Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29772 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. I, 29/12/2020, (ud. 28/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16506/2019 proposto da:

Corit – Costruzioni Restauri Impianti Tecnologici s.r.l. in

liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dagli avvocati

Domenico Parrella, e Riccardo Vecchione, in forza di procura

speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Unipol Sai Assicurazioni Spa;

– intimato –

nonchè contro

Ministero per i beni culturali e le attività culturali e il turismo,

in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente -ricorrente incidentale –

contro

Corit Costruzioni Restauri Impianti Tecnologici s.r.l., in

liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dagli avvocati

Domenico Parrella, e Riccardo Vecchione in forza della predetta

procura speciale allegata al ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 504/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI;

udito gli Avvocati DOMENICO PARRELLA, e DANILO DEL GAIZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso Corit

s.r.l. relativamente a tutti i motivi di ricorso, salvo

l’accoglimento del 9 motivo, e per il rigetto del ricorso

incidentale, così convertito quello del Ministero.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 27/5/2001 la Corit Costruzioni Restauri Impianti Tecnologici s.p.a. (di seguito: semplicemente Corit) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino il Ministero dei Beni Culturali e le Attività Culturali e il Turismo (di seguito semplicemente: Mibac) e la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Piemonte con riferimento al contratto di appalto dei lavori di ripristino della (OMISSIS), rivolti a riparare le conseguenze di un grave incendio che aveva danneggiato monumento e arredi.

La Corit ha chiesto, tra l’altro, di dichiarare illegittima la dichiarazione di risoluzione del contratto disposta D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136 dalla Direzione Regionale del Piemonte in data 24/3/2011, di accertare il grave inadempimento della parte committente e dichiarare per tale ragione la risoluzione del contatto, ed infine di condannare l’Amministrazione alla restituzione in integrum per equivalente con riferimento alle opere eseguite e al risarcimento dei danni.

Si è costituito in giudizio il Mibac, chiedendo il rigetto delle domande degli attori e contestando la sussistenza di tutti gli allegati inadempimenti della stazione appaltante e del danno lamentato.

Il giudizio è stato riunito ad altro promosso da Corit nei confronti del Mibac e della Milano Assicurazioni s.p.a., poi assorbita in UnipolSai Assicurazioni, per contrastare la richiesta del Ministero di escussione della polizza rilasciata a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’appaltatore.

Il Tribunale di Torino con sentenza del 22/10/2013 ha dichiarato la carenza di legittimazione passiva della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Piemonte; ha accertato la legittimità della risoluzione del contratto di appalto del (OMISSIS) per grave inadempimento di Corit; ha accertato che l’importo complessivo dei lavori eseguiti da Corit ammontava a Euro 751.997,43, somma questa già integralmente corrisposta; ha condannato il Mibac a corrispondere a Corit la somma di Euro 440.035,68 in relazione alle riserve legittimamente iscritte; ha disposto lo svincolo della polizza fideiussoria per la cauzione definitiva; ha respinto le altre domande avanzate dalle parti; ha compensato integralmente le spese di lite.

Il Tribunale ha accertato la legittimità del procedimento amministrativo di risoluzione; quanto agli inadempimenti di Corit, ha ritenuto la mancata esecuzione da parte dell’impresa degli ordini di servizio e la mancata predisposizione dei piani particolareggiati cantierabili; ha evidenziato mancanza di collaborazione dell’impresa e carenze di personale tecnico; ha invece addebitato alla stazione appaltante le carenze inerenti le forniture dei blocchi di marmo nero e la mancanza delle opere di messa in sicurezza; ha valutato di minor gravità gli inadempimenti della stazione appaltante; ha addebitato le carenze progettuali alla società appaltatrice; ha riconosciuto la fondatezza delle riserve n. 1 e n. 3.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la Corit, nel frattempo posta in liquidazione (comunque di seguito semplicemente: Corit) a cui ha resistito l’appellato Mibac che ha proposto appello incidentale con riferimento al richiesto incameramento della garanzia fideiussoria e all’accertamento della sua responsabilità per le riserve.

UnipolSai si è costituita, rilevando l’avvenuta formazione del giudicato interno nei suoi confronti, in difetto di appello tempestivo.

La Corte di appello di Torino, con sentenza non definitiva del 22/2/2016 n. 282, ha rigettato l’eccezione di illegittimità del procedimento amministrativo e la conseguente richiesta di disapplicazione e ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale del Ministero nei confronti di UnipolSai, riservando al definitivo la regolazione delle spese di lite.

Dopo l’espletamento di una integrazione della consulenza tecnica esperita in primo grado, la Corte di appello di Torino con sentenza definitiva del 19/3/2019 n. 525, in parziale accoglimento dell’appello principale, ha dichiarato l’insussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto di appalto del (OMISSIS); ha condannato il Mibac a corrispondere alla Corit la somma di Euro 1.021.862,65, oltre interessi legali; ha accertato l’ammontare delle riserve in complessivi Euro 2.190.199,55; ha condannato il Mibac a corrispondere a Corit l’importo rivalutato in Euro 2.521.090,52, comprensivo di quanto già riconosciuto con la sentenza di primo grado, oltre interessi legali; ha respinto nel resto l’appello principale e ha respinto l’appello incidentale del Mibac; ha condannato il Mibac a rifondere il 50% delle spese legali di Corit per il doppio grado, per il resto compensate, e le spese legali di UnipolSAI del giudizio di secondo grado; ha ripartito al 50% fra Corit e Mibac le spese delle consulenze tecniche d’ufficio.

3. Avverso la sentenza non definitiva n. 282 del 22/2/2016, oggetto di riserva di impugnazione notificata il 23/3/2016, e avverso la sentenza definitiva n. 525 del 19/3/2019, notificata dalla stessa ricorrente in data 21/3/2019, ha proposto ricorso per cassazione la Corit con atto notificato il 16/5/2019, svolgendo dieci motivi.

Avverso la predetta sentenza definitiva del 19/3/2019, notificata in data 21/3/2019, ha proposto autonomamente ricorso per cassazione anche il Mibac con atto notificato il 20/5/2019, svolgendo quattro motivi.

In data 25/6/2019 il Mibac ha notificato altresì controricorso e ricorso incidentale, corredato da quattro motivi in relazione all’avversario ricorso principale.

