Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29775 del 12/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 29775 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 20552-2015 proposto da:
MEI MARZIA, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,
rappresentata e difesa dallAvvocato LUCIA BERTOLANI,
giusta delega in atti;
– ricorrente 2017
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contro
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la

Data pubblicazione: 12/12/2017

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1475/2014 della CORTE
D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 29/01/2015 R.G.N.
1072/2013;

udienza del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
inammissibilità in subordine rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato RICCARDI RAFFAELE per delega orale
Avvocato FIORILLO LUIGI.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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Marzia Mei conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bologna la s.p.a.
Poste Italiane esponendo di essere stata assunta presso l’ufficio di
Monghidoro con mansioni di portalettere; di aver subito in data 17/8/1998
un infortunio connesso alle mansioni svolte; di aver richiesto per tre anni
l’assegnazione a mansioni d’ufficio, senza alcun esito; di esser stata
costretta, per tutelare la propria incolumità, a rassegnare le dimissioni;
sulla scorta di tali premesse e sul rilievo che la società era incorsa in
violazione dell’art.2087, così da indurla forzatamente a recedere dal
contratto, instava per la condanna della società alla reintegra nel posto di
lavoro con attribuzione di mansioni interne d’ufficio, ed al risarcimento del
danno.
Il giudice adito, condividendo l’eccezione sul punto sollevata dalla
convenuta, dichiarava inammissibile il ricorso per intervenuto giudicato fra
le parti. Rimarcava al riguardo che con sentenza n.315/2013, il Tribunale di
Bologna aveva già rigettato la domanda in precedenza proposta dalla
lavoratrice ed avente ad oggetto l’annullamento delle dimissioni per
incapacità naturale ex art.428 c.p.c., con pronuncia non oggetto di
impugnazione.
Tale decisione veniva confermata dalla Corte distrettuale la quale, in
estrema sintesi, nel ripercorrere l’iter motivazionale tracciato dai giudici di
prima istanza, accertava che il petitum e la causa petendi della domanda
scrutinata, coincidevano con quelli posti a fondamento del precedente
decisum sicchè correttamente era stata disposta applicazione del principio
secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, con declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
La cassazione di tale pronuncia è domandata da Marzia Mei sulla base di
unico motivo.
Resiste con controricorso la società intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Deve preliminarmente respingersi l’eccezione di nullità-inesistenza della
notifica del ricorso introduttivo sollevata dalla società, per la carenza della
firma digitale.
Questa Corte ha infatti affermato il principio secondo cui in tema di
notificazione del ricorso per cassazione a mezzo posta elettronica certificata
(PEC), la mancanza, nella relata, della firma digitale dell’avvocato
notificante non è causa d’inesistenza dell’atto, potendo la stessa essere
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FATTI DI CAUSA

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riscontrata attraverso altri elementi di individuazione dell’esecutore ‘della
notifica, come la riconducibilità della persona del difensore menzionato
nella relata alla persona munita di procura speciale per la proposizione del
ricorso, essendosi comunque raggiunti la conoscenza dell’atto e, dunque, lo
scopo legale della notifica (vedi Cass. 14/3/2017 n.6518).

Diversamente da quanto argomentato dai giudici del gravame, si deduce
che la domanda proposta non poteva esser dichiarata inammissibile per
effetto del giudicato, giacchè il precedente ricorso riguardava
l’annullamento delle dimissioni per incapacità naturale, laddove oggetto di
quello attuale, era esclusivamente la violazione degli obblighi sanciti
dall’art.2087 c.c. dei quali è gravata la parte datoriale.
3. Il motivo va disatteso.
Esso presenta innanzitutto evidenti profili di inammissibilità perché carente
sotto il profilo della autosufficienza.
La ricorrente omette infatti di riportare integralmente il tenore della
sentenza n.129/2009 resa inter partes dal Tribunale di Bologna e posta
dalla Corte distrettuale a fondamento della decisione oggetto di censura in
questa sede di legittimità.
La giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ha infatti posto in evidenza il
necessario coordinamento tra il principio secondo cui l’interpretazione del
giudicato esterno può essere effettuata direttamente dalla Corte di
Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria
autosufficienza del ricorso. Ha, infatti, affermato che “L’interpretazione di
un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte
di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia
riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza
di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora
l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il
predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume
erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del
dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla
comprensione del comando giudiziale”. (vedi in motivazione Cass.
31/7/2012 n.13658, Cass. 15/10/2012 n.17649, cui
adde Cass.
13/12/2006, n. 26627, Cass. Sez. Un. 27/1/2004 n.1416).

