Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29783 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 19/11/2018), n.29783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16082/2014 proposto da:

FONDAZIONE EDMUND MACH, ISTITUTO AGRARIO DI SAN MICHELE ALL’ADIGE, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI, 20, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO SALVATORI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SERGIO COLETTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNELISE FILZ, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 81/2013 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 20/12/2013 r.g.n. 43/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza del 20.12.2013, la Corte di appello di Trento respingeva il gravame proposto dalla Fondazione Edmund Mach avverso la decisione del Tribunale della stessa città che aveva accertato la sopravvenuta inidoneità, a far data dal gennaio 2009, della clausola appositiva del termine finale del 31.12.2010 al contratto di lavoro subordinato stipulato il 31.1.2008 con Z.J. ed aveva dichiarato che tra le parti, a far data dal gennaio 2009, era intercorso un rapporto a tempo indeterminato avente ad oggetto mansioni di addetto di 4^ livello, con condanna della Fondazione alla corresponsione di un’indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, liquidata in Euro 15.370,47, pari a nove mensilità della retribuzione;

2. la Corte respingeva i rilievi della Fondazione in ordine all’applicabilità della previsione della L. n. 183 del 2010, art. 32,comma 1 bis, alla sola impugnazione di licenziamenti e riteneva applicabile anche ai contratti a termine il differimento dell’efficacia del termine di impugnazione al 31.12.2011;

3. osservava, poi, che, a far data dal 2009, la Z. aveva effettuato, come era risultato accertato in istruttoria, prestazioni volte a soddisfare esigenze diverse da quelle connesse con il progetto originario, che tale circostanza non era contraddetta dall’utilizzo di attrezzature in precedenza già adoperate e che il contenuto della clausola appositiva del termine era stato disatteso in ragione della destinazione della lavoratrice a compiti diversi dagli originari che ne avevano determinato l’assunzione a termine;

4. quanto alla determinazione dell’indennità risarcitoria, la Corte evidenziava la mancata produzione di documenti a sostegno della tesi che ne giustificasse una quantificazione minore, ritenendo corretto l’importo determinato, parametrato a nove mensilità;

5. di tale decisione ha domandato la cassazione la Fondazione, affidando l’impugnazione a cinque motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui ha resistito la Z., con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo sono denunziate violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, della L. n. 183 del 2010, art. 32,D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 e Legge di Conversione 26 febbraio 2011, n. 10, L. n. 92 del 2012 e segg. modificazioni ed integrazioni per effetto della legge di conversione del cd. decreto sviluppo – l. n. 134 del 2012 -, sostenendosi che l’inserimento del D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 54, in sede di interpretazione letterale, logica e sistematica debba essere ritenuto come impeditivo della possibilità di applicare il differimento dei termini di impugnazione a fattispecie diverse da quella del licenziamento e che il contratto a termine nella specie era già scaduto;

2. omesso esame in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti è dedotto con il secondo motivo, in relazione alla mancata considerazione della testimonianza della teste G., laddove la stessa aveva riferito che il team di ricerca ove era inserita la Z. poteva operare su più progetti e che vi era stata una evoluzione delle attività nel laboratorio durante il periodo di maternità di quest’ultima compatibile con la causale apposta al contratto a termine;

3. con il terzo motivo, si ascrivono alla decisione impugnata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 1362 c.c. e dell’art. 1365 c.c. nella parte in cui la Corte di appello ha omesso di applicare il criterio di elasticità nell’interpretazione della causale apposta al contratto individuale della Z.;

4. con il quarto motivo, si deduce ulteriormente il vizio di omesso esame circa fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, laddove la sentenza non ha considerato che dal ricorso della Z. fosse possibile evincere l’esistenza, all’interno della Fondazione, di una procedura di stabilizzazione dei contratti a tempo determinato;