UnipolSAI Assicurazioni non si è costituita in giudizio.

Con atto notificato il 28/6/2019 ha proposto controricorso la Corit, chiedendo la dichiarazione di improcedibilità o inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Sia la Corit sia il Mibac hanno depositato memoria illustrativa.

La Procura generale ha chiesto il rigetto del ricorso Corit s.r.l. relativamente a tutti i motivi di ricorso, salvo l’accoglimento del 9 motivo, e il rigetto del ricorso incidentale, così convertito quello proposto dal Mibac.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, diretto avverso la sentenza non definitiva n. 282/2016 nella parte in cui aveva rigettato l’appello proposto avverso la decisione di primo grado di accertamento della legittimità del provvedimento amministrativo di risoluzione la ricorrente Corit denuncia tre asseriti errores in procedendo.

1.1. In primo luogo, sub A), Corit lamenta la violazione dell’art. 279 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 277c.p.c., comma 1, dell’art. 187c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c. non sussistendo ragioni per derogare al principio per cui ad ogni processo deve dar luogo ad una sola sentenza.

1.1.1. La doglianza è infondata.

Le norme processuali citate e segnatamente l’art. 277 c.p.c., comma 2 e l’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4 e 5, consentono al Giudice di emettere pronunce parziali e non definitive, esaminando e decidendo solo alcune delle questioni facenti parte del thema decidendum sottopostogli, sulla base di una valutazione discrezionale, non sindacabile in sede di legittimità.

Infatti l’impugnabilità dei provvedimenti giudiziali concerne soltanto quelli aventi contenuto decisorio e non anche quelli a carattere ordinatorio, per i quali la legge ammette, salvo eccezioni, la revocabilità. A tale ultima categoria appartiene il provvedimento di separazione delle cause riunite, ancorchè contenuto in sentenza, il quale non è suscettibile di impugnazione davanti al giudice superiore, stante il suo carattere meramente ordinatorio e la mancanza in esso di ogni pronunzia di natura decisoria, anche implicita, su eventuali questioni pregiudiziali. pertanto l’esercizio, in senso positivo o negativo, del potere discrezionale di cui tale provvedimento è espressione non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 3, n. 8446 del 27/03/2019, Rv. 653262 – 01; Sez. L, n. 27229 del 22/12/2014, Rv. 633737 – 01).

D’altra parte, l’art. 360 c.p.c., comma 3, nel precludere la proponibilità del ricorso per cassazione avverso le “sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio”, fa riferimento alla nozione di “giudizio” quale procedimento devoluto al giudice di appello e non come processo nella sua complessiva pendenza, sicchè, mentre soggiace al suddetto limite la sentenza non definitiva, resa dal giudice di appello ex art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4, cui seguano i provvedimenti per l’ulteriore corso del giudizio medesimo, è, al contrario, immediatamente ricorribile per cassazione la sentenza con cui, per effetto di gravame immediato, ex art. 340 c.p.c., avverso la sentenza non definitiva resa dal giudice di primo grado ai sensi del richiamato art. 279 c.p.c., il giudice di appello rigetti, nel merito o in rito, l’impugnazione, confermando la decisione di prime cure. (Sez. U, n. 3556 del 10/02/2017, Rv. 642438 – 02).

1.1.2. L’art. 112 c.p.c. e con esso il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non possono dirsi violati solo per effetto di pronunce parziali e non definitive, salvo che per effetto della scissione dei momenti decisori sia mancata la pronuncia su di una domanda o eccezione proposta da una delle parti.

1.1.3. Il contrasto ravvisato da Corit fra la sentenza non definitiva e quella definitiva non sussiste, poichè con la sentenza n. 282/2016 la Corte di appello si è limitata e rigettare l’eccezione di illegittimità del “procedimento” (e non, si badi bene, del “provvedimento”) amministrativo che era sfociato nel provvedimento di risoluzione e la conseguente richiesta di disapplicazione e i motivi dell’appello principale in parte qua (pag.28, secondo capoverso, 4 e 5 rigo del dispositivo di pag.30).

1.2. In secondo luogo, sub B), la ricorrente Corit lamenta omesso esame del motivo di gravame proposto al punto B) dell’atto di appello avverso la decisione di primo grado di accertamento della legittimità del provvedimento amministrativo di risoluzione.

Quanto esposto nel precedente paragrafo rende evidente l’infondatezza della censura: la Corte non ha inteso valutare con la sentenza non definitiva la questione della legittimità del provvedimento di risoluzione ma solo la legittimità del procedimento amministrativo che l’aveva preceduto; non a caso, la questione della legittimità del provvedimento e della risoluzione è stata valutata dalla Corte con la successiva sentenza definitiva n. 525/2019.

1.3. In terzo luogo, sub C), Corit lamenta violazione della L. 20 marzo 1865, all. E, art. 5 e dell’art. 113 Cost., del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136 e della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies.

1.3.1. Il motivo è inammissibile, anche a prescindere dall’indebita estensione attribuita dalla ricorrente alla sentenza non definitiva dell’esame del tema della legittimità del provvedimento amministrativo di risoluzione, che essa ha invece inteso affrontare solo limitatamente alla sola angolazione visuale del procedimento amministrativo che ha condotto alla sua emanazione.

1.3.2. Difatti la ricorrente ignora la ratio decidendi esposta alle pagine da 25 a 28 del provvedimento impugnato, ove la Corte torinese, ravvisato il rispetto sostanziale della regola del contraddittorio tra tutti i soggetti coinvolti, dovendosi reputare a tal fine sufficienti gli scambi epistolari intercorsi, ha ritenuto la sussistenza di una adeguata base tecnica per l’espressione della valutazione del responsabile del procedimento e ha individuato in un preciso atto (la missiva del RUP in data 16/3/2011) la manifestazione del giudizio circa il requisito di gravità D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136.

2. Il secondo e il terzo motivo del ricorso Corit vanno esaminati congiuntamente.

2.1. Con il secondo motivo del ricorso principale, diretto nei confronti della sentenza definitiva n. 525 del 2019, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente Corit denuncia omesso esame e quindi omessa decisione sulla domanda formulata al punto D) delle conclusioni dell’atto di appello, riproposte all’udienza del 5/6/2018, come conseguenza della dichiarata illegittimità del decreto di risoluzione nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c.

