Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29775 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. I, 29/12/2020, (ud. 28/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21082/2015 proposto da:

Comune di Spezzano della Sila, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n.

78, presso lo studio dell’avvocato Di Pretoro Francesco,

rappresentato e difeso dall’avvocato Dodaro Francesco, Granieri

Maurizio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.T.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno

Buozzi n. 82, presso lo studio dell’avvocato Iannotta Enrico, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Iannotta Gregorio,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 922/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 01/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2020 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del 1 sub-motivo del 1

motivo di ricorso; accoglimento del 2 sub-motivo del 1 motivo del

ricorso; inammissibilità del 2 motivo di ricorso; assorbito il 3

motivo di ricorso. Rigetto ulteriori istanze;

udito per il controricorrente l’Avvocato Iannotta Enrico, che si

riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.T.L. convenne il comune di Spezzano della Sila dinanzi al tribunale di Cosenza onde sentirne pronunciare condanna al risarcimento dei danni per l’occupazione (divenuta illegittima a seguito dell’annullamento degli atti espropriativi da parte del Tar) di un fabbricato posto nel centro storico del comune medesimo. Tale fabbricato l’ente aveva demolito per procedere all’ampliamento dell’adiacente (OMISSIS).

Il tribunale accolse la domanda nei limiti della somma di 39.360,00 Euro, pari al controvalore del suolo occupato all’epoca dell’irreversibile trasformazione (1994), oltre rivalutazione monetaria e interessi calcolati anno per anno. Respinse invece la domanda nella parte relativa al danno da demolizione del fabbricato, ritenendo che questo, in ragione della diffusa e marcata fatiscenza e della assoluta inagibilità, non fosse dotato di un’autonomia funzionale ed economica rispetto al suolo.

La sentenza venne appellata in via principale dal R.T. e, in via incidentale, dal comune.

La corte d’appello di Catanzaro accolse l’impugnazione principale e respinse la incidentale, non condividendo la valutazione della sentenza di primo grado a proposito del difetto di autonomia funzionale del fabbricato rispetto al suolo. Ne descrisse invero le caratteristiche e le condizioni strutturali e vuoi per le emergenze delle c.t.u., vuoi per le indicazioni provenienti da una stima dell’Ute di Cosenza – addivenne all’opposta conclusione che all’immobile potesse infine essere riconosciuta la connotazione di entità autonoma rispetto al fondo, attesa la sua recuperabilità mediante adeguati interventi di risanamento e di ristrutturazione consentiti dallo strumento urbanistico vigente; e ciò benchè tali interventi in effetti consistessero nella necessità della demolizione e della ricostruzione. Cosicchè, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannò il comune al pagamento dell’ulteriore somma di 141.305,00 Euro, oltre interessi.

Il comune di Spezzano della Sila ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso.

La causa, avviata alla trattazione camerale dinanzi alla sesta sezione, è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 5590 del 2017.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Col primo motivo il comune denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. sotto due profili: in primo luogo per avere la sentenza disatteso la norma nell’interpretazione fattane da questa Corte, essendo stata riconosciuta l’autonomia economica e funzionale del fabbricato in aggiunta a quello del suolo nonostante la accertata condizione di fatiscenza; in secondo luogo, e in subordine, per avere duplicato l’entità risarcitoria mediante la coeva conferma della decisione di primo grado. Sostiene difatti che, aggiungendo alla somma riconosciuta dal tribunale il risarcimento per il fabbricato demolito, in somma già rivalutata all’attualità (e poi maggiorata di interessi compensativi), la corte d’appello avrebbe comunque infranto la necessità di non valutare in questa ipotesi l’area di sedime in modo autonomo e separato rispetto al fabbricato che su di essa insiste; e che in ogni caso ne avrebbe esagerato la valorizzazione finanche a proposito dell’area di pertinenza, non avente una propria autonoma edificabilità.

Col secondo motivo il comune denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1127 e 2056 c.c., atteso che erroneamente sarebbero stati riconosciuti sulla somma dovuta a titolo risarcitorio gli interessi moratori in aggiunta alla rivalutazione.

II. – Il primo motivo è fondato.

Deve premettersi che, in tema di occupazione e manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorchè il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato (come nella specie si dice avvenuto in sentenza), ricorre un illecito di natura permanente che dà luogo a una pretesa risarcitoria avente sempre a oggetto i danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso.

Tanto costituisce approdo di un orientamento oggi consolidato dalle Sezioni unite della Corte, condiviso dal collegio (v. Cass. Sez. U n. 735-15).

Nel caso concreto il privato ha proposto la domanda risarcitoria, in tal modo abdicando giustappunto alla proprietà del bene occupato illecitamente e poi trasformato.

