Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29773 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 19/11/2018), n.29773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28837/2014 proposto da:

C.P.F., in proprio e nella qualità di socio e

legale rappresentante della C. AVVOCATI ATTORNEYS LLP,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo

studio dell’avvocato VINCENZO CUFFARO, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.V.;

– intimata –

nonchè da:

Z.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PALUMBO 3,

presso lo studio dell’avvocato SIMONA BARONCINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUCA EMANUELE MIGLIAVACCA giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.P.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 427/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/06/2014 R.G.N. 302/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

per la società e rigetto di entrambi;

udito l’Avvocato RONCHIETTO CLAUDIO per delega verbale Avvocato

MIGLIAVACCA LUCA EMANUELE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 427/2014 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda di Z.V., aveva accertato l’automatico rinnovo, sino al 7 maggio 2010, del contratto di collaborazione professionale stipulato il 7 maggio 2007 tra la detta Z. e C.F.P., dichiarato, per l’effetto, la illegittimità del recesso del C. in data il 10 marzo 2009 e condannato quest’ultimo a corrispondere a controparte la somma di Euro 6.000,00 mensili per il periodo dal 1 marzo 2009 al 7 maggio 2010, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

1.1. Ha ritenuto il giudice di appello il recesso del 10 marzo 2009 inidoneo ad impedire l’automatico rinnovo del contratto per un ulteriore anno in quanto intervenuto oltre il termine di tre mesi dalla scadenza annuale pattuito a tal fine dalle parti; la clausola contrattuale con la quale si era convenuto il diverso termine di un mese “nei casi in cui il recesso è ammesso dalla legge”, andava, infatti, riferita al recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., istituto applicabile anche al contratto d’opera; a tale ipotesi non era, tuttavia, riconducibile la concreta fattispecie sia perchè solo in seconde cure, e quindi tardivamente, l’esercizio della facoltà di recesso era stato prospettato come conseguente alla richiesta della Z. di integrale pagamento del compenso maturato sia perchè tale richiesta, espressione del legittimo esercizio di un diritto, non integrava nel merito alcuna giusta causa idonea a legittimare il recesso di controparte.

1.2. La conferma del rigetto della pretesa risarcitoria nei confronti della Z. è stata fondata sull’assenza di riscontro documentale delle condotte asseritamente lesive della reputazione del C. poste in essere dalla prima e sulla inammissibilità, per genericità, delle prova orale articolata sul punto.

1.3. La conferma del rigetto della domanda della Z. intesa alla corresponsione del bonus relativo all’anno 2008 ed al risarcimento dei danni per lesione della immagine professionale e per perdita di chances è stato fondata, quanto al bonus, sulla considerazione che si trattava di componente variabile del compenso pattuito correlata al raggiungimento di obiettivi in relazione ai quali la parte onerata nulla aveva dedotto e, quanto alla pretesa risarcitoria, sull’assenza di lesività delle dichiarazioni di controparte poste a fondamento della domanda.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.P.F. in proprio e nella qualità di socio e legale rappresentante del C. Avvocati Attorneys LLP, sulla base di due motivi; Z.V. ha resistito con tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale affidato a tre motivi. Preliminarmente eccependo, sotto vari profili, l’inammissibilità del ricorso di controparte.

2.1. C.F.P. ha depositato memoria ai sensi dell’ art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2237 c.c., artt. 1362,1363,1364,1367,1369 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Premesso che il contratto inter partes, denominato “Accordo di collaborazione e prestazione professionale”, era qualificabile come contratto d’opera per l’esercizio di professione intellettuale tipica, osserva che alla stregua dell’art. 2237 c.c., comma 1, era consentito il recesso ad nutum dallo stesso, tenendo indenne il prestatore d’opera dalle spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta. Sostiene che le parti, consapevoli del fatto che la fissazione di un termine di durata avrebbe potuto integrare una rinunzia implicita alla facoltà di recesso dal rapporto ex art. 2237 c.c., avevano inteso espressamente confermare la facoltà bilaterale di recesso, fissando il termine di un mese di preavviso nei casi in cui il recesso è previsto dalla legge.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e delle norme sull’interpretazione del contratto. Sostiene l’errore della Corte territoriale la quale, nel richiamare la prospettazione dell’appello di esso C. riferita alla seconda parte della clausola in controversia – clausola che prevedeva il termine di preavviso di un mese nei casi in cui il recesso è ammesso dalla legge -, aveva ritenuto tale prospettazione come intesa a giustificare il recesso sulla base del comportamento di controparte, laddove la censura articolata denunziava la mancata considerazione del significato che nell’economia del rapporto veniva ad assumere la clausola in questione alla stregua della quale a ciascuna parte era conferita la facoltà di sciogliersi dal contratto nel rispetto del termine pattuito.