Corit lamenta che la Corte di appello, pur avendo accertato la illegittimità del provvedimento di risoluzione per inadempimento disposta dall’Ente appaltante, non abbia esaminato la domanda consequenziale di cui al punto D) (ossia: richiesta di pagamento delle opere realizzate, del mancato utile e delle riserve, nonchè risarcimento del danno extracontrattuale).

2.2. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, diretto avverso la sentenza definitiva 525/2019 in punto determinazione degli importi dovuti dalla stazione appaltante in seguito al recesso, da qualificarsi ad nutum posto in essere, la ricorrente Corit denuncia:

in primo luogo, sub A), omesso esame della domanda di cui al punto B) delle conclusioni di atto di appello, come aggiornata all’udienza di precisazione delle conclusioni;

in secondo luogo, sub B), mutamento della causa petendi e violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.;

in terzo luogo, sub C), nullità per deficienza motivazionale ex art. 11 Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4;

in quarto luogo, sub D), violazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 134 e mancata applicazione delle conseguenze dell’accertamento della illegittimità della risoluzione D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136 ex artt. 2043,2056 e 2058 c.c.

Complessivamente e riassuntivamente tutte le predette doglianze ruotano intorno alla mancata decisione della Corte subalpina della richiesta risarcitoria fondata sulla risoluzione per inadempimento della stazione appaltante, indebitamente sostituita, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con l’esame delle pretese economiche consequenziali al recesso del committente.

2.3. Al punto B) delle conclusioni definitive rassegnate in secondo grado Corit aveva chiesto alla Corte torinese di accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento di risoluzione del 24/3/2011, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136 e quindi di dichiarare che la risoluzione del contratto n. (OMISSIS) era da addebitare esclusivamente alla stazione appaltante.

Al punto D) delle conclusioni Corit aveva insistito sulla domanda risarcitoria consequenziale rispetto alle pronunce di cui sopra.

In altri termini, Corit non si era limitata a richiedere solo di dichiarare l’illegittimità della risoluzione disposta ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136 dalla stazione appaltante, ma aveva anche richiesto che fosse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento proprio della parte committente.

2.4. La Corte di appello, dopo una serie di considerazioni svolte nel p. 3 da pag. 13 a pag. 17 della sentenza definitiva, dedicate ai reciproci ambiti di competenza e di intervento di appaltatore e appaltante in tema di appalto di lavori pubblici e più in particolare di appalto di opere relative a beni culturali, ritenute correttamente prodromiche alla valutazione delle rispettive condotte, è passata con il p. 4 ad esaminare la sussistenza dei presupposti per ravvisare la sussistenza di un inadempimento dell’impresa appaltatrice idoneo a legittimare la disposta risoluzione D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136.

All’esito di una complessa valutazione, condotta nelle pagine da 18 a 25 della sentenza definitiva, la Corte subalpina ha provveduto ad evidenziare carenze e inadempimenti imputabili a ciascuna delle due parti e ha quindi provveduto a bilanciarli nell’ambito di un giudizio comparativo; il risultato è stato una svalutazione dell’incidenza delle responsabilità dell’appaltatore e una accertata preponderanza delle incidenza degli inadempimenti della stazione appaltante con il conseguente accertamento della illegittimità, per difetto dei presupposti, della disposta risoluzione D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136 (sentenza definitiva impugnata, p. 4.6., pag. 25).

Nel p. 5, di pagina 25, la Corte territoriale afferma di non dover esaminare i motivi contraddistinti dalle lettere A) e F), richiamati al punto C2) dell’atto di appello e sub C) delle conclusioni rassegnate alle udienze del 30/1/2018 e 5/6/2018, con cui Corit aveva chiesto, ma in linea subordinata, di dichiarare la risoluzione del contratto di appalto ai sensi dell’art. 1453 c.c. per responsabilità della stazione appaltante; conseguentemente (p. 6), in difetto di una domanda di risoluzione per inadempimento del committente, proposta solo in linea subordinata rispetto alla domanda di accertamento dell’illegittimità della risoluzione intimata dal committente (in concreto accolta), la Corte torinese ha riqualificato la risoluzione disposta in difetto dei suoi necessari presupposti come recesso ad nutum D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 134 come del resto aveva richiesto la parte appellante (sentenza definitiva, pag. 26).

In altri termini, la Corte di appello ha ritenuto che Corit avesse chiesto in via principale l’accertamento della illegittimità dell’avversaria risoluzione e solo in subordine la risoluzione per inadempimento della committente: sicchè accolta la domanda principale, restava assorbita la domanda subordinata.

2.5. A pagina 8-9 del ricorso Corit ricorda le conclusioni dell’atto di citazione in primo grado notificato il 27/5/2011, nelle quali non figurava esplicitamente alcuna relazione reciproca di subordinazione o alternatività fra la domanda di cui al punto I), volta a far dichiarare illegittima la risoluzione comminata dalla stazione appaltante, e le due domande di risoluzione per inadempimento della stazione appaltante di cui ai punti IIa) e IIb).

Al punto III), per entrambe le ipotesi di accoglimento della domanda I) o della domanda II) (a o b), evidentemente considerate alternative, erano state introdotte le stesse richieste restitutorie e risarcitorie; sempre per entrambi i casi ai punti IV) e V) la ricorrente aveva chiesto il risarcimento dei danni all’immagine e alla reputazione e il pagamento delle somme corrispondenti alle riserve.

A pagina 10 del suo ricorso Corit chiarisce che le sue domande sub I) e sub II) erano alternative, chiedendo la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. per inadempimento dell’appaltante nel caso non fosse stata accolta la prima domanda.

Alle pagine 11-13 del ricorso Corit riporta le conclusioni dell’atto di appello.

Al punto A) Corit aveva chiesto di dichiarare illegittima la risoluzione comminata dalla stazione appaltante con il decreto del 24/3/2011 e consequenzialmente di dichiarare la risoluzione del contratto per responsabilità della stazione appaltante, riproponendo le domande consequenziali; al punto C), Corit con riferimento al motivo di appello D), ha richiesto in principalità (sub C1) di dichiarare illegittima la risoluzione comminata dalla stazione appaltante per difetto dei suoi presupposti e in subordine (sub C2) per far dichiarare risolto il contratto per l’avversario inadempimento.

