Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29771 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. I, 29/12/2020, (ud. 28/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16160/2016 proposto da:

Imprese Lignano Sil s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Canina n. 16, presso

lo studio dell’avvocato Roberto Paviotti, che la rappresenta e

difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia del Demanio – Filiale Friuli Venezia Giulia, Regione Autonoma

Friuli Venezia Giulia;

– intimati –

nonchè contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, presso l’Ufficio

Distrettuale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in

(OMISSIS), e rappresentata e difesa dall’avvocato Michela Del Neri

in forza di procura a margine del controricorso;

– controricorrente incidentale –

nonchè contro

Agenzia del Demanio -Filiale Friuli Venezia Giulia, domiciliato in

Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

nonchè contro

Imprese Lignano SIL s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Canina n. 16, presso

lo studio dell’avvocato Roberto Paviotti che la rappresenta e

difende in forza della predetta procura speciale in calce al

ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 278/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 04/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI;

udito l’Avvocato ROBERTO PAVIOTTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e del ricorso incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione in riassunzione del 15/3/2010, dopo che i Giudici amministrativi avevano declinato la spettanza della giurisdizione con sentenza del 13/10/2008 del TAR del Friuli Venezia Giulia, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza del 15/12/2009, la Società Imprese Lignano – S.I.L s.p.a. (di seguito, semplicemente: SIL) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Trieste l’Agenzia del Demanio e la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (di seguito, semplicemente: la Regione o RFVG) per sentir dichiarare l’inapplicabilità alle concessioni demaniali n. (OMISSIS) e (OMISSIS), rilasciate per 50 anni a suo favore, dei nuovi criteri per la determinazione dei canoni demaniali, indicati nella L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251, che aveva sostituito della L. n. 494 del 1993, l’art. 1, comma 3, e comportava l’aumento del 1200% dei canoni in atto.

L’attrice aveva esposto che le due predette concessioni erano state rilasciate nell’ambito di un programma di sviluppo di Lignano; che la prima concessione riguardava la realizzazione di uno stabilimento psamma-terapeutico (id est: per la terapia della sabbia, sabbiatura o bagno caldo di sabbia), l’urbanizzazione della zona retrostante la spiaggia e la realizzazione della relativa viabilità; la seconda concessione concerneva la realizzazione di una rete stradale (lungomare, strade di raccordo, viali pedonali e parcheggio), tre stabilimenti balneari completi di cabine, servizi, bar, docce e servizi igienici, servizi tecnologici, illuminazione, acqua e fognature; che inoltre per entrambe le concessioni cinquantennali era previsto un canone annuo determinato in ragione della demanialità della zona e l’incameramento dei beni da parte dello Stato alla scadenza; che, infine, i canoni avevano subito aumenti in seguito ad atti suppletivi a fronte della realizzazione di nuovi impianti e strutture, ma non in conseguenza degli aumenti disposti dalle L. n. 501 del 1961, L. n. 682 del 1981 e L. n. 160 del 1989.

L’attrice ha dedotto l’illegittimità costituzionale del predetto L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251, per violazione degli artt. 3,41 e 97 Cost. e ha chiesto in subordine la riduzione del 90% dei canoni.

Si è costituita in giudizio la Regione, chiedendo il rigetto della domanda ed eccependo il difetto di giurisdizione e l’inammissibilità della domanda sulle questioni nuove rispetto alle deduzioni del giudizio amministrativo.

Si è costituita in giudizio anche l’Agenzia del Demanio sostenendo il proprio difetto di legittimazione passiva e la legittimità dell’aumento dei canoni per cui era causa.

Il Tribunale di Trieste con sentenza del 10/5/2012 in via pregiudiziale ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, ha negato la possibilità di proporre domande nuove nel processo riassunto ed ha escluso l’interesse a contraddire dell’Agenzia del Demanio; nel merito ha rigettato la domanda di parte attrice, ritenendo applicabile la norma contestata anche alle concessioni per cui era causa, sulla base della sentenza n. 302 del 2010 della Corte Costituzionale; ha rigettato altresì la domanda subordinata di applicazione della riduzione del 90 % del canone a certe zone delle aree concesse, escludendo che il rilascio della concessione ad un ente con scopo di lucro fosse dipeso dal perseguimento di un puro interesse pubblico.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello SIL, a cui hanno resistito gli appellati RFVG e Agenzia del Demanio, che hanno chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

La Corte di appello di Trieste con sentenza del 4/5/2016 ha accolto parzialmente il gravame, dichiarando la legittimazione passiva dell’Agenzia del Demanio per la domanda concernente i canoni relativi all’anno 2007 e dichiarando altresì l’inapplicabilità della L. n. 494 del 1993, art. 3 alla concessione (OMISSIS).

Per il resto ha rigettato l’appello, compensando fra le parti le spese del grado.

La Corte di appello ha ritenuto che competesse alla Regione introitare i canoni demaniali a decorrere dal 2008, mentre restava di competenza dell’Agenzia l’incameramento del canone 2007, tenuto conto della decorrenza del trasferimento disposto con il D.Lgs. n. 111 del 2004; ha ribadito la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia; ha ritenuto implicitamente abrogata la norma interpretativa di cui alla L. n. 494 del 1993, art. 3 per regolazione dell’intera materia ad opera della L. n. 296 del 2006; ha ritenuto che l’applicabilità degli aumenti disposti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251, dipendesse dalla natura turistico-ricreativa delle concessioni in atto; ha ritenuto che tale requisito non sussistesse per la concessione n. (OMISSIS), che ineriva ad uno stabilimento termale per la cura di specifiche patologie e alla realizzazione di strade ed aree verdi, mentre sussisteva per la concessione n. 13, relativa a una struttura turistico ricreativa (stabilimenti balneari, cabine discoteca, bar, campeggi) e relative pertinenze; ha escluso la natura ricognitoria del canone ex art. 39 c.n., comma 2; ha disatteso i dubbi di costituzionalità della normativa applicata.