2.1. Censura, inoltre, mediante deduzione della violazione degli artt. 1364 e 1369 c.c., la interpretazione della seconda parte della clausola richiamata secondo la quale la stessa era riferita alle sole ipotesi di recesso per giusta causa.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale Z.V. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1370 c.c., censurando il rigetto della domanda relativa al bonus dell’anno 2008, sul rilievo che tale bonus, alla stregua delle previsioni contrattuali e del comportamento delle parti, doveva ritenersi comunque dovuto, come avvenuto per il secondo semestre dell’anno 2007, e non condizionato dal raggiungimento di specifici obiettivi neppure prefigurati nè in contratto nè in accordi successivi.

4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale deduce omessa pronunzia ovvero violazione e falsa applicazione degli artt. 1355 e 1359 c.c., “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” censurando la omessa valutazione della nullità, in quanto meramente potestativa, della clausola che condizionava il riconoscimento del bonus ad una valutazione dell’operato della professionista, non legata a parametri o criteri predefiniti; evidenzia che, comunque, dalla stessa formulazione dell’atto di recesso di controparte si evinceva una valutazione positiva dell’operato della Z..

5. Con il terzo motivo deduce “violazione del diritto al nome ed il danno – omessa pronunzia ovvero contraddittoria motivazione e violazione degli artt. 7 e 1226 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Richiama il comunicato stampa del C. per evidenziare l’errore della sentenza impugnata la quale aveva ritenuto neppure citato in detto comunicato il nome di essa Z., ed in questa prospettiva lamenta la omessa pronunzia sulla richiesta di tutela del nome ex art. 7 c.c. e del connesso diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa.

6. Preliminarmente, in accoglimento della eccezione formulata dalla controricorrente Z. e con effetto assorbente delle ulteriori eccezioni preliminari a riguardo avanzate dalla suddetta, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto da C.F.P. quale legale rappresentante della C. Avvocati Attorneys LLP, non avendo l’odierna parte ricorrente principale, sulla quale ricadeva il relativo onere, a fronte della contestazione relativa alla fonte dei poteri rappresentativi spesi in nome e per conto della C. Avvocati Attorneys LLP, da C.F.P., offerto prova della fonte di tale potere (Cass. 01/07/2000 n. 8838; Cass. 28/09/2011 n. 19824).

6.1. La eccezione di inammissibilità del ricorso proposto da C.F.P. in proprio, per omessa indicazione della residenza del ricorrente, è infondato alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai fini della corretta indicazione delle parti, richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 1, non è prevista l’indicazione della residenza della persona fisica o della sede della società in caso di persona giuridica (Cass. 17/12/2015 n. 25399; Cass. 29/03/2007 n. 7700; Cass. 28/01/1977 n. 426).

7. Il primo ed il secondo motivo di ricorso principale, trattati congiuntamente, per connessione sono da respingere.

7.1. Premessa, infatti, la derogabilità della previsione di cui all’art. 2237 c.c., comma 1, che conferisce a ciascuna parte la facoltà di recedere ad nutum dal contratto di prestazione di opera intellettuale (Cass. 07/10/2013 n. 22786; Cass. 01/10/2008 n. 24367; Cass. 29/11/2006 n. 25238), e ricordato che la esclusione della libera recedibilità può emergere anche dalla sola previsione di un termine, senza necessità di un patto espresso e specifico (Cass. 22786 /2013 cit.), si rileva che le censure articolate dal ricorrente non sono idonee, per una pluralità di profili, ad inficiare la ricostruzione del regolamento contrattuale voluto dalle parti fatta propria dal giudice di merito.

7.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 03/09/2010 n. 19044; Cass. 12/07/2007 n. 15604, in motivazione; Cass. 22/02/2007 n. 4178), dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’ interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. 06/06/2013 n. 14318; Cass. 22/11/2010 n. 23635).

