Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29770 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. I, 29/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 29/12/2020), n.29770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 8147/2016 r.g. proposto da:

(OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, (p. iva (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del liquidatore Dott.ssa D.V.T.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’Avvocato Stefano Pucci, presso il cui studio

elettivamente domicilia in Roma, alla via Orazio n. 30;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei curatori

Dott.ssa L.S. e Dott. P.R., rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso,

dagli Avvocati Pietro Adami, Gianluca Minniti ed Enrico Troianiello,

con cui elettivamente domicilia presso lo studio del primo in Roma,

al Corso d’Italia n. 97;

– controricorrente –

e

UNES MAXI S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, Dott.

G.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a

margine della pag. 3 del controricorso, dall’Avvocato Corrado

Camisasca, con cui elettivamente domicilia in Roma, al Viale Giulio

Cesare n. 78, presso lo studio dell’Avvocato Costantino Bucci;

– controricorrente –

nonchè

B.R., (cod. fisc. (OMISSIS)), e R.G., (cod.

fisc. (OMISSIS)), quali commissari giudiziali del concordato

preventivo di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione; BANCA POPOLARE DI

MILANO S.C.A R.L., (p. iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore; I.V.S. ITALIA S.P.A.,

(p. iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore; PROCURA DELLA REPUBBLIA PRESSO IL

TRIBUNALE DI MONZA; PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA

CORTE DI APPELLO DI MILANO;

– intimati –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MILANO depositata il

28/01/2016;

udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del

giorno 30/09/2020, dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. De

Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avv. S. Pucci, che ha chiesto accogliersi

il proprio ricorso;

udito, per il controricorrente Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in

liquidazione, l’Avv. P. Adami, che ha chiesto rigettarsi l’avverso

ricorso;

udito, per la controricorrente Unes Maxi s.p.a., l’Avv. C. Camisasca,

che ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione (d’ora in avanti, esclusivamente (OMISSIS) s.r.l.) ricorre per cassazione, affidandosi a sei motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano depositata il 28 gennaio 2016, n. 290, reiettiva del reclamo dalla stessa promosso contro la pronuncia del proprio fallimento resa dal Tribunale di Monza l’1/10 luglio 2015, previa declaratoria di inammissibilità della sua domanda di concordato preventivo. Resistono, con distinti controricorsi, la curatela fallimentare e la creditrice Unes Maxi s.p.a., mentre sono rimasti solo intimati i commissari giudiziali B.R. e R.G., la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, la Procura Generale presso la Corte di appello di Milano, la Banca Popolare di Milano s.p.a. e la I.V.S. Italia s.p.a.. La sola Unes Maxi s.p.a. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

1.1. Per quanto qui di interesse, ed in estrema sintesi, la corte distrettuale: i) ha respinto il primo motivo di reclamo, con cui si era lamentato il mancato raggiungimento della maggioranza delle classi per effetto di una modificazione del voto da parte della Banca Popolare di Milano, limitatamente al valore del proprio credito chirografario, a seguito dell’iniziativa intrapresa dai commissari ex L. Fall., art. 179. Secondo quella corte, l’operato del tribunale doveva considerarsi corretto, atteso che erano mutate le condizioni di fattibilità del concordato successivamente allo svolgimento dell’adunanza dei creditori ed alla chiusura delle operazioni di voto e tale mutamento era stato puntualmente evidenziato dai commissari; ii) ha disatteso il secondo motivo, che aveva censurato l’ammissione al voto della Unes Maxi s.p.a., che, invece, avrebbe dovuto essere estromessa in quanto il suo credito doveva considerarsi postergato e perchè, anche ove così non fosse stato, la proposta concordataria aveva comunque previsto l’integrale soddisfacimento del suo credito. Ad avviso della corte milanese, infatti, seppure il credito vantato da Unes Maxi s.p.a. fosse stato di natura postergata e tale natura oggetto di contestazione, la creditrice doveva essere ammessa al voto in conformità dell’insegnamento della indicata giurisprudenza di legittimità. La medesima corte ha altresì rilevato, in merito all’asserita totale soddisfazione del credito della Unes Maxi s.p.a., che, ai fini della valutazione circa la legittimità dell’ammissione del creditore al voto, occorreva verificare la provenienza delle risorse: invero, “nel caso in cui le risorse provengano da terzi, anche i creditori privilegiati sarebbero legittimati al voto per la parte degradata al chirografo per incapienza del patrimonio. In tale ipotesi, e cioè per la parte incapiente, i creditori restano comunque chirografari ed hanno diritto al voto anche se ne è previsto, per effetto della finanza esterna, il pagamento integrale; questo perchè il diritto di voto spetta ai chirografari indipendentemente dal trattamento loro riservato dal proponente”; iii) ha considerato superfluo l’esame delle ulteriori doglianze prospettate, tramite reclamo incidentale condizionato, dalla Unes Maxi S.p.A. relative alla carenza dei requisiti per l’omologazione del concordato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 179 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, nella parte in cui la corte distrettuale aveva ritenuto che le modifiche al concordato che assumevano rilievo ai fini della L. Fall., art. 179 erano solo quelle negative e non anche quelle positive;

II) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 179 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, laddove quella corte aveva opinato che i fatti indicati nella relazione L. Fall., ex art. 179 fossero “nuovi” ed idonei a consentire il mutamento del voto da parte dei creditori;

III) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 179 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere il giudice a quo sostenuto che i fatti “nuovi” rimarcati nella relazione dei commissari L. Fall., ex art. 179 consentissero di ritenere mutate le condizioni di fattibilità del piano, in carenza di qualsivoglia indicazione, nella medesima relazione, circa l’impatto di quegli stessi fatti sul raggiungimento dello scopo concreto del concordato preventivo di Sadas;

IV) “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 179 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, per essersi omesso di considerare (i) l’effettiva attuazione del business plan, (ii) la sussistenza e consistenza di cassa al 30.4.2015, nonchè (iii) l’effetto potenzialmente estintivo delle possibili compensazioni operabili da Gima tra crediti e debiti tributari;

V) “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 179, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, alla luce dei principi interpretativi dettati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1521/2013”. Si ascrive alla corte milanese, chiamata a valutare la sussistenza delle “mutate condizioni di fattibilità del piano”, di avere, invece, inammissibilmente operato una valutazione sulla fattibilità economica della proposta concordataria, così contravvenendo a quanto sancito dalla menzionata decisione della Suprema Corte;

VI) “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 177 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si assume che la Unes Maxi s.p.a., che, con il proprio voto negativo, aveva determinato il mancato raggiungimento della maggioranza delle classi, non avrebbe avuto diritto al voto perchè il piano di concordato ne prevedeva la soddisfazione integrale con risorse, in parte, della proponente il concordato (nella misura del 27%) e, per il resto, di terzi (cd. finanza esterna).

2. Il primo motivo è complessivamente inammissibile.

2.1. Posto, infatti, che L. Fall., ex art. 179, comma 2, (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 33, lett. d-ter), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 e qui applicabile ratione temporis), “Quando il commissario giudiziale rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’art. 180 per modificare il voto”, l’odierna doglianza si rivela inammissibile per difetto di interesse, in quanto l’interpretazione della disposizione suddetta fornita dalla corte distrettuale, giusta od errata che sia, è ininfluente sul capo della decisione impugnato, che si fonda sull’accertamento di fatto che la nuova relazione dei commissari informava del peggioramento delle condizioni di fattibilità.

2.2. Laddove, poi, nella seconda parte del motivo, la ricorrente lamenta che la medesima corte non avrebbe tenuto conto delle circostanze migliorative da essa evidenziate nella memoria di replica alla relazione dei Commissari, la corrispondente censura, da ricondurre all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è parimenti inammissibile.

