Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29781 del 12/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/12/2017, (ud. 16/11/2017, dep.12/12/2017),  n. 29781

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 5 agosto 2010, la Corte di Appello di Cagliari ha respinto l’impugnazione proposta da D.L. avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato il ricorso volto a far valere la nullità del termine del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato stipulato con Poste Italiane Spa per il periodo 1.12.1999 – 29.2.2000, accertando lo scioglimento del rapporto per mutuo consenso ex art. 1372 c.p.c., comma 1.

La Corte territoriale ha ritenuto che costituissero manifestazioni tacite concludenti nel dimostrare la volontà di risolvere il rapporto i seguenti elementi complessivamente valutati: la breve durata del contratto a termine; l’aver contestato la legittimità del termine apposto al contratto oltre 4 anni dopo la scadenza; la mancata formulazione di qualsiasi contestazione e/o riserva al momento della sottoscrizione della risoluzione del contratto; l’avvenuto ritiro del libretto di lavoro; l’accettazione incondizionata del trattamento di fine rapporto e delle altre competenze finali.

La Corte non ha poi ritenuto dirimente al fine di formare un diverso convincimento nè che l’istante avesse firmato un modulo, predisposto dalle Poste, in cui chiedeva di essere inserito in una graduatoria in cui la società avrebbe attinto per procedere alle assunzioni a tempo indeterminato, nè la circolare del 14.2.2000 con cui la medesima società aveva comunicato che non sarebbero stati stipulati contratti a termine con soggetti aventi un contenzioso in atto.

2. Per la cassazione di tale sentenza D.L. ha proposto ricorso con tre motivi. Ha resistito con controricorso Poste Italiane Spa.

In prossimità dell’adunanza camerale del 30 marzo 2017 le parti hanno depositato memoria ed il P.G. requisitoria scritta e la causa è stata rimessa all’udienza pubblica del 16 novembre 2017.

Prima di essa le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.

Con il primo si denuncia insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’esistenza o meno nel caso di specie di una risoluzione per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 c.c..

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., anche in riferimento alla L. n. 604 del 1966, artt. 1422, 2946, 2948, 2113 e 6,circa la ritenuta risoluzione del rapporto.

Con il terzo mezzo si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero l’interpretazione degli effetti della inclusione nella graduatoria dei cd. “trimestrali” e della circolare del 14 febbraio 2000 anche con riferimento a quanto previsto dagli artt. 428 e 2113 c.c., dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, dall’art. 116 c.p.c..

La Corte giudica che tali motivi, esaminati congiuntamente in quanto investono tutti l’accertamento sulla risoluzione del contratto tra le parti ai sensi dell’art. 1372 c.c., non possano trovare accoglimento.

2. In presenza di una giurisprudenza di legittimità in materia che ha dato luogo a letture di vicende processuali contigue ritenute dalla Procura Generale della Cassazione talvolta non coincidenti, questa Corte intende ribadire ed ulteriormente definire i limiti del controllo di legittimità nei giudizi instaurati ai fini del riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione del termine finale scaduto, ove sorga questione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Tanto anche in considerazione del recente arresto delle Sezioni unite civili rappresentato dalla sentenza n. 21691 del 27 ottobre 2016 (punti 55, 56, 57, 58).

In tale pronuncia, premesso il dato normativo dell’art. 1372 c.c., comma 1, secondo cui il contratto può essere sciolto “per mutuo consenso”, si è rammentato l’insegnamento in base al quale, salvo che non sia richiesta la forma scritta ad substantiam, il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto può essere desumibile da comportamenti concludenti.

Con specifico riferimento al caso dei contratti a tempo determinato detta sentenza, avallato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola che fissa il termine può considerarsi “indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti” ove “concorra con altri elementi convergenti”, ha statuito che “il relativo giudizio attiene al merito della controversia”.

Quindi, verificato che nel caso sottoposto all’attenzione della Corte il giudice del fatto avesse considerato la durata del comportamento omissivo e la convergenza degli altri elementi prospettati in causa pervenendo alla valutazione congruamente motivata che nella fattispecie concreta non fosse stata fornita la prova del mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto, il Supremo Collegio ha testualmente concluso: “il giudizio di merito si chiude qui”.

2.1. Si tratta di una conclusione del tutto coerente con una risalente giurisprudenza di legittimità, mai smentita nel corso degli anni, secondo la quale l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (ab imo v. Cass. n. 1037 del 1968; conf. a Cass. n. 2302 del 1953).

Deriva come inevitabile conseguenza metodologica che, se l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del contratto costituisce un giudizio di fatto condotto dal giudice del merito, esso è sindacabile in sede di legittimità nei limiti in cui un tale apprezzamento di merito può esserlo in base alle rigorose regole imposte dalla disciplina del vizio che secondo i dettami dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tempo per tempo vigente- può colpire la ricostruzione di ogni vicenda storica che preceda il contenzioso giudiziale.

2.2. Ciò posto, laddove il giudice intenda desumere da fatti noti l’esistenza di una comune volontà delle parti tesa allo scioglimento del contratto, per il tramite di una inferenza logica, troveranno applicazione gli artt. 2727 e 2729 c.c., così come interpretati da una consolidata giurisprudenza che ha stabilito i fondamenti ed i limiti del ricorso alla prova presuntiva (per una estesa ricognizione v. Cass. n. 5787 del 2014).

Le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione; spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare il fatto da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto a lui riservato (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010).

Si è pure rilevato che il convincimento dei giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su di una sola presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Cass. n. 9245 del 2007; Cass. n. 19088 del 2007; Cass. n. 17574 del 2009; Cass. n. 18644 del 2011).