Infine nelle conclusioni rassegnate in secondo grado all’udienza del 5/6/2018, al punto B), Corit aveva chiesto alla Corte torinese di accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento di risoluzione del 24/3/2011 adottato ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136 e quindi di dichiarare che la risoluzione del contratto n. (OMISSIS) era da addebitare esclusivamente alla stazione appaltante. Al punto C) in subordine, Corit aveva domandato la risoluzione del contratto per responsabilità della stazione appaltante.

2.6. In sintesi, scrutinando con attenzione la progressiva e continua riformulazione delle conclusioni di Corit, occorre rilevare che effettivamente nelle conclusioni svolte in secondo grado l’attrice appellante aveva chiesto, in principalità, di dichiarare la risoluzione del contratto per responsabilità della stazione appaltante anche in conseguenza della dichiarata illegittimità della risoluzione da questa disposta ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136 (conclusione sub A) dell’atto di appello e conclusione sub B) delle conclusioni finali) e non solo in via subordinata (punto C2) dell’atto di appello e punto C) delle conclusioni finali).

Tale richiesta trovava corrispondenza nelle conclusioni rassegnate in primo grado ove la richiesta di risoluzione per inadempimento della stazione appaltante era stata proposta ai punti H a) e II b) senza vincolo di subordinazione rispetto alla domanda sub I) e quindi come concorrente.

Non può quindi ritenersi che la domanda di risoluzione per inadempimento della stazione appaltante svolta principaliter fosse da considerare nuova e quindi inammissibile ex art. 345 c.p.c. nel giudizio di secondo grado perchè anteriormente proposta solo in via subordinata.

2.7. La Corte territoriale, dopo aver dichiarato illegittima la risoluzione disposta dalla stazione appaltante per difetto dei presupposti, ha quindi errato nel non soffermarsi a esaminare tale domanda, verificando se gli inadempimenti accertati a carico della stazione appaltante fossero tali da giustificare la richiesta risoluzione per suo inadempimento, prima di passare a considerare semplicemente risolto il contratto per recesso unilaterale del committente ravvisato nella stessa comminatoria di risoluzione.

Per tali ragioni meritano accoglimento il secondo e il terzo motivo di ricorso principale.

3. Il quarto motivo di ricorso principale di Corit, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, è diretto avverso la sentenza definitiva n. 525/2019 con riferimento al tema delle riserve.

3.1. La ricorrente denuncia in primo luogo sub A) la violazione dell’art. 112 c.p.c. per il mancato esame dell’impugnazione di cui all’atto di appello in punto riserve e il mancato esame della domanda sub D) delle conclusioni assunte in sede di precisazione conclusioni.

In secondo luogo, sub B) Corit lamenta la violazione dell’art. 2043 c.c. in quanto tutte le pretese trasfuse nelle riserve costituivano legittime pretese risarcitorie in relazione al venir meno delle regole contrattuali per effetto dell’illegittima risoluzione del contratto da parte del committente.

In terzo luogo, sub C) Corit lamenta falsa applicazione delle regole sugli appalti.

Solo in subordine Corit impugna le decisioni assunte nei capi 9/2 e 9/10 relativamente alle riserve 2 e 13.

In sostanza e complessivamente, Corit si lamenta del fatto che il Tribunale abbia considerato le sue richieste in punto riserve secondo le regole amministrative e non secondo le regole civilistiche, che invece dovevano essere osservate per effetto dell’accoglimento della domanda di risoluzione della stazione appaltante. Inter alia Corit sostiene che l’opera eseguita doveva essere valorizzata con riferimento al valore di mercato al momento della pronuncia di risoluzione e non con riferimento ai prezzi contrattuali.

3.2. Il sub-motivo resta assorbito perchè risente evidentemente del vincolo di pregiudizialità con la richiesta risoluzione del contratto per inadempimento, non esaminata dalla Corte di appello e oggetto delle censure di cui al secondo e terzo motivo di ricorso, ut supra accolti.

4. Anche il quinto motivo di ricorso principale della Corit, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, diretto avverso la sentenza definitiva 525/2019 verte in tema di riserve e più specificamente attiene alla decisione assunta con riferimento alla riserva n. 2 (risarcimento danni per mancata fatturazione conseguente all’andamento anomalo dei lavori).

4.1. Mentre il Tribunale aveva ritenuto tale danno assorbito nella riserva 1), a fronte del motivo di appello di Corit, che protestava la diversa natura del pregiudizio dedotto, la Corte subalpina, in dissenso dalla valutazione espressa dal C.t.u., pur ritenendo che effettivamente si trattasse di un diversa forma di pregiudizio, assimilabile alla perdita di chances, aveva ritenuto che la richiesta potesse riferirsi solo all’esclusione di una impresa dalla gara e non fosse pertinente rispetto all’andamento anomalo dell’appalto e non costituisse comunque una voce di danno risarcibile a fronte di un recesso ad nutum.

A questo proposito la ricorrente denuncia in primo luogo, sub A), la violazione dell’art. 2043 c.c. e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 134; in secondo luogo, sub B), la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mancanza del minimo motivazionale costituzionalmente garantito.

4.2. Anche questo motivo resta necessariamente assorbito poichè presuppone l’inquadramento della vicenda risolutiva nello schema del recesso del committente e non già in quello della richiesta risoluzione del contratto per inadempimento della stazione appaltante, nel cui contesto risarcitorio ben potrebbe essere inserita anche la richiesta di indennizzo del danno da perdita di chance sotto forma di danno curriculare (pregiudizio alla capacità competitiva dell’impresa di concorrere sul mercato e dell’attitudine ad aggiudicarsi ulteriori appalti futuri), oggetto della riserva de qua.

5. Anche il sesto motivo di ricorso principale della Corit, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, è diretto avverso la sentenza definitiva n. 525/2019 in punto riserve ed attiene, in particolare, alla riserva n. 13 e al pregiudizio scaturito per Corit dal provvedimento di risoluzione che aveva determinato la distruzione dell’azienda, privata dell’esecuzione dell’appalto e della possibilità di concorrere ad altre gare nel settore, con la conseguente necessaria messa della società in liquidazione.

5.1. Il Tribunale aveva escluso tale pregiudizio, avendo ritenuto correttamente e legittimamente disposta la risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore.