3. Avverso la predetta sentenza del 4/5/2016, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione SIL con atto notificato il 24 e il 23/6/2016, svolgendo due motivi, uno in via principale e l’altro in via subordinata.

Con atto notificato il 2/9/2016 ha proposto controricorso e ricorso incidentale la RFVG, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di due motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado.

Con atto notificato il 7/9/2016 ha proposto controricorso l’Agenzia del Demanio, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Con controricorso notificato il 21/11/2016 SIL ha resistito al ricorso incidentale di RFVG.

Sia la ricorrente SIL sia la controricorrente RFVG hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente SIL denuncia error in judicando e violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 15 disp. gen..

1.1. Con il motivo SIL critica l’affermazione della sentenza impugnata, ritenuta erronea, secondo cui la L. 27 dicembre 1997, n. 499, art. 10, comma 1, statuente che i canoni demaniali determinati ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, si applicano alle sole concessioni demaniali marittime turistico-ricreative aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1997, sarebbe stato implicitamente abrogato perchè la nuova legge (ossia la Legge Finanziaria 27 dicembre 1996, n. 296, art. 1, comma 251), modificando il testo del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1 avrebbe regolato l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.

1.2. Secondo la ricorrente, la cosiddetta “Legge Finanziaria Prodi” (la L. 27 dicembre 2006, n. 296) non aveva affatto modificato l’intero sistema normativo, così determinando l’abrogazione tacita della norma di interpretazione autentica contenuta nella della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 10, comma 1, che aveva escluso l’applicabilità dei canoni per concessioni di demanio marittimo previsti dal D.L. n. 400 del 1993 alle sole concessioni aventi decorrenza successiva al 31/12/1997.

Inoltre il comma n. 251 della L. n. 296 del 2006, art. 1 aveva novellato solo il D.L. n. 400 del 1993, art. 3 introducendo ulteriori e ancor più nuovi criteri di determinazione dei canoni, ma non conteneva elementi antinomici o contraddittori rispetto alla preesistente norma transitoria.

Soprattutto la Legge finanziaria in questione, all’art. 1, comma 256 si era fatta carico di abrogare espressamente alcune disposizioni ritenute incompatibili e fra esse anche un diverso comma, il comma 4, della L. n. 449 del 1997, art. 10 e non già il predetto comma 1, contenente la norma di interpretazione autentica in tema di regime intertemporale.

1.3. E’ necessario preventivamente ricostruire il quadro normativo di riferimento.

Il D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3 recante “Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime” convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, aveva previsto che i canoni annui per concessioni con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo fossero determinati, a decorrere dal 1/1/1994, con decreto del Ministro della marina mercantile, emanato sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto di una serie di prefissati criteri direttivi.

Emesso il decreto applicativo (con disposizioni che escludevano l’applicabilità alle concessioni assentite in precedenza), era insorto contrasto con la Corte dei Conti, che aveva ritenuto che i canoni rideterminati dal D.L. n. 400 del 1993 dovessero essere applicate anche alle concessioni rilasciate in precedenza.

Fu così introdotta la norma intertemporale della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 10, comma 1, secondo il quale “i canoni per concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, determinati ai sensi dell’art. 3, comma 1, applicabile alle sole utilizzazioni per finalità turistico-ricreative, con esclusione delle strutture dedicate alla nautica da diporto, e del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, si applicano alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1997.”.

Di conseguenza il D.M. 5 agosto 1998, n. 342 aveva fissato i canoni concessori delimitandone l’operatività alle concessioni rilasciate con decorrenza successiva al 31/12/1997.

In questo contesto è stata introdotta la disposizione del comma 251 della Legge Finanziaria per il 2007 che ha sostituito del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, il comma 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, dettando i nuovi criteri per la determinazione dei canoni di concessione del demanio marittimo.

1.4. Il motivo di ricorso deve essere rigettato, anche se i rende necessaria la correzione della motivazione esposta a sostegno della decisione adottata dalla Corte friulana.

1.4.1. L’art. 15 disp. gen. in tema di “Abrogazione delle leggi” dispone che “le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perchè la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”.

Ai sensi dell’art. 15 preleggi, l’abrogazione tacita di una legge ricorre quando sussiste incompatibilità fra le nuove disposizioni e quelle precedenti, ovvero quando la nuova legge disciplina la materia già regolata da quella anteriore.

In particolare, la suddetta incompatibilità si verifica solo quando fra le leggi considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, cosicchè dall’applicazione ed osservanza della nuova legge derivi necessariamente la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra (Sez. 1, n. 2502 del 21/02/2001, Rv. 544013 – 01).

L’abrogazione della legge, per il fatto che la nuova legge regola l’intera materia già regolata da quella anteriore, opera esclusivamente per la volontà novativa del legislatore, e prescinde dalla circostanza che vi sia o meno tra le due discipline normative succedutesi nel tempo incompatibilità generale o su punti specifici. si ha invece abrogazione per incompatibilità tra la nuova legge e quella anteriore quando il contrasto logico e giuridico sia tale da renderne impossibile l’applicazione contemporanea (Sez. 1, n. 830 del 26/03/1973, Rv. 363114-01; Sez. L, n. 1760 del 18/02/1995, Rv. 490519 – 01).

E’ stato anche precisato che l’abrogazione per nuova regolamentazione dell’intera materia è configurabile quando la legge successiva costituisce un sistema normativo tendenzialmente completo, il che non ricorre ove la disciplina contenuta in una legge provinciale presenti fisiologici profili di coordinamento con la legislazione regionale e statuale (Sez. 1, n. 18602 del 21/09/2005, Rv. 583951 – 01).

1.4.2. Nella fattispecie non vi è stata alcuna abrogazione espressa della norma invocata dalla ricorrente (L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 10, comma 1), nè la Corte territoriale ha ravvisato un caso di abrogazione tacita per incompatibilità logica fra disposizioni, che effettivamente non è possibile configurare.