7.3. La modalità di articolazione della censure sviluppate con il motivo in esame non è conforme a tale insegnamento. Infatti, anche a prescindere da profili di inammissibilità dei motivi di ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per non avere parte ricorrente principale riprodotto per intero il contenuto del contratto inter partes nè indicato la sede di produzione del documento nell’ambito del giudizio di merito (Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 7/2/2011 n. 2966) si rileva che il ricorrente si limita a contrapporre la interpretazione propugnata a quella fatta propria dal giudice di merito senza evidenziare alcuna specifica illogicità di quest’ultima. L’assunto del ricorrente secondo il quale la previsione di rinnovo annuale in assenza di recesso aveva la funzione di garantire la stabilità e continuità del rapporto professionale mentre la clausola che prevedeva la facoltà di recesso con il termine di preavviso di un mese, “nei casi in cui il recesso è ammesso dalla legge” rappresentava un consapevole richiamo alla disciplina legale dettata dall’art. 2237 c.c., che le parti in tal modo intendevano ribadire, onde evitare che la previsione di un termine finale potesse interpretarsi come rinunzia alla facoltà di recesso, finisce con il non attribuire alcuno specifico effetto – in violazione del disposto dell’art. 1363 e dell’art. 1367 c.c. – alla previsione del termine di preavviso di tre mesi dalla scadenza del contratto concordato tra le parti. Esso si rivela inidoneo a contrastare, sotto il profilo della implausibilità delle conclusioni attinte, la ricostruzione operata dal giudice di merito della comune volontà negoziale, la quale, anzi, appare come l’unica idonea a conferire un coerente significato negoziale alle due diverse previsioni del termine di recesso, laddove ascrive al recesso prima dei tre mesi dalla scadenza la funzione di impedire il rinnovo contrattuale e alla ulteriore previsione del recesso con preavviso di un mese, la finalità di consentire alle parti lo scioglimento anticipato del rapporto in presenza di situazione che non ne consentano, comunque, la prosecuzione.

7.4. La censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., formulata con il secondo motivo è inammissibile.

7.5. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone, infatti, l’ammissibilità del motivo, sicchè, laddove – come nel caso di specie – sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del “tantum devolutum quantum appelatum”, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass. 08/06/2016 n. 11738; Cass. 30/09/2015 n. 19410; Cass. 10/11/2011 n. 23240).

7.6. Parte ricorrente non ha osservato tali prescrizioni in quanto ha del tutto omesso di riprodurre il contenuto del ricorso introduttivo e, quanto al ricorso in appello, ne ha limitato la riproduzione ad alcuni passi fra loro giustapposti, inidonei per la loro parzialità e per essere slegati dal complessivo contesto argomentativo dal quale sono tratte le espressioni riportate, a dare contezza dell’effettivo tenore delle censure articolate.

8. Il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile per non essere sorretto, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dalla esposizione della vicenda processuale con particolare riguardo alle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto formulate dalla Z. – in relazione ai presupposti condizionanti la erogazione del bonus 2008 – nel ricorso di primo grado alle difese sul punto articolate nella memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c., dalla parte convenuta ed allo svilupparsi del contraddittorio sul punto nelle fasi di merito.

9. Il secondo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.

9.1. La questione relativa alla natura di clausola meramente potestativa, ai sensi dell’art. 1355 c.c., della previsione relativa al riconoscimento del bonus 2008, questione implicante accertamento di fatto (Cass. 06/06/2017 n. 14006; Cass. del 22/02/2007 n. 4178) non è stata specificamente trattata dalla sentenza impugnata. Pertanto, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, al fine della valida censura della decisione sul punto, costituiva onere della parte ricorrente non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540).

9.2. Parte ricorrente incidentale non ha osservato tali oneri in quanto nella illustrazione del motivo è carente ogni riferimento alle difese articolate sul punto nelle fasi di merito e tanto è sufficiente a determinarne l’inammissibilità alla stregua della condivisibile giurisprudenza sopra richiamata.

10. Il terzo motivo di ricorso incidentale è inammissibile in quanto la specifica questione della violazione del diritto al nome ex art. 7 c.c. e della connessa pretesa risarcitoria non è stata specificamente affrontata dalla Corte di merito di talchè, secondo quanto sopra chiarito al paragrafo 9.1., occorreva dimostrarne la avvenuta rituale deduzione nelle fasi di merito; peraltro, anche a voler riferire le censure articolate alla differente questione del diritto all’immagine, effettivamente trattata dalla sentenza impugnata, le censure sono inammissibili per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione che hanno fondato l’esclusione del carattere lesivo del “comunicato stampa” del C. non sulla non riferibilità del relativo contenuto alla Z., ma sull’intrinseca inidoneità dello stesso, per il suo carattere neutro e generico, a configurare vulnus all’immagine della professionista, ulteriormente evidenziando la genericità di prospettazione della lesione in quanto riferita ad un potenziale rischio correlato alla diffusione presso gli operatori del settore “non altrimenti identificati e non direttamente coinvolti”. In tale contesto il fatto che la Corte di appello abbia ritenuto “peraltro neppure citato” il collaboratore dello studio e cioè la Z., si configura quale mera argomentazione aggiuntiva destinata a corroborare l’assunto della non lesività del comunicato già ritenuto sulla base delle richiamate considerazioni non specificamente contrastate dall’odierna ricorrente incidentale.

11. Al mancato accoglimento dei ricorsi, principale ed incidentale, consegue la compensazione tra tutte le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso di C. Avvocati Attorneys LLP. Rigetta il ricorso di C.P.F. in proprio. Rigetta il ricorso di Z.V.. Compensa tra tutte le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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