2.2.1. Invero, il menzionato articolo, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 28 gennaio 2016), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio: nella specie, affermare solo in una memoria la sussistenza di determinati fatti non significa che gli stessi siano stati dibattuti fra le parti, e, soprattutto, che siano documentati, nè viene compiutamente illustrata la loro decisività rispetto alle diverse circostanze su cui la corte milanese ha basato la propria valutazione.

2.3. A tanto deve soltanto aggiungersi che, come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il riportato L. Fall., art. 179, comma 2 espressamente consente ai creditori di opporsi all’omologazione del concordato, modificando il proprio voto, ove il commissario abbia evidenziato sopravvenienze, evidentemente negative, in grado di pregiudicare la fattibilità del concordato (cfr. Cass. n. 9011 del 2018).

3. Il secondo motivo è, per come concretamente argomentato, inammissibile.

3.1. Invero, è utile ricordare che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

3.2. Orbene, benchè sia innegabile che i mutamenti delle condizioni di fattibilità che legittimano la modifica del voto del creditore devono essere non solo nuovi rispetto a quanto emerso in precedenza, ma anche significativi, tali, cioè, da incidere sulla fattibilità della proposta approvata ai sensi della L. Fall., art. 177, la doglianza in esame, però, si risolve, (attraverso la riproduzione, alle pagine 18 e ss., 20 e 21 del ricorso, rispettivamente, della relazione L. Fall., ex art. 172, dell’integrazione del 14 marzo e della comunicazione L. Fall., ex art. 179), sostanzialmente, in una critica all’accertamento fattuale operato dal giudice a quo, peraltro compiutamente e congruamente motivato, in ordine alle ragioni che hanno fondato l’affermazione di quel giudice circa il carattere della “novità” dei fatti evidenziati nella relazione L. Fall., ex art. 179, comma 2, dei commissari giudiziali (e della conseguente responsabilità della debitrice), cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è detto – non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

3.3. In applicazione dei suesposti principi, allora, va rimarcato che la corte distrettuale è giunta alla conclusione che “nel caso in esame, non può dubitarsi che, rispetto alla relazione L. Fall., ex art. 172, i commissari, con la comunicazione L. Fall., ex art. 179, avevano non solo ripercorso criticità già segnalate, ma evidenziavano due fatti sicuramente nuovi corrispondenti al mancato raggiungimento dei ricavi sulla base dei dati del primo quadrimestre e l’incremento del debito previdenziale e tributario. Sul punto la Corte richiama le argomentazioni svolte sia dai commissari sia dal fallimento ai quali si riporta ritenendole completamente esaustive e soprattutto fondate su dati oggettivi non suscettibili di interpretazione diversa rispetto a quella dai medesimi forniti. A tale ultimo proposito la Corte osserva che il mancato pagamento dei tributi e delle ritenute previdenziali, lungi dal potere esser un comportamento positivamente valutabile sol perchè la società aveva, al fine di rientrare dall’esposizione, da un lato chiesto e ottenuto di rateizzare il debito accertato e dall’altro di intervenire attraverso il ravvedimento operoso: tali espedienti, che, comunque, sono dimostrativi dell’esistenza di un debito e quindi del suo mancato assolvimento nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge, comportano un’esposizione per interessi e sanzioni che possono incrementare il debito anche esponenzialmente e la previsione di una sorta di risparmio rispetto al pagamento ricorrendo al credito bancario si attesta in termini di assoluta aleatorietà. Anche il mancato pagamento di Euro 3.500.000,00 perdurante fino all’udienza fissata per l’omologazione, pur essendo elemento già rilevato era definitivamente consacrato quale inadempimento di Gima alle condizioni previste dal piano e si era cristallizzato, così, costituendo un dato peggiorativo rispetto alle previsioni” (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata).