Secondo la Corte giuliana la L. n. 449 del 1997 ha invece inteso regolare l’intera materia e ha proceduto a una integrale revisione della disciplina, con la conseguente abrogazione tacita della regola di interpretazione autentica, pur non espressamente abrogata.

1.4.3. Tale assunto non può essere condiviso.

Infatti la regolamentazione dell’intera materia delle concessioni del demanio marittimo non può esser colta in alcune frammentarie disposizioni introdotte in alcuni commi di una legge finanziaria, per definizione destinata ad albergare disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.

La Corte di appello, senza analizzare le norme dettate nella predetta legge finanziaria, si è accontentata dell’incidenza del comma n. 251 sulle regole di determinazione del canone concessorio, attuata con la sostituzione del previgente testo della L. n. 494 del 1993, art. 3 che dimostrava semmai l’intento del legislatore di procedere a modifiche dei contenuti della vigente disciplina organica dell’istituto e non certo di riscriverla completamente.

La L. 27 dicembre 2006, n. 296, oltre al citato comma 251 in tema di rideterminazione dei criteri di determinazione dei canoni annui per concessioni rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo, reca alcune altre disposizioni puntuali modificatrici e integratrici del tessuto del D.L. n. 400 del 1993, come il comma 250, in tema di revoca delle concessioni per gravi violazioni edilizia, il comma 252, in tema di canoni per le concessioni relative alla nautica da diporto, il comma 253, in tema di durata delle concessioni, il comma 255, in tema di compensazione, il comma 257 in tema di interpretazione autentica di una disposizione del D.L. n. 400 del 1993.

Il legislatore, cioè, della legge finanziaria 2007 ha proceduto a una significativa ed economicamente incisiva revisione della disciplina organica preesistente, ma non ha affatto manifestato e concretizzato l’intento di procedere alla regolamentazione organica dell’intera materia; ha piuttosto proceduto a interventi chirurgici sul tessuto normativo preesistente, addirittura modificando selettivamente e articolatamente specifici commi dello stesso D.L. n. 400 del 1993, art. 3.

1.4.4. E’ comunque decisivo e dirimente per fugare ogni possibile residuo dubbio il fatto che nella L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 256 abbia disposto specifiche abrogazioni espresse (quelle del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, commi 21, 22 e 23 convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, e la L. 17 dicembre 1997, n. 449, art. 10, comma 4), addirittura incidendo sullo stesso L. n. 449 del 1997, art. 10 abrogandone espressamente il solo comma 4, e risparmiando specificamente il comma 1, che ospitava la norma di interpretazione autentica sul regime intertemporale per cui è causa, che evidentemente a fortiori si intendeva preservare.

1.4.5. L’abrogazione tacita per regolamentazione dell’intera materia per le ragioni esposte appare insostenibile.

1.5. Il decisum, ossia l’inapplicabilità alla fattispecie della norma intertemporale in questione (L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 10, comma 1), appare tuttavia conforme a diritto per un’altra e dirimente ragione.

1.5.1. Tutte le parti (SIL, RFVG e Agenzia del Demanio) concordano sulla natura di interpretazione autentica della disposizione contenuta nella L. n. 449 del 1997, art. 10, comma 1: per la SIL vedasi il ricorso, pag.9, terzo capoverso; per la RFVG controricorso, pag.13, primo capoverso; per l’Agenzia del Demanio, controricorso, pag.7.

1.5.2. Era indubbio l’intento del legislatore del 1997 di introdurre una regola di carattere intertemporale, tesa a disciplinare l’ambito di applicabilità dei canoni determinati secondo le regole introdotte dal D.L. n. 400 del 1993, escludendone l’applicazione ai rapporti concessori sorti prima del 31 dicembre 1997.

L’effetto retroattivo della norma e l’esistenza di contrasti interpretativi fra il Ministero dei trasporti e della navigazione e la Corte dei Conti, pur in assenza di inequivocabili riferimenti testuali alla natura interpretativa della norma, accreditano quindi l’assunto della natura di interpretazione autentica della disposizione in esame, per vero condivisa da tutte le parti in causa.

1.5.3. La natura interpretativa della disposizione appare strutturalmente incompatibile con le tesi della ricorrente perchè una norma interpretativa non potrebbe che riferirsi al testo storico della legge che si prefigge di interpretare correttamente (ossia: il D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3 convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494), dissipando gli equivoci e i dubbi insorti circa la sua portata, e non al testo, completamente diverso, successivamente sostituito nel corpo dello stesso articolo da una legge successiva (il comma 251 dell’art. 1 della Legge Finanziaria per il 2007 che ha sostituito il comma 1 del predetto D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3).

1.5.4. Tuttavia, anche accedendo alla configurazione della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 1, comma 1, come mera norma di disciplina intertemporale, priva di una funzione interpretativa, la conclusione non muta.

1.5.5. L’art. 10 de quo, infatti, nell’escludere l’applicabilità alle concessioni aventi decorrenza anteriore al 31 dicembre 1997, si riferisce ai canoni per concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, determinati ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1.

Il riferimento non può essere inteso che come circoscritto agli aumenti dei canoni concessori scaturenti dalla disciplina introdotta nel 1993, ossia agli aumenti determinati dalle disposizioni contenute nel testo storico dell’art. 3 e non ai nuovi aumenti disposti dal Legislatore nel 2007, sia pur inscrivendo per sovrapposizione la nuova disciplina nella cornice del preesistente D.L. n. 400 del 1993, art. 3.

In difetto di una manifestazione chiara di volontà del nuovo Legislatore del 2007, pacificamente assente, la relatio introdotta dalla norma intertemporale aveva necessariamente carattere “fisso”, riferito al testo storico della norma indicata, e non “mobile”, collegato cioè a tutti i possibili nuovi testi dello stesso articolo derivanti da stratificazioni legislative successive.

