Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29779 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2018, (ud. 18/09/2018, dep. 19/11/2018), n.29779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10798/201 proposto da:

ARTA ABRUZZO AGENZIA REGIONALE PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA, 63, presso lo studio

dell’avvocato MARCO CROCE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MANUEL DE MONTE;

– ricorrente –

contro

P.P., rappresentato e difeso dall’avv. ANGELO TENAGLIA

per procura speciale in calce al ricorso incidentale, domiciliato

come in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1076/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/10/2015; R.G.N. 233/14

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Flavio De Battista per delega verbale dell’avvocato

Manuel De Monte;

udito l’Avvocato Angelo Tenaglia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello proposto da P.P. nei confronti dell’ARTA Abruzzo, Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Pescara, condannando l’Agenzia appellata al pagamento della somma di Euro 40.557,78 relativa al periodo lavorativo dal 1 luglio 2002 al 31 dicembre 2011 “a titolo di retribuzione ordinaria, ratei di tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali dal dovuto al saldo, nonchè a regolarizzare la posizione contributiva”.

2. Il lavoratore aveva agito in giudizio per sentir dichiarare l’illegittimità dei plurimi contratti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione intercorsi tra l’ARTA Abruzzo e la esistenza tra le parti di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal primo contratto, con condanna del datore di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive ed al risarcimento dei danni ulteriori, oltre accessori e regolarizzazione contributiva.

3. La Corte territoriale ha osservato che l’appellante aveva svolto le mansioni proprie della qualifica di Collaboratore Tecnico Professionale Chimico (cat. D del CCNL comparto Sanità) e non risultava provato che l’oggetto della prestazione corrispondesse ad obiettivi e progetti specifici e determinati; anzi, era incontestato che l’appellante fosse stato adibito a compiti istituzionali dell’Agenzia, rientranti nelle ordinarie attività di istituto. Era allora evidente che l’Amministrazione si era avvalsa, per il periodo in contestazione, delle prestazioni lavorative mediante la sottoscrizione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, al di fuori dei presupposti tipici previsti dalla legge, mentre il lavoratore aveva messo a disposizione dell’Agenzia, in detto periodo, le proprie energie lavorative che erano state utilizzate dal datore di lavoro a proprio vantaggio.

3.1. La Corte di appello ha dunque ritenuto di fare applicazione dell’art. 2126 c.c., anche in ragione di quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5. Non ha riconosciuto il diritto a ferie e festività soppresse non godute. Ha rigettato la domanda di “ulteriore” risarcimento del danno formulata D.Lgs. 165 del 2001, ex art. 36, perchè non era stata data prova di un pregiudizio aggiuntivo, oltre a quello relativo alle rivendicate differenze retributive, e dovendosi considerare che il rapporto di lavoro svoltosi di fatto aveva consentito all’appellante di ottenere la stabilizzazione.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l’ARTA Abruzzo, prospettando quattro motivi di ricorso. Resiste con controricorso il lavoratore, che propone a sua volta ricorso incidentale articolato in due motivi.

5. Con memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente incidentale ha rappresentato, con riferimento a quanto denunciato con il primo motivo di ricorso, che, con ordinanza di correzione di errore materiale emessa in data 14 luglio 2016 ed allegata alla memoria, la Corte di appello ha provveduto a rettificare il dispositivo della sentenza, condannando l’ARTA al pagamento della somma corrispondente ai titoli riconosciuti in favore del P. e così complessivamente alla somma di Euro 53.435,73 per retribuzione ordinaria, ratei di tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto. In ragione di ciò, ha chiesto che questa Corte non si pronunci in ordine al primo motivo del ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36,art. 2222 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, L. n. 267 del 2000, art. 110, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame di un fatto controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte di appello, omettendo di esaminare il contenuto dei contratti, ha ritenuto che gli stessi non rispettassero del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e art. 7, comma 6. Nè sussistevano nella specie gli elementi della subordinazione, di cui avrebbe dovuto dare prova il lavoratore.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’obbligo di rispettare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento all’applicazione degli artt. 2126 e 2041 c.c..

