Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29779 del 12/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/12/2017, (ud. 04/10/2017, dep.12/12/2017),  n. 29779

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Torino/con sentenza n. 527/2012,ha riformato la sentenza che aveva accolto l’opposizione alla cartella esattoriale con cui veniva ingiunto a T.F. importo di Euro 1602,77 preteso dall’INPS a titolo di contributi dovuti per l’anno 2006 alla gestione artigiana/cui era iscritta per l’attività di fotografa, e rinveniente dal reddito da partecipazione nella società in accomandita semplice Macelleria Coppino, dei genitori, di cui era socia accomandante; avente ad oggetto la diversa attività di macelleria.

A fondamento della decisione la Corte rilevava che il D.L. n. 384 del 1992, art. 3 – bis convertito con modificazioni nella L. 14 novembre 1992, n. 438, prevede che a decorrere dall’anno 1993 l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui alla L. 2 agosto 1990, n. 233, è “rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”; e che tra i redditi di impresa vanno inclusi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986 i redditi del socio accomandante di società in accomandata semplice; mentre a nulla rilevava che la norma sottoponesse a contribuzione previdenziale un reddito non di lavoro, ma prodotto dal capitale investito in una società in accomandita semplice alla stregua della sentenza 354/2001 della Corte Cost..

Contro la sentenza ha proposto ricorso T.F. con un motivo di censura al quale ha resistito l’Inps con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con un unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 360, n. 3 della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 6 e 55, avendo la corte territoriale errato ad attribuire rilevanzata fini del calcolo contributivo,al reddito proveniente dalla sua partecipazione alla società in accomandita semplice, nella quale non svolgeva alcuna attività di lavoro e rivestiva soltanto la qualità di socio accomandante; che in ogni caso occorreva stabilire correttamente a quali redditi di impresa si riferisse il concetto di “totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef” di cui all’art. 3 – bis legge cit., il quale non poteva comprendere redditi d’impresa diversi da quelli prodotti dall’attività commerciale o artigianale in relazione alla quale l’assicurato era iscritto alla corrispondente gestione, non potendo essere assoggettati a contribuzione a fini previdenziali altre fonti di reddito.

2. – La prima censura riferita alla violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1 comma 203, è inammissibile poichè ai fini della causa non viene in rilievo l’an della contribuzione, essendo la ricorrente iscritta alla gestione artigiani in forza della sua attività di fotografa. Si tratta invece di stabilire se la base contributiva previdenziale della medesima attività artigianale possa comprendere anche redditi provenienti da altra fonte ed, in particolare dalla partecipazione ad una società in accomandita semplice in qualità di accomandante. Un problema quindi di quantum e di determinazione della base imponibile del contributo annuo dovuto dagli iscritti alle gestioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali.

3. – La tesi positiva, pure censurata in ricorso, trova aggancio nella lettera della norma (D.L. n. 384 del 1992, art. 3 – bis, convertito con modificazioni nella L. 14 novembre 1992, n. 438) la quale regola la base imponibile in oggetto prevedendo che “a decorrere dall’anno 1993 l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui alla L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1 è rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”.

4. – E tra i medesimi redditi d’impresa denunciati a fini Irpef rientrano i redditi delle società in accomandita semplice, posto che secondo il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6 comma 3 “I redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi.” Pertanto, in base al combinato disposto delle norme citate i redditi di società in accomandita semplice sono redditi di impresa, anche se relativi al socio come accomandante e vanno computate ai fini in discorso nella base imponibile contributiva.

5. Il dubbio sollevato dal ricorrente relativo a “quali” redditi di impresa la norma intenda fare riferimento, è fugato non solo dalla latitudine dell’espressione impiegata dal legislatore (“la totalità”); ma anche dal raffronto con la formulazione della legge precedente (L. n. 233 del 1990, art. 1) la quale restringeva invece la base imponibile del contributo annuo in questione al “12 per cento del reddito annuo derivante dalla attività di impresa che dà titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente”. Con la nuova disposizione rileva invece “la totalità” dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef e non si parla più della sola attività che dà titolo all’iscrizione alla gestione L. n. 233 del 1990, ex art. 1.

6. La differente formulazione della norma realizza chiaramente un ampliamento della base imponibile contributiva, secondo un mutamento normativo che deve ritenersi il legislatore abbia inteso perseguire scientemente, in connessione con il processo di armonizzazione della base imponibile contributiva a quella valevole in ambito tributario.

7. La stessa interpretazione letterale trova poi un autorevole avallo nella sentenza n. 354/2001 con la quale la Corte Cost. ha affermato la legittimità costituzionale del D.L. n. 384 del 1992, art. 3 bis, comma 1, non solo escludendo l’esistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra i redditi di capitale del socio di società dotate di personalità giuridica (esenti da contribuzione) e i redditi c.d. di impresa di cui fruisce il socio delle società in accomandita semplice (così come, del resto, il socio delle società in nome collettivo); ma soprattutto escludendo profili di irragionevolezza della medesima normativa ed attribuendo fondamento sostanziale al prodotto della discrezionalità riconosciuta in materia dal legislatore. Ciò in primo luogo affermando che “all’ampliamento della base contributiva corrisponde l’ampliamento della base pensionabile, con evidente riflesso positivo sulla misura della prestazione”. Ed inoltre sostenendo che la Costituzione “non impone un’intima ed indefettibile correlazione tra obbligazione contributiva e reddito di lavoro” in virtù dei principi solidaristici cui si ispira. Nella stessa direzione, della mancanza di un nesso di corrispettività tra contribuzione ed attività lavorativa che da titolo all’assicurazione, muove- per i giudici costituzionali – la rilevanza attribuita all’apporto finanziario al sistema previdenziale da parte della stessa collettività in generale; la commisurazione della contribuzione su basi di riferimento non costituite, solo ed esclusivamente, dal reddito che trova causa nel rapporto di lavoro (rileva in tal senso il passaggio ad una più ampia accezione di base contributiva imponibile, tale da ricomprendere non solo il corrispettivo dell’attività di lavoro, ma anche altre attribuzioni economiche che nell’attività stessa rinvengono soltanto mera occasione). La convergenza nella definizione della base imponibile tra settore previdenziale e settore fiscale “convergenza ascrivibile, in primo luogo, proprio alla disposizione censurata, la quale, nel rapportare la contribuzione previdenziale alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF, e non più soltanto al reddito annuo derivante dall’attività d’impresa che dà titolo all’iscrizione (L. n. 233 del 1990, art. 1), assume una base imponibile corrispondente a quella dell’ambito tributario; e, successivamente, al D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, recante “Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro”, che ha accolto una nozione di reddito da lavoro utilizzabile, in linea di massima, sia a fini contributivi che a fini tributari”.

8. Sulla scorta delle premesse la sentenza si sottrae alle censure formulate col ricorso il quale va rigettato. La mancanza di specifici precedenti e la complessità che connota il quadro normativo di riferimento consentono di compensare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2017

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