1.5.6. In questo scenario normativo, la giurisprudenza amministrativa, sia di merito sia di legittimità, ha già avuto modo di affermare che la disposizione di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251, non opera distinzioni tra le nuove concessioni e le concessioni in precedenza rilasciate, onde la lettera della legge depone per l’applicazione dei nuovi canoni anche per le concessioni già in corso. Il testo legislativo è chiaro e non si presta ad equivoci. (Cons. St., 26/1/2018, n. 546; Cons. St., 19/1/2018, n. 340).

Invero, la norma in questione introduce una integrale revisione della determinazione del canone concessorio, prevedendo, per le concessioni attinenti ad utilizzazioni “turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei, per i quali si applichino le disposizioni relative…al demanio marittimo”, una forte rivalutazione dei canoni, a lungo lasciati a livelli del tutto inadeguati, rispetto agli equilibri di mercato, con la decorrenza dal 1gennaio 2007, in relazione alle concessioni “rilasciate e rinnovate” e, dunque, anche con incidenza sui rapporti in corso.

Infatti il riferimento normativo relativo alle “concessioni rilasciate o rinnovate” non esclude l’applicabilità alle concessioni “in corso” che sono pur sempre concessioni “rilasciate o rinnovate”.

Ciò anche in corrispondenza ad una lettura della norma rispondente al dato testuale e alla finalità di interesse pubblico sottese, tenuto conto dei poteri riconosciuti all’ente proprietario nei confronti dei concessionari, nonchè dell’esigenza di trarre dall’uso dei beni pubblici proventi non irrisori, da porre a servizio della collettività.

Non assume in senso contrario quanto avvenuto in sede di entrata in vigore del D.L. n. 400 del 1993 mediante il riferimento alla L. n. 449 del 1997, che espressamente statuì che i canoni così determinati si sarebbero dovuti applicare solo alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1997: infatti, la mancata applicazione in quella sede delle nuove misure dei canoni alle concessioni in corso è derivata da un espresso intervento legislativo, che non vi è stato in occasione delle modifiche introdotte dalla L. n. 296 del 2006.

1.5.7. A diversi approdi esegetici non è consentito pervenire, neppure attraverso una chiave di lettura costituzionalmente orientata.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 302 del 18/10/2010, ha ritenuto la infondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione in questione, proprio sul presupposto che la nuova misura dei canoni trovi applicazione anche ai rapporti concessori in corso.

Dopo aver premesso che “nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25 Cost., comma 2)” e che “l’unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto”, la Consulta ha chiarito che “la variazione dei criteri di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali, in particolare di beni appartenenti al demanio marittimo, non è frutto di una decisione improvvisa ed arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una precisa linea evolutiva della disciplina dell’utilizzazione dei beni demaniali. Alla vecchia concezione, statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta del valore del bene, si è progressivamente sostituita un’altra, tendente ad avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base cioè delle potenzialità degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico”.

Ancora, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza che “tale processo evolutivo è in corso da diversi decenni ed ha indotto questa Corte ad osservare che gli interventi legislativi, volti ad adeguare i canoni di godimento dei beni pubblici, hanno lo scopo, conforme agli artt. 3 e 97 Cost., di consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati”.

Del resto, i nuovi criteri di calcolo introdotti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251, non possono essere considerati frutto di irragionevole arbitrio del legislatore, trattandosi infatti di una linea di valorizzazione dei beni pubblici, che mira ad una loro maggiore redditività per lo Stato, vale a dire per la generalità dei cittadini, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari.

Pertanto, ha concluso la Corte Costituzionale, “l’intervento del legislatore non è stato nè improvviso e imprevedibile, nè ingiustificato rispetto allo scopo perseguito di assicurare maggiori entrate all’erario e di perequare le situazioni dei soggetti che svolgono attività commerciali, avvalendosi di beni pubblici, e quelle di altri soggetti che svolgono le identiche attività, ma assoggettati ai prezzi di mercato relativi all’utilizzazione di beni di proprietà privata”.

1.5.8. Tanto premesso in via generale, deve ritenersi che la nuova disciplina debba applicarsi a tutti i rapporti concessori, essendo sufficiente, ai fini della commisurazione dei canoni introdotta da detta normativa, che al 1 gennaio 2007 il privato gestisca in concessione i beni rientranti nell’ambito applicativo della norma, indipendentemente dal momento del rilascio della concessione, antecedente o successivo che sia all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006.

E ciò sia alla luce della ratio legis della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251, finalizzata – come detto – alla perequazione della posizione dei concessionari di beni pubblici mediante una revisione di tutta la normativa, sia in base ad un’interpretazione sistematica che tenga altresì conto del riferimento, contenuto nella lett. b) dell’invocato comma 251, anche alle concessioni relative agli anni 2004, 2005 e 2006, con ciò dando per presupposta l’applicabilità del nuovo regime dei canoni anche alle concessioni in corso prima dell’entrata in vigore della Legge finanziaria per il 2007.

1.6. Non giova alla ricorrente l’imponente sforzo argomentativo sviluppato con la memoria 8/9/2020, in particolare sub F), imperniato sulla pronuncia della Corte Costituzionale n. 29 del 2017, nonchè sulle sentenze del Consiglio di Stato n. 218 del 16/1/2018 e n. 5008 dell’11/8/2020, e sul fatto che la richiesta del pagamento dei nuovi canoni di concessione demaniale, calcolati sulla base dei valori OMI, inciderebbe anche su beni immobili costruiti dal concessionario ed ancora di sua privata proprietà fino alla scadenza della concessione, il che è stato appunto escluso dalla Consulta nella sentenza citata relativa ai canoni relative alla concessione dei beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture per la nautica da diporto.

1.6.1. La Corte Costituzionale si è indotta a un’interpretazione costituzionalmente corretta della disposizione in esame che imponeva la necessità di considerare la natura e le caratteristiche dei beni oggetto di concessione, quali erano all’avvio del rapporto concessorio, nonchè delle modifiche successivamente intervenute a cura e spese dell’amministrazione concedente; la Consulta ha tuttavia ribadito che mentre con riferimento agli aumenti dei canoni tabellari (D.L. n. 400 del 1993, art. 3, comma 1, lett. b), n. 1) dovevano valere i principi affermati nella precedente sentenza n. 302 del 2010, viceversa doveva essere esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri commisurati al valore di mercato alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti ed infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007.