3.3.1. La corte milanese, dunque, ha ampiamente descritto gli elementi istruttori che l’hanno portata a quella conclusione, ed il corrispondente accertamento integra una valutazione fattuale, a fronte della quale la società ricorrente, con il motivo in esame, tenta, sostanzialmente, di opporre una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. ex multis, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3.4. Da ultimo, e per intuibili ragioni di completezza, non può che condividersi l’assunto del sostituto procuratore generale che, nella sua requisitoria scritta, ha pure evidenziato l’infondatezza della doglianza “perchè la relazione del team commissariale e la sua integrazione del 14.3.2015, in quanto antecedenti, non prendono (nè potevano prendere) in considerazione i ricavi a consuntivo del primo quadrimestre 2015, dal cui esame la Corte ha ritenuto di trarre l’esistenza di fatti nuovi giustificanti lo ius variandi previsto dalla L. Fall., art. 179. Nè quella relazione poteva tener conto dell’incremento successivo dei debiti tributari e previdenziali”.

4. Il terzo motivo di ricorso è anch’esso insuscettibile di accoglimento.

4.1. La (OMISSIS) s.r.l. prospetta un ulteriore profilo di violazione della L. Fall., art. 179, comma 2, sul presupposto che “quand’anche si volessero ritenere le circostanze dedotte nella relazione L. Fall., ex art. 179 come fatti sopravvenuti (…) i commissari in nessun passo dell’informativa L. Fall., ex art. 179, hanno indicato l’incidenza di dette circostanze in ordine al raggiungimento dello scopo concreto del concordato e neanche nella parte motiva della sentenza quivi impugnata sì rinviene alcun riferimento dell’incidenza di dette circostanze sul raggiungimento dell’obiettivo concreto del concordato fatta eccezione per un sibillino dato peggiorativo rispetto alla previsioni” (cfr. pag. 25 del ricorso).

4.1.1. In particolare, secondo la menzionata società: i) la “paventata rilevante mutazione assunta dalla Corte d’Appello”, che avrebbe legittimato la nuova espressione di voto da parte del ceto creditorio, risulterebbe inidonea a determinare un inadempimento della proposta, atteso che la stessa si fonda su flussi in parte derivanti dalla gestione caratteristica della controllata Gima nell’arco di un quinquennio, e non potrebbe farsi assurgere a dato rilevante il risultato di un quadrimestre; ii) il ritardo nel pagamento da parte di Gima non potrebbe assurgere a grave ed essenziale inadempimento, a meno che non fosse dimostrata l’assoluta e certa impossibilità per quest’ultima di potervi provvedere entro un lasso temporale utile a far fronte agli impegni concordati assunti con i creditori; iii) la corte distrettuale, anche in totale assenza di rappresentazione del reale impatto delle circostanze allegate sul raggiungimento dello scopo del piano, ha ritenuto di assegnare ai fatti indicati dai commissari la valenza di cui alla norma in parola (L. Fall., art. 179), ampliando illegittimamente la portata della stessa, fino a farvi rientrare qualsivoglia variazione rispetto a quanto previsto nel piano.

4.2. Ad avviso di questo Collegio, invece, è innegabile l’incidenza negativa dei fatti “nuovi” segnalati dai commissari sul raggiungimento dell’obiettivo concordatario, avendo la diminuzione dei ricavi, rispetto alla previsione, e l’incremento dei debiti tributari e previdenziali un riflesso ragionevolmente negativo sulla realizzazione della causa concreta del concordato. Di tanto, del resto, dà espressamente atto la corte milanese laddove, da un lato, considera i fatti “nuovi” come negativi e, in quanto tali, rilevanti ai fini della L. Fall., art. 179 (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata), e, dall’altro, discorre di dato “peggiorativo rispetto alle previsioni” (cfr. la successiva pag. 13). Peraltro, già prima i commissari, nel procedere con la comunicazione L. Fall., ex art. 179, avevano ritenuto che quei fatti potessero minare la fattibilità del concordato, e ciò nel pieno rispetto della legge in quanto, come chiarito da Cass., SU, n. 1521 del 2013, ove espresso da parte dei creditori un giudizio positivo in ordine alla fattibilità del piano e mutate le condizioni rappresentate rispetto alle previsioni originarie per eventi non riconducibili a dolose o colpose omissioni del debitore, l’intervenuta modifica della L. Fall., art. 179 impone al commissario giudiziale la comunicazione del relativo avviso ai creditori, ai fini di una loro eventuale costituzione nel giudizio di omologa per l’eventuale modifica del voto precedentemente espresso.

