolto dalla Corte territoriale quanto al mancato raggiungimento della prova che le prestazioni controverse non fossero ricomprese tra gli obblighi contrattualmente assunti con la Regione. La qualificazione della natura non patrimoniale dell’indennità di trasferta resta, pertanto, un’affermazione priva di un concreto riscontro nell’ambito del regolamento contrattuale che disciplina diritti e obblighi delle parti.

Infine, anche la terza censura è infondata.

Essa non coglie nel segno, in quanto non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia d’Appello, la quale ha accertato l’assenza del requisito della sussidiarietà, atteso che la disciplina codicistica riconosce il diritto ad esperire l’azione d’indebito arricchimento soltanto quando non sia possibile attivare nessun altro rimedio (art. 2042 c.c.).

Nel caso di specie l’appellante avrebbe potuto esperire l’azione di cui all’art. 36 Cost., cui la Corte Costituzionale riconosce efficacia immediata e diretta nei confronti sia della legge sia dei contratti collettivi, essendo tale norma inderogabile posta a tutela del diritto del lavoratore alla retribuzione proporzionata e sufficiente, inteso quale diritto assoluto della persona.

La Corte d’Appello ha infine accertato, con motivazione esente da vizi logico-argomentativi, che, pur volendo prescindere dalla mancanza del fondamentale requisito della sussidiarietà, l’azione si rivela comunque infondata, stante l’inadeguatezza della prova della diminuzione patrimoniale subita dal dipendente, elemento quest’ultimo che, ai sensi dell’art. 2041 c.c., concorre alla corretta configurazione dell’istituto dell’indebito arricchimento.

In definitiva, il ricorso va rigettato, senza provvedere sulle spese del presente giudizio in mancanza di difesa dell’intimata.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’Udienza Pubblica, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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