Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29772 del 12/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 29772 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso 9520-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’Avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3381

PALMIERI EZIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
TACCHINI 7, presso lo studio dell’Avvocato FABRIZIO
POLESE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANNALISA
RENDA, giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 12/12/2017

avverso la sentenza n. 114/2012 della CORTE D’APPELLO

di BOLOGNA, depositata il 06/04/2012 R.G.N. 754/2008;

RG 9520/2013
RILEVATO

che con sentenza in data 6 aprile 2012, la Corte d’appello di Bologna condannava
Poste Italiane s.p.a. al pagamento, in favore di Ezio Palmieri a titolo risarcitorio, di
un’indennità omnicomprensiva, in misura di dieci mensilità dell’ultima retribuzione

così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la
nullità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato tra le parti, ai
sensi degli artt. 23 I. 56/1987 e 8 CCNL 26 novembre 1994 per il periodo 20 dicembre
2000 – 20 gennaio 2001, per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione degli assetti occupazionali in attesa del complessivo riequilibrio sul
territorio delle risorse umane, la conversione del rapporto tra le parti in uno a tempo
indeterminato con decorrenza dalla prima data e condannato la società datrice alla
riammissione in servizio del lavoratore e al pagamento, in suo favore a titolo
risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal 16 marzo 2006 all’effettiva riammissione,
dedotto

l’aliunde perceptum;

che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso con tre motivi, cui
resisteva il lavoratore con controricorso;

CONSIDERATO

che la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 23 I.
56/1987, 8 CCNL 26 novembre 1994, degli accordi sindacali del 25 settembre 1997,
16 gennaio 1998, 27 aprile 1998, 2 luglio 1998, 24 maggio 1999 e 18 gennaio 2001 in
connessione con gli artt. 1362 ss. c.c., per erronea esclusione della vigenza della
contrattazione collettiva e integrativa dopo la data del 30 aprile 1998, per la natura
meramente ricognitiva degli accordi sindacali suindicati, in assenza di fissazione di
alcuna limitazione temporale (primo motivo); insufficiente motivazione su un fatto
controverso e decisivo per il giudizio quale la fonte di individuazione della volontà
delle parti collettive di fissare al 30 aprile 1998 il termine finale di efficacia finale
dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 (secondo motivo); violazione e falsa
applicazione degli artt. 32 I. 183/2010 e 429, terzo comma c.p.c., per incongruità

globale di fatto percepita, ai sensi dell’art. 32 I. 183/2010, oltre accessori di legge:

RG 9520/2013
della determinazione dell’indennità, alla luce dei criteri di liquidazione previsti dall’art.
8 I. 604/1966, in difetto di prova del lavoratore di

aliunde perceptum

e per

insuscettibilità di alcuna maggiorazione per rivalutazione monetaria ed interessi
dell’indennità in questione, priva di natura retributiva (terzo motivo);

ragioni di connessione, siano infondati;
che, infatti, in materia di assunzione a tempo determinato di dipendenti postali, con
l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16 gennaio 1998,
le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla conseguente ristrutturazione
aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali, fino alla data del 30 aprile 1998:
con la conseguenza che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute
dopo il 30 aprile 1998 per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (Cass. 218
novembre 2011, n. 24281, con principio affermato ai sensi dell’art. 360bis, primo
comma c.p.c.; Cass. 12 gennaio 2016, n. 286);
che la Corte territoriale ha ampiamente giustificato, con diffuse argomentazioni
critiche (esposte dall’ultimo capoverso di pg. 7 all’ultimo di pg. 11 della sentenza), il
proprio convincimento, sicchè non sussiste la denunciata insufficienza di motivazione;
che essa ricorre soltanto quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della
medesima sentenza, del procedimento logico che C4104,04;
cg, base degli
indotto’, sulla
elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando vi sia, invece, difformità
rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal
primo attribuiti agli elementi delibati (Cass. s.u. 25 ottobre 2013, n. 24148): tenuto
comunque conto che, qualora il ragionamento argomentativo sia a supporto, non già
di un accertamento di questioni di fatto, bensì di un’interpretazione di norme di
diritto, esso è denunciabile esclusivamente come violazione di legge e non come vizio
motivo (Cass. 26 giugno 2009, n. 15172; Cass. 10 marzo 2006, n. 5277);

che ritiene il collegio che il primo e il secondo motivo, congiuntamente esaminabili per

RG 9520/2013
che anche il terzo motivo è infondato, per l’incensurabilità, in sede di legittimità, se
non per motivazione assente, illogica o contraddittoria (qui invece coerente e congrua
per le ragioni esposte nei primi sette alinea di pg. 17 della sentenza), della
determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità prevista

1320): del tutto analogamente alla valutazione per la determinazione dell’indennità
risarcitoria prevista dall’art. 8 I. 604/1966 (Cass. 8 giugno 2006, n. 13380),
espressamente richiamata dalla prima nei suoi criteri di liquidazione;
che è pure corretta l’applicazione dell’art. 429, terzo comma c.p.c. anche nel caso
dell’indennità stabilita dall’art. 32 I. 183/2010, in quanto si riferisce a tutti i crediti
connessi al rapporto e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva,
fermo

restando

che

alla

natura

di

liquidazione

forfetta ri a

e onnicomprensiva dell’indennità consegue la decorrenza della rivalutazione monetaria
e degli interessi legali dalla data della sentenza che dispone la conversione del
rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. 17 marzo 2016, n. 5344): e da tale
data per la natura non retributiva dell’indennità (Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062);
che il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la regolazione delle spese di giudizio
secondo il regime di soccombenza;

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Poste Italiane s.p.a. alla rifusione, in favore del
controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in C 200,00 e C 4.000,00 per
compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma

lquater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso nella Adunanza camerale del 20 luglio 2017
Il Presidente
Ì1

GUEZMO

. Giovarni R’

/ CORTE SUPREMA DI CASSAZiO»

-2

(dott. Vittorio Nobile)

dall’art. 32 I. 183/2010, spettante al giudice di merito, (Cass. 22 gennaio 2014, n.

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