Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29776 del 12/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 29776 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: SPENA FRANCESCA

SENTENZA

sul ricorso 28645-2015 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo
studio dell’avvocato DORA DE ROSE, (AREA LEGALE
TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE), rappresentata
2017
3528

e difesa dall’avvocato ROSSANA CLAVELLI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

PICA ANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 12/12/2017

PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI
EMILIO IACOBELLI, che la rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5522/2015 della CORTE

4145/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/09/2017 dal Consigliere Dott.
FRANCESCA SPENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso,
udito l’Avvocato ANNAMARIA URSINO per delega verbale
Avvocato CLAVELLI ROSSANA.

D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/09/2015 r.g.n.

PROC. nr . 28645/2015 RG

FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Roma del 9 luglio 2012 ANNA PICA, già
dipendente a tempo indeterminato della società POSTE ITALIANE spa,
chiedeva, per quanto ancora in causa, accertarsi la illegittimità del
licenziamento intimatole con nota del 2 novembre 2010 per superamento
del periodo di comporto, previa dichiarazione della nullità o illegittimità del

Il giudice del lavoro, con sentenza del 20/12/2012 ( numero
21500/2012), dichiarava il ricorso inammissibile per decadenza della
lavoratrice dalla impugnazione in giudizio del licenziamento, ai sensi
dell’articolo 32 comma 1 legge 183/2010.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 26 giugno -18 settembre
2015 (numero 5522/2015), in riforma sul punto della sentenza appellata,
dichiarava illegittimo il licenziamento.
La Corte territoriale osservava che erroneamente il Tribunale aveva
dichiarato la decadenza della azione di impugnazione del licenziamento sul
presupposto della inapplicabilità alla fattispecie di causa del differimento al
31 dicembre 2011 della entrata in vigore delle disposizioni dell’articolo 32
comma 1 legge 183/2010, come disposto dal comma 1 bis dello stesso
articolo 32.
Detto differimento riguardava, invece, non solo l’estensione dell’onere
di impugnazione stragiudiziale nel termine di 60 giorni alle fattispecie in
precedenza non previste ma anche l’inefficacia di tale impugnativa per
l’omesso deposito del ricorso giurisdizionale o della richiesta del tentativo di
conciliazione nel successivo termine di 270 giorni dalla impugnativa
stragiudiziale.
Nella fattispecie di causa il secondo termine decorreva, dunque, dal 31
dicembre 2011 e non era spirato alla data di deposito del ricorso
giudiziario.
Nel merito la impugnativa del licenziamento era fondata.
Allorchè tra le parti del contratto di lavoro subordinato fossero già
intercorsi precedenti rapporti di lavoro l’apposizione del patto di prova al
contratto di lavoro successivo era legittima— perché rispondente

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patto di prova apposto al contratto di lavoro.

PROC. nr . 28645/2015 RG

all’interesse di entrambe le parti a sperimentarne la convenienza— nel caso
di una ragionevole avvenuta modificazione nel tempo, per l’intervento di un
qualsivoglia fattore, delle qualità professionali ovvero del comportamento e
della personalità del lavoratore.
Nella fattispecie di causa l’assunzione a tempo indeterminato della
lavoratrice era avvenuta a distanza temporale di appena sei mesi dalla

cessazione dell’ultimo pregresso rapporto di lavoro a termine per le
medesime mansioni e lo stesso livello di inquadramento; le mansioni erano
state lungamente svolte nel corso di cinque anteriori contratti a termine.
Non valeva a giustificare la clausola di prova la circostanza che fosse
diversa la sede di servizio; il recapito della corrispondenza doveva ritenersi
svolto da POSTE ITALIANE— in assenza di deduzioni contrarie sul punto—
con modalità omogenee sull’intero territorio nazionale.
La nullità del patto di prova comportava

l’applicazione della

regolamentazione ordinaria del rapporto di lavoro e quindi di un comporto
pari a mesi 12; l’assenza di 40 giorni, sulla cui base si era proceduto al
licenziamento, non costituiva dunque giustificato motivo oggettivo, con
conseguente applicazione della tutela di cui all’articolo 18 legge 300/1970.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società POSTE
ITALIANE, articolato in quattro motivi ed illustrato con memoria.
Ha resistito con controricorso ANNA PICA.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società POSTE ITALIANE ha dedotto— ai sensi
dell’articolo 360 numero 3 cod. proc. civ.— violazione e falsa applicazione
dell’articolo 32, commi 1 e 1 bis, della legge nr 183/2010 e dell’articolo 2,
comma 54 del decreto-legge 29 dicembre 2010 nr 225 ( introdotto, in sede
di conversione, dalla legge 26 febbraio 2011 nr. 10) .
La censura ad oggetto la statuizione della Corte di merito sulla eccepita
decadenza della lavoratrice dalla azione di impugnazione del licenziamento.
La società ricorrente ha assunto la inapplicabilità nella fattispecie di
causa del differimento di efficacia del termine di decadenza di cui al comma