III. – Nella giurisprudenza di questa Corte è da tempo presente l’ulteriore fondamentale principio per cui l’indennità di espropriazione di un’area edificata va determinata in modo unitario, senza possibilità di distinguere l’area di sedime dalla costruzione.

Tale principio non trova applicazione quante volte il fabbricato risulti “privo di autonomia funzionale o abbia scarsa consistenza economica rispetto al suolo”, oppure sia “in condizioni talmente fatiscenti da consigliarne la demolizione e la riedificazione”.

In tal caso l’indennità va determinata in riferimento al solo valore dell’area (edificabile) di sedime (v. Cass. n. 13001-05, Cass. n. 21638-05, Cass. n. 6000-11, da cui i virgolettati).

IV. – Codesti principi, valevoli anche ove si discorra di risarcimento, sono stati infranti dall’impugnata sentenza.

Essa ha descritto il fabbricato come “fortemente degradato” ma concretamente recuperabile mediante interventi di ristrutturazioni edilizia. Solo che codesti ha poi individuato (in base alle c.t.u.) proprio nella necessaria “demolizione e ricostruzione”, al fine di ottimizzare il rapporto costi-benefici.

Ora non può sostenersi che la necessità della demolizione e della riedificazione, semplicemente perchè determinata da ragioni di convenienza economica (il rapporto costi-benefici), non valga a ritenere il fabbricato privo di autonomia economica e funzionale rispetto al suolo.

Una tale conclusione è illogica poichè le ragioni economiche restano correlate alla situazione di fatto, e sono sempre esse, in ambito edilizio, che militano per interventi radicali di tal genere.

Nè la conclusione può essere plausibilmente sorretta dalla frase susseguente, alla quale la corte d’appello si è affidata.

La corte ha osservato che deponeva nel senso dell’autonomia funzionale l’essere codesto fabbricato “ubicato nel centro cittadino”, nonchè la circostanza che lo stesso, “ancorchè degradato, avesse manutenuto la sua conformazione originaria sia interna che esterna”.

Una simile giustificazione non è giuridicamente conducente, visto che nè l’ubicazione del fabbricato, nè la sua conformazione assumono rinevo in casi simili, ma la condizione strutturale specifica, necessaria al mantenimento del bene sul suolo.

Da questo punto di vista può osservarsi che qualunque fabbricato, con la demolizione e l’edificazione, può mantenere un’autonomia funzionale rispetto al suolo. Ma se la condizione per il mantenimento è appunto la necessità di demolire e di riedificare, resta validata la conclusione opposta, vale a dire che, in termini economici, lo stato del fabbricato è tale da far escludere, in rapporto al suolo, una vera autonomia.

V. – E’ possibile tradurre le suddette considerazioni in principi di diritto ben diversi da quelli implicitamente ritenuti dalla sentenza gravata.

Tanto per la determinazione dell’indennità di esproprio, quanto, in ipotesi di occupazione illegittima, per la determinazione dell’entità risarcitoria derivata dalla trasformazione del bene e dalla volontaria abdicazione, viene sempre in considerazione il bene nel concreto stato nel quale si trova al momento del fatto (lecito o illecito).

Ciò presuppone che in quel momento il valore del fabbricato debba essere considerato (a) in luogo del valore dal suolo, qualora l’utilizzazione edificatoria del secondo risulti compatibile con la presenza del primo (cd. area di sedime) e non postuli, invece, giustappunto la sua demolizione; oppure (b) in aggiunta al valore del suolo, unicamente quando oggetto di espropriazione sia un complesso immobiliare costituito vuoi da un’area di terreno edificabile latistante un fabbricato che su di essa insista, vuoi dal fabbricato stesso; viceversa (c) quando l’utilizzazione presupponga la demolizione del fabbricato presente sull’area di sedime, poichè fatiscente e non recuperabile che mediante, giustappunto, un’opera di demolizione e di ricostruzione, il valore che rileva è unicamente quello del suolo edificabile.

Il più grave errore commesso dall’impugnata sentenza è in ciò: che mai, ai fini dell’entità risarcitoria, può distinguersi tra valore dell’edificio e valore dell’area su cui lo stesso sorge, posto che, una volta realizzata la costruzione, il suolo in essa incorporato perde la propria individualità, in quanto connesso alla costruzione e in quanto costituente parte di un tutto che non può sussistere senza di essa; sicchè, diversamente da quanto fatto dalla corte d’appello di Catanzaro, non è separatamente valutabile.

VI. – La sentenza deve essere cassata.

Il secondo motivo è assorbito.

Segue il rinvio alla medesima corte d’appello la quale, in diversa composizione, rinnoverà l’esame uniformandosi ai principi di diritto esposti.

La corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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