La Corte di appello (sub p. 9.10, pag. 35-36) ha disatteso la richiesta, pur avendo valutato diversamente dal Tribunale la distribuzione degli inadempimenti delle parti e in particolare pur avendo ravvisato carenza di collaborazione della stazione appaltante per la soluzione dei problemi derivanti da insufficienze del progetto esecutivo, per una triplice motivazione.

Ciò, in primo luogo, per la contraddittorietà della censura, che a un tempo imputava al Tribunale sia omessa pronuncia, sia l’erronea condivisione della valutazione del Consulente d’ufficio; in secondo luogo, perchè la condotta della stazione appaltante era stata valutata nell’ambito dell’esame complessivo che aveva portato ad escludere la sussistenza dei presupposti per la risoluzione D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136; in terzo luogo, perchè non era ravvisabile il nesso causale tra la condotta non collaborativa della stazione appaltante e le gravissime conseguenze indotte dalla ricorrente, comunque quantificate con riferimento a parametri meramente assertivi ed arbitrari.

5.2. Con il motivo la ricorrente denuncia in primo luogo, sub A), la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 per mancanza del minimo motivazionale costituzionalmente garantito, in secondo luogo, sub B), la mancata applicazione dell’art. 2043 c.c. e la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 per mancanza del minimo motivazionale costituzionalmente garantito; in terzo luogo, sub C), errata individuazione della domanda per mancanza del minimo motivazionale costituzionalmente garantito con conseguente travisamento e violazione dell’art. 112 c.p.c.

5.3. La prima concorrente motivazione addotta dalla Corte di appello è efficacemente censurata da Corit, che chiarisce la duplicità delle sue censure concorrenti contro la decisione del Tribunale.

D’altra parte, una volta esclusa l’omessa pronuncia infondatamente lamentata, la Corte non avrebbe potuto esonerarsi dal valutare il gradato profilo di doglianza avverso la decisione realmente esistente.

5.4. La seconda concorrente motivazione addotta dalla Corte di appello è effettivamente sorretta da motivazione meramente apparente.

Se il comportamento della committente era stato scrutinato e per inciso negativamente valutato – nell’ambito dell’esame della questione della sussistenza dei presupposti per disporre la risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore, questa non era una buona ragione per non procedere alla valutazione della stessa condotta al diverso fine della richiesta risoluzione per inadempimento del committente e delle richieste risarcitorie consequenziali, come del resto supra ritenuto in sede di esame del secondo e terzo motivo di ricorso.

5.5. La terza concorrente motivazione addotta dalla Corte di appello non è invece stata censurata in modo efficace dalla ricorrente, che sostiene che la Corte di appello avrebbe travisato il fatto generatore del danno lamentato, indicato nell’ingiusto provvedimento di risoluzione D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136 e non già nella mancanza di collaborazione della committente addotta dalla Corte di appello.

5.5.1. La critica esposta però difetta di autosufficienza perchè, a fronte della sentenza impugnata che individua con precise affermazioni (pag.35, primo paragrafo del p. 9.10) l’origine del pregiudizio nella mancata collaborazione, come del resto era stato ritenuto dal primo Giudice (terzo paragrafo del p. 9.10 della sentenza definitiva impugnata), la ricorrente, con palese difetto di autosufficienza, si limita a sostenere che diverso era stato il fondamento della pretesa nell’atto di citazione e che non diversamente l’aveva inteso il C.t.u, senza però trascrivere, o almeno sintetizzare in modo adeguato, il passo delle sue difese ove aveva formulato la domanda asseritamente fraintesa.

5.5.2. Tanto basta a viziare di inammissibilità la censura, anche senza considerare che analogo vizio ricorre anche relativamente alla doglianza di assenza motivazionale nell’affermazione di assertività e arbitrarietà dei parametri risarcitori invocati.

Infatti la ricorrente non indica i parametri che aveva prospettato e non mette in condizione la Corte di apprezzare la specificità delle sue deduzioni, o anche solo di valutarne la potenzialità dimostrativa di un danno di disagevole liquidazione suscettibile di innescare la auspicata liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.

6. Gli ultimi quattro motivi proposti da Corit attengono tutti al tema della regolazione delle spese di lite disposta dalla sentenza definitiva 525/2019.

6.1. Con il settimo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia sul governo delle spese del giudizio di primo grado, con riferimento alle spese del giudizio da essa introdotto con atto di citazione notificato il 29/6/2011 per contrastare l’escussione della garanzia richiesta dal Ministero nei confronti della società Milano Assicurazioni.

6.2. Con l’ottavo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2 e violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 per mancanza del minimo motivazionale costituzionalmente garantito, avendo ritenuto la Corte territoriale senza adeguata motivazione una soccombenza reciproca insussistente quale fondamento della disposta parziale compensazione nei rapporti fra Corit e Mibac.

6.3. Con il nono motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. lamentando la condanna alla rifusione delle spese di UnipolSai Assicurazioni, nei cui confronti essa non aveva avanzato domande a differenza del Ministero appellante incidentale.

6.4. Con il decimo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. con riferimento alla distribuzione delle spese di consulenza tecnica d’ufficio.

6.5. Tutti questi motivi restano assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo e terzo motivo, con assorbimento del quarto e del quinto motivo e del conseguente necessario rinvio della causa al giudice del merito, che dovrà, all’esito del giudizio, rivalutare complessivamente e integralmente la distribuzione del carico delle spese processuali.

7. Il Mibac ha proposto ricorso autonomamente avverso la sentenza n. 525/2019 in data 20/5/2019, dopo che Corit aveva preventivamente notificato in data 16/5/2019 il proprio ricorso principale avverso entrambe le sentenze della Corte di appello Torinese e ha quindi riproposto le sue censure anche sotto forma di ricorso incidentale.

7.1. La giurisprudenza consolidata di questa Corte si ispira al principio di unità dell’impugnazione, secondo il quale l’impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive della stessa sentenza, le quali, pertanto, hanno sempre carattere incidentale.

Di conseguenza, nei procedimenti con pluralità di parti, avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, devono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la stessa sentenza nello stesso procedimento e perciò nella forma delle impugnazioni incidentali.

7.2. Tuttavia il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi, in forza degli artt. 333 e 371 c.p.c., avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, si converte in quest’ultima, purchè – come è avvenuto nella fattispecie in esame – ne abbia i requisiti temporali e cioè la notificazione non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell’impugnazione principale (Sez. 3, n. 20593 del 22/10/2004, Rv. 577794 – 01; Sez. L, n. 27887 del 30/12/2009,Rv. 611165 01; Sez. 3, n. 16501 del 18/07/2014, Rv. 632477 – 01).