1.6.2. La ricorrente con le sue nuove argomentazioni introduce nel giudizio di cassazione una nuova censura estranea ai temi proposti con i motivi di ricorso.

Nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove censure nè sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (Sez. 2, n. 24007 del 12/10/2017, Rv. 645587 – 01; Sez. 1, n. 26332 del 20/12/2016, Rv. 642766 – 01; Sez. 6 – 3, n. 3780 del 25/02/2015, Rv. 634440 – 01; Sez. 2, n. 30760 del 28/11/2018, Rv. 651598 – 01).

1.6.3. Nè può parlarsi correttamente di jus superveniens a fronte di mere pronunce interpretative del diritto positivo, quali quelle del Consiglio di Stato ed anche quella della Corte Costituzionale, che si atteggia in termini di pronuncia interpretativa di rigetto.

1.6.4. Tanto basterebbe a decretare l’inammissibilità delle nuove tardive censure se le questioni implicate non attenessero anche a una questione nuova, mai sottoposta al contraddittorio nell’ambito del giudizio di merito e addirittura non implicassero deduzioni e accertamenti in punto di fatto circa la natura delle aree demaniali e le attività costruttive a suo tempo espletate da SIL, a cui la ricorrente cerca indebitamente di supplire con allegazioni tardive contenute nella predetta memoria.

1.6.5. Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa. (Sez. 6 – 5, n. 32804 del 13/(OMISSIS)/2019, Rv. 656036 – 01; Sez. 2, n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251 – 02; Sez. 2, n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente SIL, in linea subordinata, lamenta omissione di pronuncia sulla sua domanda subordinata volta a far dichiarare, nell’ipotesi denegata di ritenuta applicabilità dei maggiori canoni rideterminati dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251 che gli stessi dovevano essere ridotti del 90% nella parte concernente le aree demaniali (strade, parcheggi non a pagamento, piste ciclabili, aree verdi, giardini, area golenabile non balneabile) insuscettibili di generare per la concessionaria lucro o provento.

2.1 Secondo la ricorrente, una volta accolta – solo in relazione all’atto di concessione n. (OMISSIS) – la sua domanda volta a far dichiarare l’inapplicabilità dei nuovi criteri di determinazione dei canoni demaniali e confermando l’applicabilità dei predetti canoni all’atto di concessione n. (OMISSIS), la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata, relativa alla “riduzione del 90% di tali canoni in quanto ricognitori o, comunque, dei canoni relativi alle aree facenti parte delle concessioni demaniali adibite a bosco, strade e giardini retrostanti la spiaggia (per un totale di mq. 180.516) e alla golena non balneabile sita sulla foce del Tagliamento (per un totale di mq. 29.780) in applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251, punto 1, lett. d)”.

Così facendo, sarebbe incorsa in una palese violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, sancito dall’art. 112 c.p.c.

2.2. La lamentata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. non sussiste poichè la Corte d’Appello di Trieste non ha affatto omesso di pronunciare sulla domanda attorea subordinata.

Infatti, a pag. 12, ultimo capoverso e a pag. 13, si legge: “Inoltre, con attenzione al canone correlato, che l’appellante ritiene avere natura ricognitoria ex art. 39 c.n., comma 1, chiedendone l’immutabilità, ritiene la Corte che tale natura non solo non risulti per tabulas (mancando in convenzione un chiaro riferimento alla norma) ma che ad essa osti il disposto dell’art. 37, comma 2 del Reg. C.N., secondo il quale “Agli effetti dell’applicazione del canone, previsto dall’art. 39 cit. codice, comma 2 si intendono per concessioni che perseguono fini di pubblico interesse diversi dalla beneficenza quelle nelle quali il concessionario non ritrae dai beni demaniali alcun lucro o provento”. Nel caso di specie, è indubbio che gran parte delle opere realizzate sull’area concessa (stabilimenti balneari, cabine, servizi, bar) fossero produttive di reddito, i relativi servizi essendo offerti al pubblico “a tariffa” ciò esclude a proprio l’applicabilità al caso in esame dell’art. 39 c.n., comma 2″.

Ed ancora, la Corte triestina, al fine di escludere l’applicabilità della predetta lett. d), richiama la decisione di Cons. St., 12/3/2012, n. 1399, secondo la quale “il canone di mero riconoscimento non potrà essere riconosciuto nei casi in cui la ritrattazione di utili o proventi dell’attività derivi in modo diretto, indiretto e mediato (ma pur sempre con un nesso di strumentalità necessaria) dall’utilizzo del bene demaniale”, pertanto concludendo che, in assenza di prova contraria, il canone non poteva definirsi “ricognitorio”, la concessione doveva ritenersi rilasciata a scopo turistico-ricreativo, e il relativo canone doveva considerarsi unitaria ed unitario, non riconducibile all’ipotesi prevista dall’art. 39 c.n., comma 2.

2.3. Pertanto, a fronte di tale esplicita e motivata decisione, non è dato comprendere come possa la ricorrente dolersi del vizio di omessa pronuncia.

Giova, infatti, ricordare che costituisce vizio di omessa pronuncia l’omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda e su un’eccezione di parte o su un’istanza che richieda una statuizione di accoglimento o rigetto, tale da dare luogo all’inesistenza di una decisione sul punto per la mancanza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto, salva l’ipotesi in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie (Sez. 2, n. 12652 del 25/06/2020, Rv. 658279 – 01; Sez. 6 – 1, n. 15255 del 04/06/2019, Rv. 654304 – 01; Sez. 1, n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 – 01; Sez. 2, n. 20311 del 04/10/2011, Rv. 619134 – 01).

