Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29780 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24045-2018 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVICO

DI SAVOIA 21, presso lo studio dell’avvocato PAOLO LANZILLOTTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO DI GRADO;

– ricorrente –

contro

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 41,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO SEPIACCI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONINO TURTURICI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1330/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.S. propose opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Sciacca il 18/19 marzo 2002 con il quale veniva ingiunto all’opponente e a U.O. di pagare, in favore di T.G., la somma di lire 41.500.000 oltre interessi legali e spese del procedimento monitorio. Il decreto ingiuntivo era fondato su un atto di transazione stipulato il 19 luglio 1993 tra i sigg.ri U. e T. e su un assegno di conto corrente rilasciato in pari data dallo stesso B. in favore dell’opposta, a garanzia dell’obbligazione assunta dall’ U., da riscuotersi il 31 dicembre 1993 in caso di mancato adempimento da parte del debitore principale.

L’opponente, rilevando che l’emissione di un assegno postdatato in garanzia è contraria alle norme imperative di cui al R.D. n. 1763 del 1933, artt. 1 e 2, con conseguente nullità del patto di garanzia stipulato tra le parti, chiese la revoca del decreto ingiuntivo.

T.G. rivendicò la validità del titolo di credito emesso in funzione del contratto autonomo di garanzia intercorso con il B..

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 25 agosto 23 dicembre 2003, respinse l’opposizione. Propose appello B.S. ribadendo che la emissione di un assegno postdatato comporta la nullità del patto di garanzia sottostante, qualificabile, nella specie, come fideiussione.

La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 803/09, respinse l’appello ritenendo che la postdatazione non renda il titolo nullo in sè, ma rende nulla solo la postdatazione con la conseguenza che il prenditore può esigerne l’immediato pagamento e che pertanto resta valido il sottostante patto di garanzia. A seguito di ricorso in cassazione questa Corte cassò la sentenza impugnata e rinviò alla Corte di appello di Palermo che, a seguito di giudizio di rinvio, con sentenza in data 20/6/2018, oggetto dell’odierna impugnazione, in parziale riforma della sentenza di primo grado, revocò il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Sciacca a carico di B.S. ed al contempo condannò quest’ultimo al pagamento della somma di Euro 21.432,96 a favore di T.G..

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione B.S. affidato ad un motivo e memoria. T.G. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c. dell’art. 2697 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice territoriale ha condannato il ricorrente al pagamento della somma di Euro 21.432,96 a favore di T.G. senza tenere conto che l’obbligo di pagamento traeva origine da un assegno postdatato, emesso dal ricorrente a garanzia dell’adempimento di U.O., e che tale assegno era nullo per illiceità della causa in quanto, essendo postadatato, era contrario a norme imperative.

In riferimento alla vicenda per cui è causa è opportuno ricordare che questa Suprema Corte si è già pronunciata sulla vicenda con sentenza Sez. 1, Sentenza n. 10710 del 24/05/2016 (Rv. 639852 – 01) la quale ha affermato che “L’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute nel R.D. n. 1736 del 1933, artt. 1 e 2, e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c., sicchè, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c.

La sentenza ora impugnata, emessa a seguito di riassunzione del giudizio di rinvio disposto da questa Corte, ha -da un lato-applicato i principi di cui sopra evidenziando la promessa di pagamento insita nel rilascio dell’assegno di conto corrente da parte di B.S. in favore di T.G. a garanzia degli obblighi di U.O.. D’altro lato la sentenza espone però un’ulteriore ratio decidendi, distinta ed autonoma, basata sulla obbligazione di pagamento che ha ritenuto assunta dal B. nell’atto di transazione stipulato con scrittura privata in data 19/7/1993 dalla T. e dall’ U., cui partecipò il B. ivi impegnandosi a pagare in caso di inadempimento dell’ U., poi fallito.

Questa seconda ratio decidendi, idonea a sostenere autonomamente la decisione, non è stata in alcun modo censurata in ricorso, ove si sottopone a censura solo la prima ratio. Ne deriva che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di interesse (cfr. tra molte: Cass. n. 6985/19), con condanna del soccombente alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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