Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29771 del 12/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 29771 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

ORDINANZA

sul ricorso 9614-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso
lo studio dell’Avvocato DAMIANO LIPANI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
3376

SORTINO IVAN;
– intimato –

avverso la sentenza n. 2348/2012 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 04/04/2012 R.G.N. 6804/2010.

Data pubblicazione: 12/12/2017

R.G. 09614/2013

RILEVATO
1.

Con la sentenza del 4.4.2012 la Corte di appello di Roma

dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato tra le Poste e Sortino Ivan dal 14.3.2002

e

condannava le Poste a versare le retribuzioni liquidate ex art. 32 L. n.

sintesi, l’illegittimità della clausola di apposizione del termine al detto
contratto stipulato con l’appellata in quanto il contratto aveva
richiamato una serie di Accordi di riorganizzazione aziendale ma da
parte delle Poste non era stata offerta la prova che l’assunzione della
lavoratrice fosse avvenuta

relazione ai detti

in

processi

riorganizzativi. La prova richiesta era del tutto generica non
consentendo di accertare il nesso tra la concreta assunzione e le
complesse vicende riorganizzative delle Poste con riferimento
all’Ufficio ove la lavoratrice era stata impiegata.
2.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società

Poste Italiane con tre motivi; la parte intimata non si è costituita.
CONSIDERATO
3. che il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione
dell’art. 1372 cod. civ. comma primo: il rapporto si era sciolto per
mutuo consenso.
4. che il motivo appare infondato in virtù di considerazioni già
espresse da questa Corte, con le quali si è rilevato nel senso che “nel
giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai
scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per
mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso
di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a
termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali
circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle
1

183/2001 in quattro mensilità. La Corte territoriale rilevava, in

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parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo e che la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n.

11-12-2001 n. 15621). Tale principio va enunciato anche in questa
sede, rilevando, inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul
datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso,
l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà
chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070). Nella specie la
Corte d’Appello ha accertato l’insufficienza di elementi in base ai
quale ritenere che il rapporto si fosse sciolto per mutuo consenso al di
fuori del mero decorso del termine come tale insufficiente: la
motivazione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte.
5. che con il secondo motivo si deduce la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 1 comma D. Lgs n. 368/2001 e dell’art. 2697
cod. civ. La sussistenza delle ragioni, tecniche, organizzative
produttive o sostitutive di cui al decreto n. 368/2001 potevano
essere ricostruire indirettamente in base all’indicazione nel contratto
degli Accordi che disciplinano i processi di ristrutturazione aziendale
delle Poste.
6. che il motivo appare infondato. Va premesso che il contratto è
stato stipulato “ai sensi della vigente normativa, per esigenze
tecniche, organizzative produttive anche di carattere straordinario
conseguenti a processo di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più
funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti
da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione di
nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione delle
previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11.12 2001 e 11
2

26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass.

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gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”. Ora la giurisprudenza di
questa Corte ha ritenuto necessario in fattispecie del tutto analoghe
in cui è applicabile il decreto n. 368/2011 che – di fronte ad una
complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione
dell’apposizione del termine – l’esame del giudice di merito deve

contratto allo scopo di acclararne l’effettiva sussistenza, ivi
ricomprendendo l’analisi degli accordi collettivi indicati al contratto (v.
Cass. 2279/ 2010; Cass. n. 8296/2012). La sentenza impugnata
tuttavia non ha violato tale orientamento del Giudice di legittimità
procedendo ad una valutazione di merito di detti Accordi ( e della
ragione sostitutiva) e delle prove e delle allegazioni offerte dalle Poste
circa il fatto che effettivamente l’assunzione dell’intimata fosse
avvenuta per sopperire alle esigenze di ordine produttivo e
organizzativo indicate negli Accordi. La Corte di appello ha verificato
nel merito che tali Accordi e le prove offerte dalle Poste non
comprovano il nesso tra le esigenze degli accordi, l’assunzione della
lavoratrice e l’attività svolta da quest’ultima nell’Ufficio ove ha
operato.
•che con il terzo motivo si allega la violazione dell’art. 5 D. Lgs. n.
368/2001, dell’art. t. 12 disp. legge in generale, dell’ar. 1362 e ss.
cod. civ. e l’omessa e contraddittoria motivazione circa un punto
controverso e decisivo per il giudizio: la nullità della clausola non
determinava la conversione del contratto
S’-che il motivo è infondato. L’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, anche
anteriormente alla modifica introdotta dall’art. 39 della legge n. 247
del 2007, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto
di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato,
costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel
sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale
legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere
3

estendersi a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal

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tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di
insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza
di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette
ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del
contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché

delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il
richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel
rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del
1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità
della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale
relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato (cfr. Cass 21.5.2008 n. 12985).Pertanto va
rigettato il ricorso: nulla spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228,
deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM
Rigetta il ricorso: nullafrspese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel
testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma il 20.7.2017
Il Presidente

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Il Consigliere est.

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alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro

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