Anche il secondo motivo non è meritevole di accoglimento e, pertanto, il ricorso principale deve essere complessivamente rigettato.

3. La RFVG rivendica la tempestiva riattivazione del procedimento notificatorio da essa attuata con la seconda notifica del controricorso con ricorso incidentale eseguita con successo in data (OMISSIS)/10/2016 al domicilio eletto da SIL presso il suo difensore, avv. Roberto Paviotti, in (OMISSIS), dopo che la prima notificazione, richiesta in data 2/9/2016 allo stesso indirizzo, non aveva avuto esito positivo per irreperibilità del destinatario come da relata del 26/9/2016 dell’ufficiale postale procedente.

3.1. Nessuna contestazione è stata al proposito sollevata da SIL nè con il controricorso al ricorso incidentale, nè con le successive memorie.

3.3. La prima notificazione era stata richiesta tempestivamente il 2/9/2016.

La sentenza impugnata era stata pubblicata il 4/5/2016 e non era stata notificata.

Il ricorso di SIL è stato notificato alla RFVG il 24/6/2016 e il termine per proporre controricorso, tenuto conto della sospensione feriale, scadeva quindi sabato 3/9/2016, prorogato ex lege al 5/9/2016.

3.4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di “riattivazione” del procedimento notificatorio, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Sez. U, n. 17352 del 24/07/2009, Rv. 609264 – 01; Sez. 6 – 3, n. 24660 del 19/10/2017, Rv. 645929 – 01).

Sussiste inoltre nella fattispecie il necessario requisito della celere e tempestiva attivazione poichè il ricorrente ha lasciato decorrere solo 17 giorni fra il fallimento della prima notificazione e la richiesta della seconda ed ancor meno fra la restituzione del plico non notificato e la richiesta della seconda notificazione.

In proposito occorre riferirsi alla successiva decisione delle Sezioni Unite, n. 14594 del 15/07/2016 (Rv. 640441 – 01) secondo cui in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c. (cioè 30 giorni, nella fattispecie) salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa.

4. Con il ricorso incidentale la Regione FVG mira a far valere la ritenuta novità della domanda svolta da SIL nel giudizio di riassunzione (primo motivo) e il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in punto qualificazione del rapporto concessorio.

5. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente FVG denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 50 c.p.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione laddove la Corte di appello non ha considerato la novità della domanda svolta da SIL nel giudizio di riassunzione volta all’accertamento della natura turistico-ricreativa delle concessioni in atto.

5.1. La ricorrente incidentale osserva che sia il TAR sia il Consiglio di Stato, aditi in un primo tempo da SIL, avevano declinato la loro giurisdizione sulla base del rilievo che la questione sottoposta al loro esame concerneva solo ed esclusivamente aspetti di contenuto patrimoniale, relativi cioè all’applicabilità o meno dei nuovi canoni introdotti dalla L. n. 296 del 2006 anche alle concessioni stipulate prima della sua entrata in vigore. Invece, nessuna contestazione era stata mossa da SIL con riferimento alla natura della concessione in essere, vertendo la causa unicamente sulla corretta applicazione allo specifico rapporto concessorio dei poteri esercitati dall’Amministrazione regionale per la determinazione del canone.

Per tale ragione, il Consiglio di Stato aveva declinato la giurisdizione affermando che la controversia rientrava in quella del giudice ordinario, poichè l’allora appellante non aveva denunciato la scorretta qualificazione a monte del rapporto concessorio, ma, nella sostanza, solo l’erronea applicazione ratione temporis delle disposizioni legislative relative alla quantificazione dei canoni dovuti.

La RFVG contesta la decisione della Corte triestina, rilevando che nessuna eccezione era stata svolta dinanzi ai giudici amministrativi circa la natura non turistico-ricreativa delle concessioni e pertanto tale questione, introdotta per la prima volta nel giudizio riassunto dinanzi al giudice ordinario, rappresenterebbe una domanda nuova, come tale inammissibile.

5.2. Il motivo è infondato.

Come correttamente affermato nella sentenza impugnata, “dall’esame comparativo dei ricorsi amministrativi e dell’atto di citazione risulta evidente l’identità di petitum dei giudizi, considerato che in entrambi SIL ha chiesto l’accertamento della non applicabilità nei suoi confronti dei maggiori canoni pretesi dall’Amministrazione in applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251”.

Inoltre, se è vero che il processo iniziato davanti ad un giudice, che ha poi dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, e riassunto davanti al giudice dotato di giurisdizione, non costituisce un nuovo ed autonomo procedimento, ma rappresenta la naturale prosecuzione dell’unico giudizio inizialmente introdotto davanti al giudice carente di giurisdizione, non è men vero che nel passaggio da un regime prevalentemente impugnatorio (quale quello davanti agli organi amministrativi) ad un regime esclusivamente cognitivo (quale quello instaurato dinanzi al giudice ordinario) può essere necessario un adattamento del petitum.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero stabilito che l’atto che determina la prosecuzione del giudizio va diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la cui giurisdizione abbia o meno le medesime caratteristiche della prima. Pertanto, ove si passi da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio ad un giudizio esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa, l’atto di prosecuzione deve avere la forma di una riproposizione della domanda, stante il necessario adattamento del petitum; qualora, invece, il giudizio prosegua verso un giudizio con le medesime caratteristiche, l’atto di prosecuzione assume la forma di un atto di riassunzione, regolato dall’art. 125-bis disp. att. c.p.c. (Sez.Un. 21/4/2011 n. 9130; Sez.Un., 22/11/2010, n. 23596; da ultimo, Sez. Un. 26/10/2018, n. 27163).

Non è quindi possibile applicare rigidamente alla riproposizione della domanda i principi che valgono in tema di riassunzione ex art. 50 c.p.c. che esigono che la domanda resti cristallizzata nei medesimi termini della formulazione originaria. La legge infatti nel prevedere che “la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile”, legittima la parte ad apportare alla domanda originaria gli opportuni e necessari adattamenti, tesi a conformarla al rito proprio del giudice ad quem.