7.3. Il ricorso autonomo del Mibac va quindi qualificato come incidentale, tempestivamente proposto, e come tale esaminato, mentre il successivo ricorso incidentale, peraltro conforme, va ritenuto proposto quando era stata già esaurita la facoltà di impugnazione.

7.4. In linea preliminare non può essere accolta l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale basata sull’inosservanza delle regole di redazione previste dal protocollo d’intesa fra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense del 17/12/2015: il mancato rispetto di tali regole non determina di per sè un vizio processuale dell’atto in difetto di specifiche violazioni di norme processuali stabilite dal codice di rito (cfr in motivazione, Sez.1, 24/4/2018 n. 10112).

7.5. Non può essere accolta l’eccezione preliminare di improcedibilità per violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, del ricorso incidentale.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’onere di deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del giudizio di merito, benchè, cautelativamente, ne sia opportuna la produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso, oppure attinente alla fondatezza di quest’ultimo e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante il suo deposito, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Sez. U, n. 25038 del 07/11/2013, Rv. 628054 – 01).

Nella specie il Mibac ha depositato i fascicoli di primo e secondo grado e ha indicato la collocazione in atti dei documenti da essa richiamati.

7.6. Merita rigetto, infine, anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale per difetto di esposizione chiara e sufficiente dei fatti di causa, ex art. 366 c.p.c., n. 3, requisito adeguatamente soddisfatto nell’atto di impugnazione del Ministero.

8. Con il primo motivo del ricorso principale del Mibac, riproposto anche quale primo motivo del ricorso incidentale, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione del D.Lgs. n. 173 del 2006, art. 136, dell’art. 1453 c.c., art. 35 e artt. 211 e ss. e in particolare del D.P.R. n. 554 del 1999, dell’art. 216 degli artt. 1321 e 1218 c.c.

8.1. Il Mibac critica la decisione impugnata perchè la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto l’appaltatore non soggetto agli adempimenti prescritti dalla stazione appaltante circa modalità operative, piani operativi e opere provvisionali nel corso dell’esecuzione dell’opera, anche a fronte di specifiche previsioni del Capitolato speciale di appalto e non aveva conseguentemente riconosciuto la gravità degli inadempimenti contestati all’appaltatore.

Secondo il Ministero erano state erroneamente interpretate le disposizioni dell’art. 216, nonchè dell’art. 35 in combinato disposto con il D.P.R. n. 554 del 1999, art. 213, comma 4, finendo così per adottare ingiustificatamente una portata restrittiva, limitata ai soli piani operativi di sicurezza, del concetto di “piani operativi di cantiere” in tema di opere riguardanti beni culturali e con l’escludere, altrettanto ingiustificatamente, dal novero delle attività rientranti nella responsabilità dell’appaltatore la definizione degli aspetti tecnici di singole lavorazioni riconducibili alla categoria delle opere provvisionali.

Tale erronea interpretazione sarebbe in conflitto, inoltre, con il contenuto del capitolato speciale di appalto che prevedeva espressamente fra gli oneri, obblighi e responsabilità dell’appaltatore l’aggiornamento degli elaborati di progetto in conseguenza delle varianti e soluzioni adottate, previa approvazione della Direzione lavorio, nonchè i dettagli costruttivi di cantiere, dei ponteggi e delle strutture provvisionali che dovessero risultare necessari ed infine l’approntamento di tutte le misure protettive al fine di non danneggiare il monumento e i locali ove si opera.

8.2. Il Mibac attribuisce alla Corte territoriale l’affermazione che non rientrasse tra i compiti dell’appaltatore il compimento di alcune attività di carattere tecnico ed esecutivo corrispondenti ad imposizioni impartite dalla Direzione lavori per il buon andamento del cantiere a fronte di accertate incapacità dell’impresa, proponendo una sintesi interpretativa del decisum della sentenza impugnata, non collegata a specifici brani testuali del suo contenuto, come obietta la Corit.

8.3. Più esattamente il Mibac focalizza la ratio decidendi allorchè si duole che la Corte di appello abbia attribuito una portata restrittiva al concetto di “piani operativi di cantiere”, limitata ai soli “piani operativi di sicurezza”, sulla base di una lettura dell’art. 35 del Regolamento in chiave di incompatibilità con gli interventi in materia di beni culturali, escludendo inoltre dal novero delle attività rientranti nella responsabilità dell’appaltatore la definizione degli aspetti tecnici di singole lavorazioni in tema di opere provvisionali.

A tal proposito il Ministero lamenta una acritica adesione della Corte di appello alle testi del Consulente d’ufficio e l’incomprensibilità del percorso argomentativo seguito (“Francamente non si comprende, nè la sentenza nel recepire acriticamente le tesi della CTU disposta in appello, motiva sul punto”, ricorso 20/5/2019, pag.16).

8.4. il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, artt. 198 e ss. (ora abrogati per effetto del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 217 recante il Codice dei contratti pubblici, ma applicabili ratione temporis) dettavano la disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni mobili e immobili e gli interventi sugli elementi architettonici e sulle superfici decorate di beni del patrimonio culturale, sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, al fine di assicurare l’interesse pubblico alla conservazione e protezione di detti beni e in considerazione delle loro caratteristiche oggettive.

In particolare, l’art. 203 prevedeva che l’affidamento dei lavori indicati all’art. 198 fosse disposto, di regola, sulla base del progetto definitivo, integrato dal capitolato speciale e dallo schema di contratto; che l’esecuzione dei lavori potesse prescindere dall’avvenuta redazione del progetto esecutivo, che, ove fosse stata ritenuta necessaria in relazione alle caratteristiche dell’intervento e non venisse effettuata dalla stazione appaltante, fosse effettuata dall’appaltatore e fosse approvata entro i termini stabiliti con il bando di gara o con lettera di invito.

Inoltre per i lavori concernenti beni mobili e superfici decorate di beni architettonici e scavi archeologici sottoposti alle disposizioni di tutela di beni culturali, nonchè nei casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, il contratto di appalto che prevedeva l’affidamento sulla base di un progetto preliminare o definitivo poteva comprendere, oltre all’attività di esecuzione, quella di progettazione successiva al livello previsto a base dell’affidamento laddove ciò venisse richiesto da particolari complessità, avendo riguardo alle risultanze delle indagini svolte.