Assume parte ricorrente che il lavoratore non aveva chiesto in via subordinata il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato di fatto con applicazione dell’art. 2126 c.c., nè aveva proposto un’azione di indebito arricchimento. Pertanto, la sentenza aveva violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041,2126,2697 c.c., artt. 36 e 37 Cost., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, in relazione all’art. 360, n. 3. Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Assume l’ARTA Abruzzo che la Corte d’Appello ha riconosciuto, in virtù dell’art. 2126 c.c., per il periodo in contestazione, le differenze retributive a titolo di retribuzione ordinaria, ratei di tredicesima, TFR e ricostruzione contributiva, ma la specialità del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, preclude l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2126 c.c..

La Corte d’Appello si sarebbe dovuta limitare a condannare l’Amministrazione a corrispondere il trattamento economico risultante dal titolo invalido per la prestazione svolta dal lavoratore, non essendo dovuta una retribuzione maggiore rispetto a quella prevista dal titolo, ancorchè invalido, e dunque solo di quanto necessario a rendere il compenso rispettoso dell’art. 36 Cost., qualora il lavoratore dimostri che il compenso percepito non soddisfa i principi di tale disposizione costituzionale. Pertanto, la Corte d’Appello avrebbe dovuto rigettare l’impugnazione confermando la correttezza della sentenza di primo grado.

4. Con il quarto motivo del ricorso principale è dedotta omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione, violazione ed erronea applicazione degli artt. 2935 e 2948 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Espone l’Agenzia ricorrente di avere riproposto tale eccezione nella memoria di costituzione in appello, ma la Corte nulla ha statuito al riguardo.

5. Con primo motivo del ricorso incidentale il P. lamenta nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia su una parte della domanda.

Rileva che la somma richiesta sin dal ricorso introduttivo è quella di Euro 53.435,73, di cui Euro 40.877,06 per differenze retributive e tredicesima mensilità ed Euro 12.877,96 per differenze sul trattamento di fine rapporto, come risulta anche dalla narrativa della sentenza impugnata. La Corte di appello aveva invece riconosciuto, come risulta dal dispositivo, soltanto la somma di Euro 40.557,78, pur dichiarando dovute anche le differenze di TFR ed evidenziando che i conteggi allegati al ricorso non erano stati contestati dall’Agenzia convenuta ed apparivano attendibili.

6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale lamenta violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nella parte in cui la sentenza ha respinto la domanda tesa ad ottenere il risarcimento dei danni ulteriori per mancanza di prova del danno.

A sostegno del motivo richiama il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5072 del 2016, in tema di illegittima precarizzazione del rapporto di impiego pubblico ed esonero del lavoratore dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 (e quindi nella misura di una indennità omnicomprensiva tra un minimo di 2.5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).

7. Preliminarmente, il Collegio rileva che altre cause aventi il medesimo oggetto e vertenti sulle stesse questioni giuridiche oggetto del ricorso principale, sono state già esaminate dalla Corte nella camera di consiglio del 13 dicembre 2017 e decise, in senso sfavorevole per l’ARTA Abruzzo, con le ordinanze nn. 9592, 9591, 7491, 7335, 7334, 7117, 7116, 7115, 7114, 7113, 7061, 7060, 6935, 6904 e 6781 del 2018. La questione proposta con il secondo motivo del ricorso incidentale risulta esaminata nell’ordinanza n. 7060 del 2018.

8. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile, perchè è incentrato sulle pattuizioni negoziali intercorse tra le parti con i contratti in questione, in quanto censura l’interpretazione dei suddetti documenti, ma non li allega nè indica il luogo di produzione nel corso del giudizio, in violazione dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6. Parte ricorrente omette di indicare la specifica sede processuale in cui i documenti, contenenti la dichiarazione negoziale sono stati prodotti; omette inoltre di indicarne il contenuto, trascrivendo in particolare le causali (il ricorrente si limita ad affermare che nei contratti erano indicate in modo puntuale e chiaro le ragioni relative alla temporaneità e alle sopravvenute esigenze di nuovo personale; che nel contratto di collaborazione erano adeguatamente specificati i programmi su cui la lavoratrice avrebbe operato), limitandosi a dare la propria qualificazione degli stessi.

8.1. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (tra le più recenti, Cass. n. 14107 del 2017).

