Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29787 del 12/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 29787 Anno 2017
Presidente: ARMANO ULIANA
Relatore: SCODITTI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso 23961-2016 proposto da:
CONDOMINIO “LA VELA” P.I.90110470276, in persona
dell’Amministratore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA n.133, presso lo studio
dell’avvocato SIMONE CADEDDU, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati NICOLA TELLA, MAURO FERRUZZI;
– ricorrenti –

con tro
LAGUNA MEDICAL CENTER S.R.L. P.I.03427340272, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA COMANO n.95, presso lo studio dell’avvocato
GIANMARCO CESARI, rappresentato e difeso dall’avvocato
AUGUSTO PALESE;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 12/12/2017

contro
VENICE WATERFRONT S.R.L.;

intimata

avverso il provvedimento n. 539/2016 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO
SCODITTI.

Ric. 2016 n. 23961 sez. M3 – ud. 25-10-2017
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VENEZIA, depositata il 10/03/2016;

Rilevato che:
Con ricorso ai sensi dell’art. 702

bis cod. proc. civ. Laguna

Medical Center s.r.I., in qualità di proprietaria di unità immobiliare
adibita a poliambulatorio e studio dentistico nel condominio
denominato “La Vela” in Mestre, convenne quest’ultimo in giudizio in
giudizio innanzi al Tribunale di Venezia chiedendo il risarcimento del

allagamento a causa di percolazione di acqua proveniente dall’alto,
cagionata dalle macchine per il trattamento dell’aria poste nel locale a
cielo aperto situato al terzo piano dell’edificio. La convenuta chiamò
in causa Venice Waterfront R.E. s.r.I., la quale aveva costruito il terzo
piano. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso l’ordinanza
propose appello Laguna Medical Center s.r.I.. Con sentenza di data 10
marzo 2016 la Corte d’appello di Venezia accolse l’appello,
condannando il condominio al pagamento della somma di Euro
30.000,00, e rigettò la domanda di manleva.
Osservò la corte territoriale, sulla base della ricostruzione
effettuata dalla CTU, che il percolamento proveniente dalle macchine
al terzo piano era giunto, passando per il cavedio lungo le relative
canalizzazioni, sul soffitto del locale bagno posto al secondo piano
determinando, nei primi giorni di gennaio allorquando per la pausa
natalizia i locali al secondo piano erano vuoti, la rottura del soffitto di
gesso che, nel rompersi, aveva provocato con la caduta l’apertura di
un rubinetto e che, avendo i pezzi di gesso provocato l’ostruzione
degli scarichi ed il conseguente allagamento del bagno, si erano
determinate le infiltrazioni nel locale posto al piano sottostante.
Aggiunse che l’ipotesi più verosimile alla stregua di un calcolo di
regolarità statistica, stante il principio del “più probabile che non”, era
che era stata proprio la caduta del soffitto a determinare l’apertura
del rubinetto e che pertanto ricorreva la responsabilità ai sensi
dell’art. 2051 cod. civ.

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danno. Espose la parte attrice che l’unità immobiliare aveva subito un

Ha proposto ricorso per cassazione il condominio “La Vela” sulla
base di due motivi e resiste con controricorso Laguna Medical Center
s.r.I.. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi di manifesta infondatezza del
ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite
le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Considerato che:

degli artt. 2051 e 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
3, cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che il CTU ha operato una
ricostruzione postuma e del tutto ipotetica della sequenza causale,
non avendo accertato la caduta del gesso che ha determinato
l’apertura del rubinetto, e che il condominio è custode del cavedio e
delle relative canalizzazioni, ma non del bagno dell’appartamento
sovrastante quello di Laguna Medical Center s.r.I.. Aggiunge che il
giudice di appello, dando per accertata la dinamica dell’evento
dannoso proposta dal CTU in mancanza di prova della sequenza
causale (il CTU non può supplire alle deficienze probatorie delle
parti), ha accollato al ricorrente l’onere di fornire la prova liberatoria
nonostante che la controparte non avesse assolto il proprio onere
probatorio circa l’esistenza del rapporto di custodia ed il nesso
causale fra la cosa custodita e l’evento dannoso.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 2051 cod. civ. e dell’art. 40 cod. pen., ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che l’evento
dannoso non era causalmente collegato con la cosa custodita dal
condominio, essendo l’ipotesi più verosimile che il personale durante
le festività si fosse recato a fare le pulizie nell’immobile ed avesse
sbadatamente lasciato aperto un qualche rubinetto, e che
responsabile era chi aveva un rapporto di custodia con il bagno, il
quale non aveva adottato tutte le cautele necessarie per impedire che
il gesso cadesse sui sanitari. Aggiunge che la mancanza di diligenza

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con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione

del custode del bagno si configura come caso fortuito interruttivo del
nesso causale.
I motivi, da valutare unitariamente, sono manifestamente
infondati. Va premesso che in tema di responsabilità civile gli
apprezzamenti del giudice del merito in ordine alla sussistenza del
nesso di causalità tra il comportamento colposo di un soggetto e la