Infine, per ogni intervento, il responsabile del procedimento, nella fase di progettazione preliminare, stabiliva il successivo livello progettuale da porre a base di gara e valutava motivatamente, esclusivamente sulla base della natura e delle caratteristiche del bene e dell’intervento conservativo, la possibilità di ridurre i livelli di definizione progettuale ed i relativi contenuti dei vari livelli progettuali, salvaguardandone la qualità.

8.5. La Corte di appello ha accertato tuttavia, con statuizione ricostruttiva del fatto non censurata, ed anzi ha considerato fatto incontroverso fra le parti (pag.17, sub 3.7., secondo capoverso) che l’Amministrazione non si era avvalsa della facoltà prevista dalla legge di delegare all’appaltatore la predisposizione di fasi del progetto esecutivo o del programma esecutivo (art. 203, commi 2 e 3) o la progettazione esecutiva in corso d’opera (comma 3 bis) e che i lavori erano stati affidati sulla base di un progetto esecutivo dettagliato, inteso a dettare le specifiche prescrizioni attuatine in relazione ad ogni minuto particolare dell’opera di ripristino e restauro della (OMISSIS).

Posto che il progetto esecutivo di appalto in tema di interventi su beni culturali doveva contenere tutte le indicazioni per assicurare la realizzabilità in cantiere del progetto e ove non le avesse contenuto tali prescrizioni dovevano essere fornite in corso d’opera, la Corte di appello ha ritenuto responsabile in proposito la stazione appaltante per non aver fornito il progetto completo delle indicazioni necessarie o comunque per non averlo debitamente integrato in corso d’opera (pag.17 della sentenza n. 525/2019, sub p. 3.7.).

8.6. il D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 35 (recante il Regolamento di attuazione della Legge Quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni, abrogato dal D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 358 e applicabile ratione temporis) in tema di progetto esecutivo disponeva che il progetto esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni particolare architettonico, strutturale ed impiantistico l’intervento da realizzare, sicchè ne restano esclusi soltanto i piani operativi di cantiere, i piani di approvvigionamenti, nonchè i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali.

8.6.1. In tema di lavori riguardanti beni culturali (intesi D.P.R. n. 554 del 1999, ex art. 211 come le cose soggette alle disposizioni della vigente legislazione in materia di beni culturali), l’art. 213, comma 1 del regolamento de quo prevedeva che l’attività di progettazione in tema di lavori su beni culturali, si articolasse secondo tre livelli di successive definizioni tecniche, in progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo.

Il comma 4 del cit. articolo prevedeva che i progetti sono costituiti da elaborati grafici e descrittivi indicati nel Capo II del titolo III per quanto compatibili e con riferimento alla specificità dei beni sui cui si interviene.

8.6.2. Il richiamo dell’art. 35 predetto (incluso nel citato Capo II del titolo III del regolamento) era quindi soggetto a clausola di compatibilità, in coerenza con la nota specifica che caratterizza gli interventi sui beni culturali, impressa dalla norma di legge primaria (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 198) che connotava tali tipologie di intervento con lo stigma della specialità al fine di assicurare l’interesse pubblico alla conservazione e protezione dei beni facenti parte del patrimonio culturale dello Stato e in considerazione delle loro caratteristiche oggettive, che esigono un surplus di cautele.

8.6.3. Infine l’art. 216 del regolamento disponeva che il progetto esecutivo per gli interventi sui beni culturali definisse in modo compiuto le tecniche, le tecnologie di intervento, i materiali riguardanti singole parti del complesso; prescrivesse le modalità esecutive delle operazioni tecniche; indicasse i controlli da effettuare in cantiere nel corso della prima fase dei lavori. Esso inoltre poteva essere redatto per stralci successivi di intervento, entro il quadro tracciato dal progetto definitivo, e poteva avvalersi, ove necessario, di nuovi approfondimenti di indagine a completamento delle indagini e ricerche precedentemente svolte.

8.6.4. Il progetto esecutivo per gli interventi sui beni culturali doveva quindi prescrivere anche le modalità esecutive delle operazioni tecniche che incombono quindi sul progettista e sulla stazione appaltante, in difetto, come nel caso, di delega contrattuale, in tutto o in parte all’appaltatore: in tal modo l’art. 216 derogava alla prescrizione generale dell’art. 35 in tema di intervento sui beni culturali.

8.6.5. Restava a carico dell’appaltatore la predisposizione dei piani operativi D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 31, comma 2, e D.Lgs. n. 81 del 2008 e quindi l’obbligo di predisporre il piano operativo di sicurezza coerente con il piano di sicurezza e coordinamento al fine di eseguire i lavori affidati anche sulla base delle modalità esecutive impartire dal progetto.

8.7. L’esegesi normativa compiuta dalla Corte territoriale, peraltro in adesione alle valutazioni proposte dal Consulente tecnico d’ufficio, appare quindi corretta e condivisibile in quanto aderente al dato normativo e in particolare alla specialità delle disposizioni dettate in tema di interventi sui beni culturali, fulcro essenziale del ragionamento della sentenza impugnata, tema questo che le censure del Mibac finiscono con il trascurare.

8.8. Non può essere ritenuta ammissibile l’argomentazione spesa dal Mibac a pag. 17 del ricorso secondo la quale il capitolato speciale di appalto includeva fra gli oneri, obblighi e responsabilità dell’appaltatore l’aggiornamento degli elaborati di progetto in conseguenza delle varianti e soluzioni adottate, previa approvazione della Direzione lavori, nonchè i dettagli costruttivi di cantiere, dei ponteggi e delle strutture provvisionali che dovessero risultare necessari ed infine l’approntamento di tutte le misure protettive al fine di non danneggiare il monumento e i locali ove si opera.

8.8.1. A parte il fatto – che inficia la censura sotto il profilo dell’autosufficienza – che il Mibac si limita a indicare il documento da cui trae alimento, senza trascriverlo se non per estratti decontestualizzati e senza allegarlo al ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, appare dirimente il fatto che il Ministero ricorrente non indica quando e come nel giudizio di merito avesse sottoposto tale questione alla dialettica processuale.