E’ stato poi precisato non occorra che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. n. 16993 del 2007; Cass. n. 4306 del 2010; Cass. n. 22656 del 2011; Cass. n. 22898 del 2013), visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 5787/2014 cit.).

Il procedimento che deve seguirsi in tema di prova per presunzioni si articola quindi in due momenti valutativi: in primo luogo occorre che il giudice esamini analiticamente gli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e per selezionare quelli che presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi; con la conseguenza che il giudice non può negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non siano in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr. Cass. n. 13819 del 2003; Cass. n. 19894 del 2005; Cass. n. 722 del 2007; Cass. n. 9108 del 2012; Cass. n. 23201 del 2015; Cass. n. 5374 del 2017).

2.3. Da tali principi di diritto deriva che, in tema di prova presuntiva del mutuo consenso tacito, spetta innanzi tutto al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche circa l’esistenza ignota di una comune volontà risolutoria; indi compete sempre al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all’esistenza o, al contrario, all’inesistenza di uno scioglimento del contratto per mutuo consenso.

La delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sè solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori.

Per quanto detto è compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui “risalire” al fatto ignorato (art. 2727 c.c.) che presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria e l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit è sottratto al controllo di legittimità (in termini, Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017), salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente.

Non è poi sufficiente contestare l’equivocità di un singolo fatto valutato dalla sentenza impugnata proprio perchè il convincimento del giudice del merito deve esprimere necessariamente una valutazione sintetica e globale in relazione al complesso degli indizi, atteso che, quand’anche uno di essi sia singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può acquisirla nella combinazione con gli altri, nel senso che, come insegna la giurisprudenza citata, ognuno può rafforzarsi e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.

Parimenti chi censura un ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare, così come escluso in tutti i casi in cui viene sottoposta a questa Corte l’interpretazione di una volontà negoziale (tra molte: Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.) e, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.

Infine, non ci si può dolere in questa sede che dal complesso del materiale indiziante scrutinato dal giudice del merito non derivi ineluttabilmente, in legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, l’esistenza di un accordo solutorio, rilevato come sia sufficiente che esso sia desumibile dall’insieme dei fatti noti come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità e probabilità, quale connessione verosimile di accadimenti che non deve essere oggettivamente inconfutabile.

Invero, trattandosi di una decisione che è frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può semplicemente sostenere una diversa combinazione dei dati fattuali ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi (cfr. Cass. n. 18715 del 2016), con una censura generica e meramente contrappositiva rispetto al giudizio operato in sede di merito (cfr. Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005). Inoltre il fatto secondario che si assume trascurato dovrà avere carattere “decisivo”, nel senso che, se sussistente, porterebbe la controversia con certezza ad una soluzione diversa ed il non averlo tenuto presente ha escluso l’opzione tra due scelte possibili, altrimenti realizzandosi una indebita sostituzione del giudice di merito nella selezione delle fonti di convincimento (di recente v. Cass. n. 7916 del 2017). Infatti, per postulato indiscutibile, non è conferito alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, mentre trascende i limiti di tale controllo la mera denuncia di difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal giudice attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (v., tra le tante, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).

In definitiva anche in questa materia non può darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tenere sempre fermo l’insegnamento di questa Corte secondo cui: “in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata (potendo questa essere disattesa non già quando l’interferenza probatoria non sia da essa “necessitata”, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione” (Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014, che richiama Cass. n. 14953 del 2000).

2.4. Tanto premesso in iure, nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, come risulta dallo storico della lite, il giudice del fatto ha considerato la durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola e la convergenza degli altri elementi prospettati in causa, pervenendo alla valutazione complessiva e congruamente motivata che nella fattispecie concreta sia stata fornita la prova del mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto.

Per dirla con le Sezioni unite civili in premessa ricordate: “il giudizio di merito si chiude qui”. Senza che tale giudizio possa mutare natura a seconda che l’esito di esso giunga ad affermare che vi fosse oppure non vi fosse mutuo consenso, poichè in entrambi i casi è escluso possa essere suscettibile di un diverso o rinnovato apprezzamento in sede di legittimità.

Tutte le censure proposte, da un lato, non investono omissioni, insufficienze o contraddittorietà del discorso giustificativo su fatti realmente decisivi della controversia, intesi come idonei a determinare un diverso esito della lite con giudizio di certezza, e non di mera probabilità o possibilità, e, d’altro canto, si infrangono contro la palese sussistenza, nella sentenza impugnata, dei requisiti strutturali dell’argomentazione, mentre le doglianze si sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicchè incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità.

Non sfugge a questa Corte l’eventualità che l’arrestarsi sulla soglia del giudizio di merito possa fare sì che analoghe vicende fattuali vengano diversamente valutate dai giudicanti cui compete il relativo giudizio.

Tuttavia è noto che l’oggetto del sindacato di questa Corte non è (o non immediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate dall’art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte ricorrente: ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali in Cassazione (ad ex. v. Cass. n. 10868, n. 10925 e n. 22688 del 2014, in motivazione) perchè sono differenti sia le fattispecie concrete che hanno dato origine alla causa, sia gli sviluppi processuali del giudizio, sia le motivazioni delle sentenze impugnate, sia i motivi di gravame posti a fondamento del ricorso per cassazione, sia, infine, le molteplici combinazioni tra siffatti elementi.

Si tratta di esiti non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare natura del controllo di legittimità, ancor più da quando il legislatore ha inequivocabilmente orientato il giudizio di cassazione nel senso della preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo progressivamente gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro apprezzamento.

3. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3500,00, oltre Euro 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2017

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