4.3. In altri termini, è indubbio che la corte suddetta abbia esaminato in modo approfondito l’operato dei commissari ed il valore dei fatti da loro segnalati al ceto creditorio ai fini del giudizio di fattibilità della proposta, nonchè sufficientemente e coerentemente giustificato la propria decisione sulla circostanza che i commissari, rispetto alla relazione L. Fall., ex art. 172, avevano evidenziato due fatti sicuramente nuovi (il mancato raggiungimento, da parte della controllata Gima, dei ricavi sulla base dei dati del primo quadrimestre e l’incremento del debito previdenziale e tributario), per poi giungere alla condivisione delle argomentazioni dei commissari e della curatela fallimentare, ritenute “esaustive e, soprattutto, fondate su dati oggettivi, non suscettibili di interpretazione diversa rispetto a quella dai medesimi fornita” (cfr. pag. 13 della sentenza predetta). Essa, dunque, ha valutato l’impatto che il mancato raggiungimento dei ricavi e l’aumento dei debiti previdenziali e tributari avrebbero avuto in relazione alla fattibilità del piano, opinando nel senso che tali elementi potessero legittimare i creditori ad esercitare il diritto di modifica del voto.

4.3.1. Quanto finora esposto evidenzia, allora, come la censura in esame, volgendo l’oggetto della propria analisi all’incidenza delle circostante suddette in ordine al raggiungimento dello scopo del concordato, sostanzialmente sollecita questa Suprema Corte ad una nuova valutazione nel merito dell’intera vicenda processuale: indagine, però, inammissibile nella presente sede di legittimità.

5. Il quarto motivo, dichiaratamente proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile, benchè non sotto il profilo, prospettato da entrambe le parti controricorrenti, del limite di cui all’art. 348-ter c.p.c..

5.1. Invero, in relazione a quest’ultimo, come affatto condivisibilmente precisato da Cass. n. 5520 del 2017 (che, sullo specifico punto, ha superato il precedente contrario espresso da Cass. n. 1341 del 2016), la portata restrittiva del diritto di difesa, di cui la facoltà di impugnazione è declinazione positiva, esige una lettura circoscritta dell’art. 348-ter c.p.c. al solo appello, e cioè ad un giudizio a cognizione piena connotato da vincoli di riesame cui assolvono le disposizioni di cui agli artt. 342,345 e 346 c.p.c., secondo un contesto di possibile e filtrato doppio grado sulle stesse prove. Ora, il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento è giudizio che prosegue un accertamento a cognizione piena, benchè speciale, che, però, non solo non si sovrappone all’appello del codice di rito (come, anche denominativamente, chiarito dal D.Lgs. n. 169 del 2007), ma nemmeno di quello prevede le medesime cadenze, a cominciare dall’effetto devolutivo peculiare che lo connota: così, una parte che non si sia costituita avanti al tribunale anche per determinazione volontaria (come il debitore dichiarato fallito) o per assenza di previsione istituzionale dell’organo (come il curatore reclamato) o per insorgenza di una legittimazione posta dalla legge (come l’interessato, ai sensi della L. Fall., art. 18, comma 1) ben può introdurre fatti nuovi, assenti dal dibattito avanti al primo giudice ed idonei anche a sovvertire la prima decisione (cfr. Cass. n. 12964 del 2016; Cass. n. 6835 del 2014; Cass. n. 6306 del 2014; Cass. n. 9174 del 2012; Cass. n. 22546 del 2010). Il che permette di osservare che solo la disciplina compiuta dell’appello di cui agli artt. 339 c.p.c. e ss. è destinata ad ospitare la regola di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, la cui portata eccettuativa rispetto al potere di impugnazione ulteriore è non casualmente esclusa, ed ancora in modo espresso, con riguardo a casi ancora di appello, quali descritti all’art. 348-bis c.p.c., comma 2 (e nei limiti del rinvio). Non possono, dunque, essere confusi la natura di sentenza della decisione di fallimento, e della sua conferma assunta con analoga decisione della corte d’appello, la sua idoneità a passare in giudicato ovvero l’acquisita (con la riforma) maggior pienezza del contraddittorio processuale (su cui, peraltro, la specialità d’instaurazione ai sensi della L. Fall., art. 15 permette di rilevare zone di accelerazione e semplificazione non riscontrabili nel rito civile ordinario), con gli elementi sufficienti a permeare la più convincente immunità dell’area applicativa dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, oltre il perimetro testuale ivi definito, in ogni caso non estensibile all’accertamento, per quanto ripetuto e conforme, sui fatti del fallimento. Neppure è ipotizzabile, infine, un’applicazione anche solo analogica di quella disciplina, posto che mancherebbe l’identità di ratio che in generale giustifica l’applicazione analogica di norme: infatti, altro è l’appello disciplinato dal codice di procedura, altro, invece, il reclamo compiutamente disciplinato dalla L. Fall., art. 18, al quale, del resto, come innanzi detto, la giurisprudenza di questa Corte attribuisce un effetto devolutivo diverso da quello proprio dell’appello (cfr., ex aliis, Cass. n. 8227 del 2012 e Cass. n. 12964 del 2016).