Carenza questa tanto più grave, in quanto la Corte di appello ha escluso espressamente che vi fosse stato conferimento di delega alla progettazione in capo all’appaltatore ed anzi ha ritenuto tale circostanza addirittura non controversa.

8.8.2. Per altro verso, la Corte torinese ha valutato il tenore del p. 4.5. del capitolato speciale in tema di programma esecutivo dei lavori, richiamante il D.P.R. n. 554 del 1999, art. 45 escludendo che la clausola così interpretata comportasse oneri progettuali per l’appaltatore.

9. Con il secondo motivo del ricorso proposto in via principale, riproposto anche quale secondo motivo del ricorso incidentale, il ricorrente Mibac denuncia alternativamente violazione di legge sia per il mancato assolvimento della motivazione su di un punto decisivo della controversia, sia per omesso apprezzamento della gravità dell’inadempimento dell’appaltatore, ovvero allo stesso proposito omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, relativamente al grave danno causato da Corit a un bene culturale di rilevante interesse per aver eliminato un elemento architettonico di rilievo senza il rispetto delle prescritte modalità esecutive.

9.1. Il Mibac sostiene che la sentenza di primo grado aveva, fra l’altro, accertato che l’impresa appaltatrice aveva danneggiato il capolavoro del (OMISSIS), rimuovendo completamente un arco del vestibolo Nord Ovest senza aver preventivamente eseguito il rilievo topografico, rendendo così impossibile la ricostruzione dell’opera, condotta questa di tale gravità da essere di per sè sufficiente a fondare la risoluzione contrattuale; che sul punto Corit aveva proposto appello, sostenendo che il danno non si era verificato ma ammettendo l’addebito, mosso dalla Direzione Lavori con nota del 24/1/2011, della rimozione dell’arco senza i preventivi rilievi; che la sentenza impugnata aveva totalmente omesso di considerare tale circostanza nel valutare la gravità degli inadempimenti dell’impresa, così incorrendo nel vizio di totale assenza di motivazione ovvero nel vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

9.2. Il motivo è inammissibile per carenza di specificità e autosufficienza.

Il ricorrente, nel totale silenzio serbato sulla questione nella sentenza impugnata (l’unico spunto che potrebbe indirettamente riferirvisi è contenuto nel p. 2.2., pag.8, sub 13, laddove si dà genericamente atto che l’impresa aveva contestato la sussistenza di un danno allegato dalla controparte), avrebbe dovuto riportare il contenuto della sentenza di primo grado che avrebbe inserito la condotta in questione fra i gravi inadempimenti ascritti a Corit, mentre si è limitata ad un asserzione del tutto generica, senza precisi citazioni e trascrizioni testuali, tanto più grave in quanto la Corte di appello non ha l’ha affatto riportata tra le ragioni poste a sostegno della decisione del Tribunale (p. 5.2., pag.8-9).

9.3. Analogamente il Mibac sostiene che sul punto era stato proposto un motivo di appello, che in realtà implicava l’ammissione dell’addebito, se non del danno, senza riportare e trascrivere i passaggi essenziali di tale atto.

9.4. Esclusa quindi in radice la sussistenza di un difetto assoluto di motivazione di una decisione neppur indicata, la denuncia del ricorrente deve essere presa in considerazione sub specie di omesso esame di fatto deciso oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

9.5. Tuttavia, anche in questa prospettiva il mezzo appare inammissibile, perchè la lettura del ricorso non mette la Corte in condizione di apprezzare la decisività della circostanza, senza gli adeguati puntuali e specifici riferimenti sia alle deduzioni in proposito formulate in primo grado dal Mibac, sia al contenuto della sentenza di primo grado, sia al motivo di appello introdotto dalla Corit.

10. Con il terzo motivo del ricorso principale del Mibac, riproposto anche quale terzo motivo del ricorso incidentale, il Ministero denuncia violazione o falsa applicazione di legge in punto rivalutazione monetaria sia con riferimento all’errata determinazione della data iniziale di decorrenza delle somme liquidate D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 134 sia con riferimento alla mancata indicazione del parametro applicato.

10.1. Il Ministero lamenta, per un verso, che la rivalutazione monetaria è stata fatta decorrere dal 12/4/2006, mentre la risoluzione era stata ancorata alla data del 28/3/2011, per un altro, che la Corte di appello non aveva indicato il parametro al quale la disposta rivalutazione doveva essere commisurata.

10.2. Se è vero che la sentenza indica una data erronea come quella di risoluzione del rapporto D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136 (12/4/2006), addirittura anteriore al contratto e che il parametro matematico sulla base del quale deve essere operata la rivalutazione non è indicato, la censura deve ritenersi assorbita per effetto dell’accoglimento del secondo e terzo motivo di appello principale.

11. Con il quarto motivo del ricorso principale del Mibac, riproposto anche quale quarto motivo del ricorso incidentale, il Ministero denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione del D.Lgs. n. 173 del 2006, art. 136, dell’art. 1453 c.c., degli artt. 35 e 211 e seguenti e in particolare del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 216 degli artt. 1321 e 1218 c.c., per aver la Corte di appello erroneamente ammesso e rivalutato alcune riserve concernenti oneri asseritamente affrontati dall’appaltatore in conseguenza dell’inadempimento della stazione appaltante.

Il motivo è dichiaratamente proposto in via meramente consequenziale al primo motivo e cade quindi con il cadere della censura esaminata nel precedente p. 8.

12. In accoglimento del secondo e terzo motivo, rigettato il primo e inammissibile il sesto, assorbiti il quarto, il quinto, il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo motivo del ricorso principale della Corit, rigettato il primo, dichiarati inammissibile il secondo e il quarto, assorbito il terzo del ricorso proposto in via principale e qualificato incidentale del Mibac, la sentenza n. 525 del 2019 della Corte di appello di Torino deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla stessa Corte, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE

accoglie il secondo e terzo motivo, rigettato il primo e inammissibile il sesto, assorbiti il quarto, il quinto, il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo motivo del ricorso principale della Corit, rigettato il primo, dichiarati inammissibili il secondo e il quarto, assorbito il terzo del ricorso incidentale del Ministero per i beni culturali e le attività culturali e il turismo, cassa la sentenza definitiva n. 525 del 2019 della Corte di appello di Torino in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla stessa Corte, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

 

 

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