8.2. Per il resto, il motivo è infondato in quanto “la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità” (Cass. n. 14434 del 2015).

8.3. La Corte territoriale, oltre a valorizzare l’assenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, per il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa, ha evidenziato lo stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’ente pubblico e l’adibizione a mansioni rientranti nei compiti istituzionali dell’Agenzia.

8.4. Il giudizio di merito compiutamente espresso dalla Corte territoriale non è sindacabile in questa sede nè vi è spazio per il denunciato vizio motivazionale atteso che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame “di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014).

9. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.

9.1. In caso di denuncia di un error in procedendo l’esercizio del potere-dovere di esame diretto degli atti da parte del giudice di legittimità è condizionato dalla proposizione di una valida censura, sicchè la parte non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo, inoltre, alla allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più recenti Cass. 21.12.2017 n. 30708; Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077; Cass. 10.11.2011 n. 23420).

9.2. Detti oneri non sono stati assolti nella fattispecie perchè l’ARTA Abruzzo si è limitata a riportare nel ricorso le sole conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado non sufficienti ai fini della qualificazione dell’azione proposta e non ha fornito indicazioni finalizzate al pronto reperimento di detto atto.

10. Il terzo motivo proposto dall’ARTA Abruzzo è infondato.

10.1. Va richiamata la giurisprudenza di questa Corte consolidata nell’affermare che “la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti dell’art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale” (Cass. n. 9591 del 2018, nonchè Cass. n. 3384 del 2017).

10.2. Con le richiamate pronunce si è evidenziato che l’art. 2126 c.c., ha applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, salvo il caso in cui l’attività svolta risulti illecita perchè in contrasto con norme imperative attinenti all’ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona.

10.3. Si è precisato anche che il trattamento retributivo e previdenziale spettante al lavoratore è quello proprio “di un rapporto di impiego pubblico regolare” (in motivazione Cass. n. 12749/2008) e, quindi, quello previsto D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 2, dal contratto collettivo di comparto.

10.4. Questa Corte ha già affermato, con la sentenza n. 3384 del 2017, che la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un’amministrazione pubblica, al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti di cui all’art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale.

10.5. La Corte d’Appello ricorda come in ragione della disciplina vigente la Pubblica Amministrazione può ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tali da caratterizzarle come prestazioni di lavoro autonomo, e nell’ipotesi in cui l’Amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.

Nel caso di specie, – rileva il giudice di secondo grado – l’ARTA si era avvalsa delle prestazioni del lavoratore mediante sottoscrizioni di contratti di collaborazione coordinata e continuata al di fuori dei presupposti previsti dalla legge, venendo l’attuale resistente inserito nella struttura organizzativa della Pubblica Amministrazione. Trovava dunque applicazione l’art. 2126 c.c..

11. Il quarto motivo del ricorso principale è inammissibile ex art. 366 c.p.c..

Nel ricorso non sono riportati gli atti di primo grado in cui sarebbe stata formulata per la prima volta l’eccezione di prescrizione, nè sono forniti elementi relativi allo svolgimento processuale per ritenere la ritualità della introduzione della questione sin dal primo atto difensivo. Non è neppure trascritto il contenuto della memoria di costituzione in appello recante la riproposizione dell’eccezione ex art. 346 c.p.c.. L’Agenzia ricorrente non indica quando la detta eccezione sarebbe stata proposta con la specificazione del luogo in cui essa sarebbe attualmente rinvenibile in questa sede, sì da consentire a questa Corte la verifica della sua ritualità, tempestività e decisività.

11.1. Specificamente, questa Corte ha affermato che la parte, che deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame dell’eccezione di prescrizione, è tenuta a far riferimento al momento in cui la stessa è stata proposta ai fini della sua ritualità (ex art. 416 c.p.c., comma 2) e a specificare – per consentire al giudice di legittimità di valutare la decisività della sollevata questione – le condizioni ed i presupposti necessari per accertare se la prescrizione sia decorsa o meno, sicchè non può limitarsi a censurare genericamente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, la mancata pronuncia sulla sollevata eccezione da parte del giudice del gravame (cfr. Cass. n. 21083 del 2014 e n. 2618 del 1999).