che si sottrae al sindacato in sede di legittimità, a condizione che tale
giudizio sia immune da errori giuridici e vizi di motivazione (Cass. 5
aprile 2005, n. 7086; 11 marzo 2002, n. 3492). La censura proposta
dal ricorrente ha riguardo agli errori giuridici ma nella misura in cui
incide sull’apprezzamento di fatto del giudice di merito resta
inammissibile. Anche la violazione dell’onere della prova viene fatta
dipendere da un’erronea valutazione della prova ed attiene quindi in
ultima analisi al giudizio di fatto, non sindacabile come tale nella
presente sede di legittimità.
Peraltro la decisione non contrasta con il principio di diritto
secondo cui ai fini della riconducibilità dell’evento dannoso ad un
determinato comportamento, non è sufficiente che tra l’antecedente
ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza, essendo
invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una
sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica,
per cui l’evento appaia come una conseguenza non imprevedibile
dell’antecedente; occorre quindi dar rilievo, all’interno della serie
causale, solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione
“ex ante” – del tutto inverosimili, in base alle leggi generali di
copertura proprie delle scienze esatte applicate ai fenomeni naturali,
in tal senso giustificandosi il nesso relazionale causa -conseguenza
secondo un giudizio di probabilità scientifica, ovvero – in assenza di
tali leggi – in base alla valutazione dei dati di esperienza e della
rilevazione della intensità delle frequenze statistiche degli

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produzione di un evento dannoso si risolvono in un giudizio di fatto,

accadimenti, che consentano di desumere, per via induttiva, la
esistenza del nesso eziologico, dovendo – in quest’ultima ipotesi considerarsi che non vi è piena coincidenza nel regime probatorio
dell’accertamento del nesso eziologico in sede civile ed in sede
penale, avuto riguardo ai differenti valori sottesi ai due processi: ed
infatti, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la

non”, ispirato al criterio della normalità causale, mentre nel processo
penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” che
risponde ad un criterio di elevato grado di credibilità razionale che è
prossimo alla “certezza” (da ultimo Cass. 24 maggio 2017, n. 13096).
Il giudice di appello, sulla base della propria valutazione di merito
delle circostanze di fatto, ha fatto applicazione del criterio della
sequenza causale dotata del maggior grado di verosimiglianza.
Il profilo dell’errore giuridico da valutare sul piano della
fondatezza del motivo è quello del non aver il giudice di appello
considerato il rapporto di custodia con la cosa da cui il danno è
derivato. Secondo l’accertamento del giudice di merito l’infiltrazione
fonte del danno è provenuta da una unità immobiliare della quale il
condominio non era custode. Il giudice di merito ha però anche
accertato che l’infiltrazione è stata determinata dalla rottura di
soffitto di gesso conseguente al percolamento da cosa in custodia del
condominio ricorrente.
Come affermato dalla giurisprudenza, premesso che il
fondamento della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. è
costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla
cosa che non dipendano da caso fortuito, quando la cosa svolge solo
il ruolo di occasione dell’evento e rappresenta il mero tramite del
danno, in concreto provocato da una causa ad essa estranea, si
verifica il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il
collegamento causale tra la cosa e il danno (Cass. 20 ottobre 2005,

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regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che

n. 20317). Nell’ambito dell’indirizzo maggioritario di questa Corte sul
danno cagionato da cosa in custodia quale ipotesi di responsabilità
oggettiva (fra le tante da ultimo Cass. 16 maggio 2017, n. 12027; 19
maggio 2011, n. 11016), il caso fortuito va inteso non quale esimente
sul piano della colpa, ma quale evento che interrompe il nesso di
causalità. La nozione soggettiva di caso fortuito, rilevante sul piano

la causa non imputabile di impossibilità della prestazione (artt. 1218
e 1256 cod. civ.). Nel regime della responsabilità oggettiva di cui
all’art. 2051 la funzione del caso fortuito è invece quella di
derubricare la causa del danno a mera occasione priva di rilevanza
eziologica. La cosa in tal caso ha assolto il ruolo di mero tramite del
danno, in concreto provocato da una causa ad essa estranea: essa è
dunque occasione e non causa dell’evento dannoso. Il caso fortuito
previsto dall’art. 2051 costituisce un fattore che attiene quindi non
già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale
dell’evento, che deve essere riconducibile non alla cosa che ne è fonte
immediata ma ad un elemento esterno (Cass. 20 ottobre 2005, n.
20317).
Per tornare al caso di specie era onere del condominio dimostrare
l’esistenza del caso fortuito, e cioè che il percolamento era stato il
mero tramite del danno causato in realtà dall’apertura del rubinetto
nel bagno del piano sovrastante (circostanza che, a parti rovesciate,
ben avrebbe anche potuto essere dimostrata dal custode dell’unità
immobiliare sovrastante quella danneggiata, e cioè di essere stata
mero tramite dell’efficacia causale riconducibile in realtà al
percolamento da cosa in custodia del condominio). A tale profilo il
ricorrente accenna nella parte finale del secondo motivo, laddove si
afferma che responsabile era il custode del bagno che non aveva
adottato tutte le cautele necessarie per impedire che il gesso cadesse
sui sanitari, ma trattasi di enunciazione astratta in quanto non vi

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della colpa, riguarda la disciplina delle obbligazioni, e segnatamente

corrisponde un conforme accertamento di fatto del giudice di merito,
né risulta denunciata l’esistenza di vizio motivazionale sotto tale
aspetto. Il fatto che quindi il condominio non fosse il custode
dell’unità immobiliare sovrastante quella danneggiata non rileva una
volta che il giudice di merito non abbia accertato che il percolamento
abbia rivestito il ruolo di mero tramite e non di causa del danno.

seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio
2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento,
da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore
della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed
agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13.
Così deciso in Roma il giorno 25 ottobre 2017
Il Presidente
Dott. ssa Uliana Armano
Il Funzionario Giudizimio

DEKASITATO IN CANCELLERIA

1 2 D 1 2011‘

,, …. ……..
Roma, ,,,……..
… Giudiziario

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo,

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