5. con il quinto motivo, si censura la decisione sostenendosi la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6, nella parte in cui, pur essendo pacifica l’esistenza di una procedura di stabilizzazione dei lavoratori assunti con contratti a tempo determinato, la Corte di appello non ne ha tratto le dovute conseguenze in tema di determinazione dell’indennità risarcitoria in tema di conversione del contratto a termine e ritenendosi che l’indennità dovesse essere riproporzionata in tre mensilità;

6. il primo motivo è infondato, dovendo aversi riguardo ai principi affermati da Cass., s.u., 14.3.2016, Cass. 14.12.2015 n. 25103, secondo cui: “La decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4 e la conseguente proroga di cui al comma 1 bis del medesimo articolo si applicano anche ai contratti a termine cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010)”. E’ improprio anche il richiamo a C. Cost. n. 155/2014 secondo cui “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 4, lett. b), impugnato, in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede l’applicazione del termine decadenziale di 60 giorni (stabilito dal riformato della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1) per la contestazione della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro, anche ai contratti a tempo determinato già conclusi (per scadenza del termine finale) alla data di entrata in vigore della legge e con decorrenza dalla medesima data. Il nuovo regime introdotto dal suddetto art. 32 si applica, nel suo complesso, a tutti i contratti a termine (quelli già scaduti alla data di entrata in vigore della legge, quelli in corso di esecuzione e quelli instaurati successivamente) per garantire la speditezza dei processi con l’introduzione di termini decadenziali in precedenza non previsti, contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dalla scadenza del termine apposto al contratto e ridurre il contenzioso giudiziario in materia”. Tale decisione conforta anzi l’applicabilità della normativa che prevede il differimento dei termini di impugnazione alla fattispecie esaminata;

7. il secondo ed il quarto motivo, con i quali si denunzia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, sono entrambi inammissibili per effetto di quanto previsto dall’ art. 348 ter c.p.c., comma 5, che – richiamando disposizione di cui al comma 4 – preclude la proposizione del ricorso per il motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado. Tale disposizione è applicabile, come previsto del D.L. n. 83 del 2012, art. 54,comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012. Nella specie, l’appello è stato proposto con ricorso del 14.5.2013, quindi successivamente alla entrata in vigore della suddetta normativa, che deve ritenersi ratione temporis applicabile.

8. quanto al terzo motivo, gli artt. 1362 e 1365 c.c., sono richiamati in modo non conferente, perchè nella specie si ha riguardo alla sussumibilità della fattispecie concreta in quella prevista dalla legge (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1). Nè il richiamo a Cass. 10068/2013 è pertinente, in quanto tale pronuncia riguarda fattispecie in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, in relazione alla quale è stato specificamente affermato che “l’onere datoriale di specificare tali ragioni può ritenersi soddisfatto nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non sia riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta, con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione”;

9. in relazione al quinto motivo, in materia di contratto a tempo determinato la possibilità di riduzione alla metà del limite massimo dell’indennità prevista dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, in dipendenza della applicabilità al lavoratore di accordi di stabilizzazione, ai sensi dell’art. 32, comma 6 della stessa legge, deve essere verificata con riferimento alla data della cessazione del rapporto ed è subordinata all’effettiva e concreta possibilità per il lavoratore, di aderire, in tale momento, ad una accordo di stabilizzazione e non, invece, alla semplice stipula, in assoluto, da parte del datore di lavoro, di accordi di stabilizzazione (cfr. Cass. 11.2.2014 n. 3027, Cass. 7458/2014); in ogni caso, non è scalfito con la censura in esame quanto affermato dalla Corte circa la mancata produzione di documentazione a conforto dei termini degli accordi richiamati;

10. quanto al ricorso incidentale condizionato della lavoratrice, che evidenzia – peraltro con un ricorso del tutto generico senza indicazione delle norme violate – profili discriminatori in relazione alla mancata stabilizzazione, è evidente il suo assorbimento in ragione del rigetto del ricorso principale;

11. le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate come da dispositivo;

12. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per la ricorrente principale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna la Fondazione al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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