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2. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del principio
del ne bis in idem nonché dell’art.111 Cost..

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fondati su giudicato esterno, debbano rispondere ai dettami di cui
all’art.366 n.6 c.p.c., che del principio di autosufficienza rappresenta il
precipitato normativo (cfr. in motivazione, Cass. 17/1/2017 n.995, nonché
Cass. 18/10/2011 n. 21560, Cass. 30/4/2010 n.10537, Cass.13/3/2009 n.
6184); tanto sia sotto il profilo nella riproduzione del testo della sentenza
passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico
della stessa (cfr. Cass. 11/02/2015 n.2617), sia sotto il profilo della
specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile ed
esaminabile in questo giudizio di legittimità (vedi Cass. cit. n.21560/2011).
Nello specifico il ricorso si presenta carente sotto entrambi i profili descritti,
non avendo la ricorrente provveduto ad esporre il contenuto della sentenza
passata in giudicato, né ad indicare la collocazione in atti della stessa.
Non è dato riscontrare, in definitiva, il requisito della specificità, della
completezza e riferibilità del motivo alla decisione impugnata; che
consentono di assicurare al ricorso l’autonomia necessaria ad individuare,
senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta risoluzione delle
questioni da risolvere, non essendo la Corte di cassazione tenuta a
ricercare, al di fuori del contesto del ricorso, le ragioni che dovrebbero
sostenerlo.
Il difetto di specificità del ricorso si presenta altresì con riferimento alla
omessa riproduzione del tenore delle domande e delle conclusioni
rassegnate che individuavano il petítum e la causa petendí nei due giudizi.
4. Sotto altro versante, non può sottacersi che il ricorso si palesa
comunque privo di fondamento.
Per orientamenti consolidati di questa Corte che il Collegio condivide, in
linea generale, l’autorità del giudicato sostanziale opera solo entro i rigorosi
limiti degli elementi costitutivi dell’azione, e presuppone che tra la causa
precedente e quella in atto vi sia identità di soggetti, oltre che di petítum e
causa petendí (vedi ex aliís, Cass. 24/3/2014 n.6830); pur nella
contrapposizione di ordine sistematico ed espositivo fra petítum mediato e
causa petendí, va rimarcato come autorevole dottrina non manchi di
illustrare la reciproca compenetrazione fra due elementi, nel senso che la
causa petendi ha la funzione di specificare il petítum, la distinzione essendo
limitata al ruolo di indicazione dei due aspetti di un’entità inseparabile; tali
elementi convergono infatti nel definire il diritto affermato come entità
concreta che individua l’oggetto del processo.

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Tale orientamento ha rimarcato come i motivi di ricorso per cassazione

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Si è altresì affermato (vedi ex plurimis, Cass. 6/3/2014 n.5245) che i limiti
oggettivi del giudicato possono estendersi oltre la “causa petendi” ed il
“petitum” della domanda originaria sia quando la domanda riconvenzionale
o l’eccezione del convenuto amplii l’oggetto del giudizio, sia quando una

5. A siffatti principi si è conformata la Corte di merito, laddove ha
sottolineato come petitum e causa petendi del presente giudizio concernenti il primo l’accertamento della violazione da parte datoriale,
dell’art.2087 c.c. ed il risarcimento danni in forma di reintegra nel posto di
lavoro, e la seconda, la violazione dell’art.2087 c.c. quale causa efficiente
delle dimissioni coincidessero sostanzialmente con quelli posti a
fondamento del pregresso giudizio con il quale la ricorrente aveva chiesto
l’annullamento delle dimissioni rassegnate, per incapacità naturale, perché
“anche in quel caso il bene della vita di cui la lavoratrice chiedeva la tutela
era il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro interrotto dalle
dimissioni”.
L’attribuzione del bene della vita che si richiedeva, ovverosia la reintegra
nel posto di lavoro, comportava necessariamente l’esame della validità ed
efficacia delle dimissioni oggetto del precedente giudizio, la cui decisione, in
base ai principi sopra enunciati, era pertanto destinata a coprire anche il
“d ed uci bile”.
6. Conclusivamente il ricorso, per i motivi sinora esposti, non merita
accoglimento.
Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della
soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 13
comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, per il versamento da parte
ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello
versato per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro
3.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed
accessori di legge.
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situazione giuridica sia comune a più cause tra le medesime parti, sicché la
soluzione delle questioni di fatto o di diritto ad essa relative in una delle
cause faccia stato nelle altre in cui quella rilevi.

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Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma il 20 settembre 2017.
Il Consigliere estensore

Il Presiden

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Dott.ssa

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