Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29789 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18494-2019 proposto da:

A.O.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI

CONSOLI, 62, presso lo studio dell’avvocato ENRICA INGHILLERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2830/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

MARULLI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con il ricorso in atti si impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Ancona, attinta dal ricorrente ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 e dell’art. 702-quater c.p.c., ha confermato il diniego pronunciato in primo grado delle misure intese a conseguire il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria e se ne chiede la cassazione sul rilievo 1) della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e art. 14 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, artt. 11 e 32, avendo il decidente del grado reiterato il negativo giudizio circa la credibilità soggettiva del narrante senza dare conto, nello sviluppo argomentativo della decisione, della disamina dei parametri a tal fine enunciati dal legislatore ed astenendosi perciò da ogni dovere di cooperazione istruttoria; 2) della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, dell’art. 3 CEDU e dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), avendo il decidente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria, quantunque fosse provato, per gli eventi riportati in causa, lo sradicamento del ricorrente dal proprio paese di origine, abbandonato a causa delle minacce di morte ricevute, ed il corrispondente radicamento nel nostro paese, comprovato dalla conoscenza della lingua e dalla disponibilità di un lavoro; 3) della violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. avendo il decidente condannato il ricorrente alla refusione delle spese liquidate in misura abnorme, nonchè al raddoppio del contributo unificato.

Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il primo motivo di ricorso si presta ad una preliminare valutazione di inammissibilità essendo diretto a sindacare l’apprezzamento di fatto operato dalla Corte d’Appello.

Essa ha invero respinto il proposto gravame ribadendo, in punto di attendibilità del vissuto allegato dal ricorrente, il convincimento già osteso dal giudice di primo grado circa gli elementi idonei ad incidere negativamente sulla credibilità della sua narrazione, sottolineando, altresì in questa chiave l’insussistenza di elementi probatori a sostegno della domanda (mancanza di documenti, genericità dei motivi di abbandono del paese, sconoscenza dei fenomeni richiamati), tali da non potere essere integrati neppure per mezzo dell’esercizio dei poteri suppletivi di indagine, tenuto conto della natura privatistica della vicenda narrata.

In ragione di ciò, va quindi rammentato che, secondo quanto ancora di recente ribadito da questa Corte, “da valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito”, insuscettibile di rivalutazione in questa sede ove riguardo ad esso non siano allegati, come appunto non avvenuto qui, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o un’anomalia motivazione che si tramuti in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, dovendosi quindi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass., Sez. I, 5/02/2019, n. 3340).

Se ciò, come ancora chiarito da questa Corte, dispensa il giudice del merito dal procedere ad ogni ulteriore approfondimento istruttorio riguardo alle fattispecie contemplate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), con riguardo alla residua fattispecie sub lett. c), rispetto alla quale il dovere di cooperazione istruttoria è sempre sussistente ove sia assolto l’onere di allegazione (Cass. 29/05/2020, n. 10826), l’impugnato responso non è parimenti soggetto a critica dal momento che detto onere non risulta essere stato chiaramente assolto dal ricorrente nel giudizio di merito, incentrandosi le sue allegazioni sulle minacce che affermava aver ricevuto dalla setta, piuttosto che su una situazione di conflitto interno alla sua Regione di provenienza (Edo State).

3. Del pari inammissibile si rivela il secondo motivo di ricorso.

Ancorchè per vero prospettata come violazione e falsa applicazione di legge, la doglianza ivi dispiegata – ove non direttamente contrastata dalla considerazione che per giurisprudenza costante di questa Corte il livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato non è bastevole ai fini della concessione della misura atipica (Cass., Sez. U, 13/11/2019, n. 29459) – sollecita, fuori dallo schema comparativo cui ubbidisce il giudizio al riguardo – che deve apprezzare la condizione di vulnerabilità del richiedente alla luce di una comparazione tra la sua condizione nel paese d’origine e quella nel paese, onde verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale – una mera rinnovazione del sindacato di merito laddove questo ha escluso la sussistenza nella specie di “specifiche situazioni soggettive, tali da giustificare tale concessione, in quanto l’istante non ha provato, anche in ragione della genericità e scarsa credibilità del suo racconto, di rientrare in categorie soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità”.

4. Infondato, in linea di principio, è il terzo motivo di ricorso, giacchè la condanna del ricorrente alle spese di lite – e così pure il raddoppio del contributo -, riflesso del principio di causalità, è conseguenza della sua soccombenza. Nè gli effetti di essa su questo terreno, anche con riguardo alla misura in concreto determinata, non sono minimamente temperabili mediante il generico richiamo al potere di compensazione del giudice ovvero lamentando in modo altrettanto generico l’abnormità della disposta liquidazione.

5. Il ricorso va dunque respinto.

6. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Doppio contributo ove dovuto.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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