5.2. Fermo quanto precede, giova ricordare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (formalmente invocato dalla (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione con la doglianza in esame), nel testo, indicato in precedenza, qui applicabile, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

5.3. Posta, allora, la necessità di un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che la prima, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, e ribadito che il mancato esame di elementi probatori può dar luogo al vizio in esame solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr. Cass. n. 21223 del 2018), l’odierna doglianza della (OMISSIS) s.r.l. si rivela inammissibile perchè alcunchè la medesima ricorrente ha specificamente argomentato circa la “decisività” delle circostanze il cui esame sarebbe stato asseritamente omesso, nulla essendosi dedotto circa il fatto che laddove le circostanze ivi invocate (il contenuto della memoria di replica rimessa ai commissari il 5 maggio 2015, in cui (OMISSIS) s.r.l. evidenziava come il business plan stava trovando attuazione, eccezion fatta per l’incremento atteso dall’attuazione del piano marketing, non posto in esecuzione in ragione della incertezza in cui versava la procedura concordataria; la sussistenza e la consistenza di cassa al 30 aprile 2015, pari ad Euro 2.200.000,00, cui si sarebbero dovuto aggiungere circa Euro 1.000.000,00 per crediti maggioritariamente riferiti a società che gestivano buoni pasto e, a detta di (OMISSIS) s.r.l., solvibili e di immediata esigibilità a vantaggio dei flussi finanziari; la descritta compensazione operabile dalla controllata Gima tra debiti e crediti tributari) fossero state esaminate, esse sicuramente avrebbero invalidato l’efficacia delle altre circostanze (i cd. fatti nuovi) poste a fondamento della decisione. Il tutto, peraltro, senza dimenticare che, come si è già precisato scrutinandosi il primo motivo, affermare solo in una memoria la sussistenza di determinati fatti non significa che gli stessi siano stati dibattuti fra le parti, e, soprattutto, che siano documentati. La doglianza, quindi, si risolve nel tentativo, evidentemente inammissibile, di trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6. Il quinto motivo, che ascrive alla corte di appello – sollecitata a controllare la sussistenza delle “mutate condizioni di fattibilità del piano” – di aver illegittimamente esercitato una valutazione sulla fattibilità economica del concordato, è infondato.

6.1. Giova premettere, invero, che, alla stregua della L. Fall., art. 179, comma 2, il giudice, nel ponderare il mutamento delle condizioni di fattibilità del piano ai fini dell’ammissibilità dello ius variandi previsto da detta norma, deve necessariamente verificare l’idoneità di tale mutamento ad incidere negativamente sulla causa concreta del concordato, atteso che soltanto in quel caso è ammissibile da parte dei creditori, chiamati appunto a valutare la fattibilità economica del concordato, l’esercizio dello ius variandi (cfr. Cass. n. 20892 del 2019).