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N

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1 dell’articolo 32 legge 183/2010, disposto in sede di conversione del
decreto legge 29 dicembre 2010 nr 225, con l’aggiunta del comma 1 bis.
Ha dedotto che il citato comma 1 bis posticipava la decorrenza del
termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento
nelle sole situazioni in cui lo stesso termine non fosse ancora decorso alla
data di entrata in vigore della norma di differimento (legge di conversione

legge, sui casi in cui il termine di 60 giorni fosse scaduto in epoca anteriore,
come nella fattispecie di causa.

Il motivo è infondato.
Sulla questione di causa si è formato un consolidato orientamento di
questa Corte di legittimità (Cassazione civile, sez. un., 14 marzo 2016, n.
4913; Cassazione civile, sez. lav., 21/03/2017, n. 7175; 23 novembre
2016 n. 23865; 22 settembre 2016 n. 18579), cui si intende assicurare
continuità in questa sede, nel senso che il comma 1 bis dell’articolo 32 nel
prevedere «in sede di prima applicazione» il differimento al 31 dicembre
2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta
giorni per l’impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di
novità di cui al novellato art. 6 legge n. 604/1966 e, dunque, non solo
l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza
non contemplate ma anche l’inefficacia di tale impugnativa— anche per le
ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere— per l’omesso deposito,
nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del
tentativo di conciliazione o arbitrato.
Si è più specificamente ritenuto (Cassazione civile, sez. lav., 04 luglio
2016, n. 1359) che il termine decadenziale di cui al novellato art. 6,
comma 2, I. 15 luglio 1966 n. 604 — secondo cui l’impugnazione
stragiudiziale del licenziamento non è efficace se non è seguita, entro il
successivo termine di giorni 270 (poi divenuto 180) dal deposito del ricorso
giudiziario, o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo
di conciliazione o arbitrato – si applica anche ai licenziamenti intimati prima
dell’entrata in vigore della predetta I. n. 183 del 2010 e già impugnati in via

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nr. 10/2011) senza incidere, in ragione del principio di irretroattività della

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stragiudiziale a tale data, prendendo a decorrere, ai sensi del comma 1 bis
del citato art. 32, dal 31 dicembre 2011.
La sentenza impugnata si è conformata ai principi di diritto qui ribaditi
sicchè è immune dalla censura sollevata.

2. Con il secondo motivo la società POSTE ITALIANE ha dedotto— ai

applicazione dell’articolo 2096 codice civile, del verbale di conciliazione in
sede sindacale del 24 maggio 2006 e del contratto di lavoro sottoscritto tra
le parti il 21 aprile 2010.
La società Poste Italiane ha esposto che la PICA era stata assunta in
ragione dell’accordo sindacale del 13 gennaio 2006 con il quale si
prevedeva, tra l’altro, la formazione di una graduatoria, mediante l’utilizzo
delle risorse già impiegate presso la società con contratto a termine, da cui
attingere per il reperimento del personale sia per esigenze stabili che
flessibili; l’inserimento nella graduatoria era condizionato alla preventiva
sottoscrizione di un accordo transattivo, nel quale la società si impegnava
ad inserire il nominativo del lavoratore nella graduatoria a fronte della sua
rinuncia ad azionare ogni rivendicazione in ordine ai rapporti a termine
intercorsi.
In attuazione delle suddette previsioni

la signora PICA aveva

sottoscritto con la società il verbale di conciliazione sindacale 24 maggio
2006, nel quale si dava atto del carattere novativo dell’accordo.
Successivamente, in data 21 aprile 2010, veniva sottoscritto il contratto di
assunzione a tempo indeterminato, in cui era stato espressamente previsto
un periodo di prova di 3 mesi.
Tale contratto determinava una nuova assunzione sicchè legittimamente
era stato apposto il patto di prova.
Il patto era legittimo anche in considerazione del fatto che la nuova
realtà lavorativa, in Milano, era del tutto diversa da quella in cui la PICA
aveva operato a tempo determinato ( uffici di Napoli e di Marano) Il
rapporto di lavoro, nonostante l’identità delle mansioni, aveva una
connotazione, anche logistica, diversa, la quale presupponeva un radicale

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sensi dell’articolo 360 numero 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa

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cambiamento di vita da parte della signora PICA, costretta a trasferirsi in
località distante centinaia di chilometri dal proprio luogo di residenza.
La decisione della Corte territoriale appariva quindi viziata ed illogica,
per non avere la Corte considerato che il rapporto di lavoro presso la sede
di Milano presentava caratteristiche diverse rispetto ai precedenti rapporti

Il motivo è inammissibile.
Esso, benchè impropriamente dedotto in termini di violazione di norme
di diritto, censura l’apprezzamento dei fatti da parte del giudice del merito.
La assunta violazione dell’articolo 2096 cod.civ. resta del tutto
inconferente rispetto ai contenuti della censura né la parte ricorrente, in
violazione dell’ onere di cui all’articolo 366 nr. 4 cod.proc.civ, indica le
statuizioni della sentenza in cui si ravviserebbe l’errore di diritto e le ragioni
della violazione o falsa applicazione della norma di legge.
Il verbale di conciliazione

sottoscritto tra le parti di causa ed il

contratto di assunzione neppure costituiscono norme di diritto ma rientrano
tra i fatti storici il cui esame è rimesso al giudice del merito ed è censurabile
in questa sede unicamente con la deduzione di un vizio della motivazione.
La censura— seppure riqualificata a termini dell’articolo 360 nr. 5
cod.proc.civ.— non supera il rilievo di inammissibilità giacchè non indica un
fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti non esaminato nella
sentenza impugnata.
Il fatto della stipula tra le parti del verbale di conciliazione sindacale
del maggio 2006 è all’evidenza privo di decisività, in quanto nella
prospettazione della ricorrente dimostrativo della novità della assunzione,
che non è posta affatto in dubbio nell’impianto motivazionale della sentenza
impugnata e che non incide sulla validità delle argomentazioni in essa
contenute.
Il fatto storico del mutamento del luogo di lavoro rispetto agli uffici cui
la PICA era stata assegnata nel corso del precedenti rapporti a termine è
stato esaminato in sentenza e ritenuto non idoneo a giustificare la
apposizione del patto di prova.

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lavorativi.

PROC. nr . 28645/2015 RG

3. Con il terzo motivo la società ricorrente ha denunziato— ai sensi
dell’articolo 360 numero 3 cod. proc. civ.— violazione e falsa applicazione
dell’articolo 20, commi 2 e 3, CCNL POSTE ITALIANE 2007.
Ha censurato la sentenza per avere affermato che la nullità del patto di

rapporto di lavoro e quindi la previsione di un comporto pari a 12 mesi.
Ha dedotto che il contratto a tempo indeterminato sottoscritto il 21
aprile 2010 determinava un’assunzione

ex novo della lavoratrice, con

conseguente legittimità del patto di prova; non poteva, dunque, trovare
applicazione la previsione del comporto di 12 mesi, relativa al rapporto di
lavoro non-in prova .
Il CCNL 2007, all’articolo 20, comma terzo, prevedeva in caso di prova
di durata massima trimestrale un comporto pari a 30 giorni di calendario di
assenze cumulative.
Il motivo è inammissibile.
La censura, benchè dedotta in termini di violazione della norma
dell’articolo 20 del CCNL POSTE 2007, non pone una questione di
interpretazione o falsa applicazione della disposizione collettiva ma censura
la statuizione di nullità del patto di prova, restando incontestata invece, la
interpretazione ed applicazione della disciplina pattizia operata dalla
sentenza alla luce del preliminare accertamento della nullità del patto .

4. Con il quarto motivo la società ricorrente ha dedotto— ai sensi
dell’articolo 360 nr. 5 cod. proc. civ.— omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio è stato oggetto di discussione tra le parti.
Con il motivo viene proposta in questa sede l’eccezione relativa al cd.
«aliunde perceptum», sollevata nel giudizio di primo grado.

Il motivo è inammissibile.
La questione dell’ aliunde perceptum non risulta trattata dalla sentenza
impugnata. Era dunque onere della parte, per sfuggire al rilievo di novità

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prova comportava la applicazione della regolamentazione ordinaria del

PROC. nr . 28645/2015 RG

della censura, dedurre attraverso quali atti ed in quali forme essa era stata
portata all’esame del giudice dell’appello ( provvedendo poi al deposito degli
stessi atti ex art. 369 nr. 4 cod.proc.civ.) .
La società riporta nel motivo gli atti di primo grado con i quali si
assumeva l’aliunde perceptum ( memoria di costituzione ) mentre allega di
avere genericamente di avere reiterato la questione nel grado di appello.

Le spese seguono la soccombenza.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013
sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012
( che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della
sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la
impugnazione integralmente rigettata .

PQM

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in C
200 per spese ed C 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017

ÌL ONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDE

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

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