12. Venendo all’esame del ricorso incidentale, va osservato che la denuncia formulata con il primo motivo è da ritenere superata dall’intervenuta rinuncia formulata dal difensore in sede di memoria ex art. 378 c.p.c..

12.1. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la rinuncia ad uno o più motivi di ricorso, che rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza o meno di tali censure, è efficace anche in mancanza della sottoscrizione della parte o del rilascio di uno specifico mandato al difensore, in quanto, implicando una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesa, è rimessa alla discrezionalità del difensore stesso, e resta, quindi, sottratta alla disciplina di cui all’art. 390 c.p.c., per la rinuncia al ricorso (Cass. n. 22269 del 2016, n. 11154 del 2006, 15962 del 2003, n. 3949 del 1998).

12.2. Il sopravvenuto difetto di interesse alla pronuncia sul primo motivo del ricorso incidentale comporta la declaratoria di inammissibilità dello stesso.

13. E’ fondato il secondo motivo del ricorso incidentale.

13.1. Occorre premettere che, secondo la narrativa della stessa sentenza impugnata, la domanda risarcitoria era stata formulata dall’appellante “in relazione alle previsioni sanzionatorie del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, quale sanzione alla condotta illegittima della P.A., tale da soddisfare i principi e la normativa Europea”.

La Corte territoriale ha tuttavia respinto tale domanda per difetto di prova di un pregiudizio ulteriore rispetto a quello consistente nel danno relativo alle retribuzioni non coerenti con il carattere sostanzialmente subordinato del rapporto di lavoro, rilevando altresì la successiva avvenuta stabilizzazione del rapporto.

13.2. Secondo la recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di pubblico impiego privatizzato, qualora la P.A. faccia ricorso a successivi contratti formalmente qualificati di collaborazione coordinata e continuativa e il lavoratore ne alleghi l’illegittimità anche sotto il profilo del carattere abusivo della reiterazione del termine, il giudice è tenuto ad accertare se di fatto si sia instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato e a riconoscere al lavoratore, in assenza dei presupposti richiesti dalla legge per la reiterazione, il risarcimento del danno, alle condizioni e nei limiti necessari a conformare l’ordinamento interno al diritto dell’Unione Europea (Cass. n. 10951 del 2018).

13.3. E’ stato osservato con tale pronuncia che il principio di diritto enunciato dalle S.U. con la sentenza 5072 del 2016 – secondo cui “nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicchè, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32,comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” – deve trovare applicazione nell’ipotesi di reiterazione, mediante proroga o rinnovo (sulla assimilabilità della proroga al rinnovo ai fini dell’applicazione della clausola 5 dell’accordo quadro Cass. 5229/2017), di rapporti che, sebbene formalmente qualificati di collaborazione, si siano svolti nelle forme tipiche del lavoro subordinato, a condizione che degli stessi la parte abbia allegato la illegittimità anche in ragione del carattere abusivo della reiterazione del termine.

13.4. La Corte territoriale, pertanto, ha errato laddove ha ritenuto necessaria un’ulteriore prova del danno, dopo avere ritenuto dimostrato in giudizio che attraverso il ricorso a contratti formalmente qualificati di collaborazione coordinata e continuativa l’ente pubblico aveva di fatto instaurato diversi rapporti di lavoro subordinato a termine e dopo avere affermato che l’appellante aveva lamentato il carattere abusivo della reiterazione. Al contrario, la Corte era tenuta a verificare la sussistenza dei presupposti, in relazione ai motivi di appello formulati dal P., alle condizioni e nei limiti indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte, del danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto. Quanto all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa l’intervenuta “stabilizzazione” dell’attuale resistente, non risulta chiarito se ed eventualmente in quali termini – sussista una correlazione tra i contratti a termine intercorsi tra le parti e l’accertata “stabilizzazione” (cfr. Cass. n. 7070 del 2018, in relazione a Cass. n. 16336 del 2017).

14. La sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata in accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, con rinvio alla Corte di Appello indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame di merito, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

15. Sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato nei confronti del ricorrente principale, stante l’infondatezza dell’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, inammissibile il primo motivo per sopravvenuta rinuncia; rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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