6.2. Nella specie, allora, è sufficiente considerare che la corte suddetta: i) innanzitutto, ha effettuato un’analitica ricostruzione dell’operato dei commissari ed un compiuto esame dei contenuti della comunicazione da questi ultimi inoltrata ai creditori ai sensi della L. Fall., art. 179, comma 2; ii) successivamente, ha congruamente e logicamente motivato il perchè, nella fattispecie sottoposta al suo esame, fossero stati pienamente integrati i presupposti previsti dall’appena citato articolo della legge fallimentare per consentire al ceto creditorio di esercitare il proprio diritto di modifica del voto, senza sostituirsi ad esso nel giudizio sulla fattibilità economica del piano.

6.3. Da ultimo, ed esclusivamente per completezza, va comunque ricordato che la giurisprudenza più recente espressa da questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. n. 7158 del 2020) ha chiarito “che – in tema di concordato preventivo – il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta. Cass. n. 30537 del 2018; Cass. n. 5825 del 2018). Se così è, allora ritenere che la valutazione di realizzabilità economica del piano concordatario non rientri nell’ambito di valutazione del tribunale (e poi della corte di appello) in ordine al mantenimento delle condizioni di ammissibilità del piano e della proposta risulta essere affermazione giuridicamente erronea”.

7. Infondato, infine, è anche il sesto motivo, secondo cui la creditrice chirografaria Unes Maxi s.p.a., il cui voto negativo aveva determinato il mancato raggiungimento della maggioranza delle classi, non avrebbe dovuto votare perchè il piano di concordato ne prevedeva la soddisfazione integrale con risorse in parte proprie della proponente il concordato (nella misura del 27%) e, per il resto, di terzi (cd. finanza esterna).

7.1. Al contrario, ritiene il Collegio che la Unes Maxi s.p.a, in qualità di creditore chirografario soddisfatto in misura parziale con risorse proprie della debitrice, ha partecipato, del tutto legittimamente, alla votazione della proposta concordataria, a nulla rilevando la circostanza che il pagamento della restante parte del suo credito fosse garantito da Gima: ove si opinasse diversamente, infatti, si giungerebbe all’inaccettabile conclusione rappresentata dell’esclusione dal voto di tutti i creditori chirografari garantiti da terzi soggetti.

7.2. In altri termini, se è certo che il creditore chirografario garantito da terzi ha diritto al voto, altrettanto deve dirsi per il creditore chirografario la cui integrale soddisfazione è prevista mediante l’utilizzo della cd. finanze esterna, e ciò senza potersi tacere che: a) il piano di concordato depositato il 30.9.2015 non contemplava per nulla il pagamento del credito della Unes; b) secondo la prospettazione dei commissari prima e del Tribunale poi, le condizioni economiche della proponente e del terzi lasciavano presagire l’inadempimento degli obblighi concordatari.

8. Infine, va disattesa la richiesta della Unes Maxi s.p.a. (cfr. pag. 41 del suo controricorso) di correzione della motivazione della sentenza impugnata (laddove la corte distrettuale, nel ritenerla legittimata a votare, non avrebbe tenuto conto del fatto che, non essendo stato proposto reclamo avverso il decreto del giudice delegato con il quale era stata ammessa al voto, la questione doveva ritenersi preclusa) in assenza, su questo specifico punto, della proposizione, ad opera della medesima controricorrente, di un ricorso incidentale condizionato.

9. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità, tra le sole parti costituite, regolate dal principio di soccombenza e liquidate, in favore di ciascuna parte controricorrente, come in dispositivo, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione al pagamento, nei confronti dei ciascuna parte controricorrente costituita, delle spese del giudizio di legittimità, che quantifica: i) in favore del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed

agli accessori di legge; in favore della Unes Maxi s.p.a., in Euro 5.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

 

 

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