L’unicità del giudizio, dal quale discende la salvezza degli effetti della domanda originaria, riconosciuta dalla L. n. 69 del 2009, art. 59 in ottemperanza a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77/2007, sussiste, quindi, anche qualora la domanda non venga “riassunta” bensì “riproposta”, con le modifiche rese necessarie dalla diversità di rito e di poteri delle due giurisdizioni in rilievo.

Questa Corte ha altresì precisato che, in via di principio, nulla impedisce alla parte di formulare, al momento della prosecuzione, una nuova e distinta domanda, connessa con quella originariamente proposta. In tal caso l’atto di prosecuzione, oltre a produrre gli effetti di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 59 rispetto alla domanda originariamente formulata, avrà anche natura di atto introduttivo di un nuovo giudizio, limitatamente al diverso petitum e alla diversa causa petendi, sicchè detta autonoma domanda sarà ammissibile ma rispetto alla stessa, proprio perchè nuova, non potranno operare gli effetti che discendono dalla translatio (Sez. Un., 22/7/2016, n. 15223).

5.3. Nella specie, la Corte d’Appello si è conformata ai precedenti delle Sezioni Unite di questa Corte, ribadendo che, nel caso di riproposizione della prima domanda in un diverso “ambiente” processuale (non più quello amministrativo, caratterizzato da un regime prevalentemente impugnatorio, bensì quello ordinario, a regime esclusivamente cognitivo del rapporto) era ammissibile una emendatio della domanda con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile e pertanto tale riproposizione deve essere ragguagliata, nella sua idoneità, alla regola del giudice e del rito innanzi al quale il processo viene a continuare.

Ne consegue l’insussistenza della lamentata violazione dell’art. 50 c.p.c.

5.4. Inoltre il tema della qualificazione della natura della concessione (turistico- ricreativa o meno) è stato dedotto da SIL solo come presupposto del richiesto accertamento della non debenza dei più onerosi canoni introdotti dalla legge finanziaria del 2007, mentre il petitum sostanziale rimasto immutato, con efficacia quindi solo incidentale ex art. 34 c.p.c.

5.5. In tale prospettiva è il caso di ricordare la decisione n. 14612 del 17/6/2010 delle Sezioni Unite in un caso che pure riguardava canoni di concessione marittima.

In quella sede è stato dato rilievo al fatto che nel caso concreto la società ricorrente chiedeva solo di esaminare le condotte dell’amministrazione, cioè la richiesta e messa in mora di cui alla missiva relativa ai conguagli oggetto di causa, tutti determinabili automaticamente in base alle misure dei canoni predeterminate per legge, ai sensi del D.L. 5 luglio 1993, n. 400, contenente disposizioni per la determinazione dei canoni dovuti per le concessioni demaniali marittime, come modificato, in ordine ai criteri di liquidazione dei canoni stessi, dalla L. 27 febbraio 2006, n. 296, art. 1, comma 251; le Sezioni Unite hanno altresì rilevato che nulla cambiava in ordine alla automaticità dei criteri suddetti e all’assenza per essi di poteri autoritativi della P.A. per determinarne la misura fissata dalle norme e che nessuna disapplicazione o annullamento dei atti della P.A. era stata chiesta nel merito.

Tanto premesso, le Sezioni Unite hanno ritenuto che la controversia avesse natura meramente patrimoniale e si risolvesse con l’applicazione dei criteri automatici di cui alle norme di legge citate, mentre non modificava la giurisdizione la richiesta di natura incidentale e preliminare, di accertare il tipo della concessione già esistente con esame del provvedimento che la conteneva, comunque definitivo e non impugnabile, per potere, in relazione ad esso e al concreto tipo di atto concessorio, rilevare le tariffe da applicare, distintamente disciplinate dalla legge in rapporto ai diversi tipi di concessione, attraverso una delibazione in via meramente incidentale e al solo fine di liquidare correttamente quanto preteso dalla concedente.

6. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 1, la ricorrente RFVG denuncia difetto di giurisdizione, laddove la Corte, affermando la natura turistico-ricreativa della concessione (OMISSIS) e per tale ragione dichiarando inapplicabile alla stessa la L. n. 494 del 1993, art. 3 avrebbe esorbitato dalla propria giurisdizione, poichè la valutazione circa la qualificazione del rapporto concessorio è riservata alla giurisdizione amministrativa.

6.1. Il motivo può essere esaminato da questa Sezione, senza devoluzione ex art. 374 c.p.c. alle Sezioni Unite poichè la proposizione della questione di giurisdizione è preclusa dal giudicato formatosi per effetto della pronuncia del Consiglio di Stato inter partes.

Si tratta quindi di pronunciarsi non già sulla questione di giurisdizione ma sull’inammissibilità del motivo che la denuncia.

6.2. La sentenza impugnata ha correttamente affermato che qualsiasi questione di giurisdizione (sollevata dalla ricorrente incidentale già nel corso del primo e del secondo grado di giudizio) era da ritenersi inammissibile poichè la sentenza resa dal Consiglio di Stato in quello stesso giudizio aveva acquisito valore di giudicato.

6.3. Il Consiglio di Stato aveva evidenziato come il ricorso introduttivo della SIL aveva ad oggetto, sin dall’inizio, l’individuazione della normativa applicabile in ordine alla determinazione del canone per il godimento di concessioni demaniali ad uso turistico di lunga durata ed alla conformità alla Costituzione ed alla normativa comunitaria della normativa invocata dall’Amministrazione, se applicabile.

La SIL ha infatti contestato l’erronea applicazione ratione temporis delle disposizioni legislative relative alla quantificazione dei canoni dovuti (L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 250-257) e non ha denunciato la scorretta qualificazione a monte del rapporto concessorio.

Giova ricordare che, alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle controversie in materia di indennità, canoni e altri corrispettivi aventi un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere d’intervento della p.a. a tutela di interessi generali. Allorquando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell’azione autoritativa dell’Amministrazione sull’intera economia del rapporto sottostante, ovvero investa l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull’an che sul quantum), la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (ex plurimis, Sez. Un., (OMISSIS)/1/2007, n. 411; Sez. Un., 23/10/2006, n. 22661).

Conseguentemente, tenuto conto dell’insegnamento giurisprudenziale ora richiamato, qualora – avuto riguardo al quadro normativo di riferimento e al periodo considerato – non sia ravvisabile un potere discrezionale affidato all’Amministrazione concedente, la relativa controversia riguardante la debenza o il quantum del canone concessorio deve considerarsi attinente a diritti soggettivi di natura patrimoniale e, pertanto, devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.

Se, al contrario, la determinazione della misura del canone non consegue all’applicazione di criteri predeterminati, ma presuppone la corretta qualificazione del rapporto concessorio, viene in rilievo l’esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione; l’eventuale controversia rientra quindi nella giurisdizione dell’Autorità giurisdizionale amministrativa.

In altri termini, la controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo se, nell’ambito del petitum sostanziale prospettato nel ricorso, sia richiesto o meno per la risoluzione della controversia un sindacato sui poteri esercitati dall’Amministrazione in seno al rapporto concessorio, sicuramente precluso al giudice ordinario. Laddove non vengano in discussione tali poteri, ma si controverta solo in ordine alla individuazione di quale sia la disciplina di determinazione del canone in relazione allo specifico atto di concessione, il giudice è chiamato ad un’attività meramente accertativa del presupposto del canone, rientrante, come tale, nell’orbita di giurisdizione del giudice ordinario.

6.4. Nel caso di specie, sebbene la domanda relativa alla natura turistico-ricreativa delle concessioni in questione aveva comportato un adattamento del petitum, nessuna disapplicazione o annullamento degli atti della P.A., era stato richiesto nel merito, per cui la controversia ha avuto e continua ad avere natura meramente patrimoniale (Sez. Un. 11/8/2001, n. 7861), risolvendosi con l’applicazione dei criteri automatici di cui al D.L. n. 400 del 1993 come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 251 non modificando la giurisdizione la richiesta, di natura preliminare ed incidentale, di accertare il tipo di concessione già esistente.

In altri termini, l’accertamento compiuto dalla Corte triestina circa il tipo di atto concessorio in concreto rilevante ha avuto il solo fine di identificare le tariffe applicabili, distintamente disciplinate dalla legge in rapporto ai diversi tipi di concessione, non coinvolgendo l’esercizio dei poteri, autoritativi o discrezionali, della Pubblica amministrazione espressi nella concessione da cui ha avuto origine il rapporto patrimoniale da accertare, della quale è stata chiesta solo la lettura, per chiarire la natura del provvedimento concessorio, e non una sentenza che lo modifichi o lo annulli o lo disapplichi.

6.5. Ne consegue l’assoluta preclusione alla proponibilità di eccezioni in punto sussistenza della giurisdizione sul rapporto controverso.

Il giudicato interno formatosi sulla giurisdizione copre infatti il dedotto e il deducibile ed è pertanto indifferente sia agli opportuni adattamenti della domanda consentiti ai fini della sua riproposizione in diverso “ambiente” giurisdizionale, sia alla richiesta di un accertamento incidentale sulla natura della concessione, preordinato alla corretta risposta sulla domanda circa l’applicabilità nella fattispecie degli aumenti del canone della concessione demaniale marittima, devoluta al giudice ordinario.

6.6.In conclusione, deve ritenersi che la sentenza declinatoria della giurisdizione resa dal Consiglio di Stato (n. 7942/2009), una volta acquistata autorità di cosa giudicata anche nel processo successivamente riassunto dinanzi al giudice ordinario, oltre ad investire ciò che forma l’oggetto e la causa giuridica del giudizio (determinazione dei canoni demaniali e applicabilità della nuova disciplina contenuta nella legge finanziaria 2007), estenda i suoi effetti a tutte le statuizioni, anche implicite, che della decisione finale costituiscono dei punti obbligati di passaggio, rappresentandone il presupposto logico-indispensabile (giudicato implicito).

Ne deriva l’impossibilità per le parti di contestare la giurisdizione, accertata con effetti di cosa giudicata, anche nelle successive controversie instaurate fra le medesime e fondate sullo stesso rapporto, oltre che ovviamente e a fortiori nell’ambito dello stesso giudizio.

Le Sezioni Unite hanno più volte affermato il passaggio in giudicato di una pronuncia del giudice ordinario o del giudice amministrativo recante statuizioni sul merito di una pretesa riferita ad un determinato rapporto estende i suoi effetti al presupposto della sussistenza della giurisdizione di quel giudice su detto rapporto, a prescindere da un’esplicita declaratoria in tal senso, sicchè le parti non possono più contestarla nelle successive controversie tra le stesse, fondate sul medesimo rapporto ed instaurate davanti ad un giudice diverso, in quanto il giudicato esterno ha la medesima autorità di quello interno, perseguendo entrambi il fine di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e di garantire la stabilità delle decisioni (Sez. U, n. 22745 del 27/10/2014, Rv. 632840 – 01; Sez. U, n. 3188 del 03/07/1989, Rv. 463285 – 01; Sez. U, n. 11912 del 28/05/2014, Rv. 630828 – 01; Sez. U, n. 29531 del 18/12/2008, Rv. 606071 – 01).

7. Entrambi i ricorsi, principale e incidentale, debbono venir rigettati.

Le spese debbono venir compensate sia nel rapporto fra ricorrente principale e ricorrente incidentale, in ragione della reciproca soccombenza provocata dal rigetto delle impugnazioni contrapposte, ma anche nel rapporto fra ricorrente principale e controricorrente Agenzia del Demanio, in ragione della novità e complessità delle questioni trattate, sulle quali non constano precedenti specifici di questa Corte.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale S.I.L. s.p.a. e della ricorrente incidentale Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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