Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29769 del 19/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 19/11/2018), n.29769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3805/2017 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ANDREA BAVA giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 62/2016 della CORTE D’APPELLO TRENTO SEZ.

DIST. DI BOLZANO, depositata il 21/12/2016 R.G.N. 13/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/06/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BAVA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Trento sezione distaccata di Bolzano, con sentenza n. 62/2016 del 21.12.2016, in accoglimento dell’appello proposto da C.A. ha affermato che egli andasse riconosciuto come vittima del dovere con obbligo del suo inserimento nell’elenco tenuto dal Ministero dell’Interno ai fini della concessione dei benefici assistenziali correlati, alla cui erogazione condannava il Ministero dell’Interno.

A fondamento della sentenza la Corte sosteneva che l’appellante, in qualità di appartenente alla Arma dei carabinieri, avesse diritto al riconoscimento di cui sopra in forza della nuova normativa L. n. 266 del 2005, ex art. 1, comma 563, in quanto aveva subito le lesioni, di cui alla espletata CTU (con la frattura del setto nasale), in occasione del ferimento riportato durante un’attività di contrasto alla criminalità espletata unitamente ad altri due colleghi; ed in particolare allorchè essi, ai fini di un servizio di controllo del territorio finalizzato al contrasto del fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti, si erano recati in (OMISSIS) ove era stato più volte segnalato un (OMISSIS) a bordo di una bicicletta dedito all’attività di spaccio di sostanze stupefacenti; il quale, a seguito di fermo, aveva reagito spintonando violentemente tutti gli operanti, opponendo strenua resistenza ai tentativi di bloccarlo, colpendo i militari e cercando di morderli, colpendo con una testata al volto il carabiniere C.; a nulla invece rilevava che i tre militari dell’Arma fossero liberi dal servizio in quanto ai sensi dell’art. 2 Regolamento organico per l’Arma dei carabinieri reali approvato con R.D. 14 giugno 1934, n. 1169, questi sono da considerarsi in servizio perennemente. Rilevavano altresì i giudici che al fine della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563, appariva sufficiente che l’evento si fosse prodotto nel contrasto di ogni tipo di criminalità e non erano richieste le particolari condizioni ambientali od operative contemplate dalla legge, ma solo per le distinte ipotesi considerate del successivo comma 564; le quali peraltro nel caso di specie dovevano ritenersi pure esse sussistenti, ad abundantiam, posto che le condizioni operative avevano acquisito carattere particolare, ossia non più di normale routine, quantomeno dal momento in cui la persona sottoposta al controllo aveva fisicamente reagito con atti violenti di resistenza.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno con un motivo, al quale ha resistito C.A., con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con un unico motivo il ricorso deduce la violazione e l’errata applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563, nonchè della L. n. 466 del 1980, artt. 1 e 3; la violazione ed errata interpretazione del R.D. n. 1169 del 1934, art. 2, degli artt. 57 e 55 c.p.p., dell’art. 49 Regolamento generale dell’arma dei carabinieri in data 1/12/1963, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia accordato i benefici previsti in favore delle vittime del dovere in mancanza del presupposto richiesto dalla legge, dovendosi contestare che nella fattispecie l’evento si fosse determinato nel corso di operazioni di contrasto della criminalità; trattandosi piuttosto di una attività inerente allo svolgimento delle proprie mansioni, ancorchè fuori servizio, che non può farsi rientrare nella categoria del contrasto alla criminalità. I benefici assistenziali in questione, ulteriori rispetto al riconoscimento della causa di servizio, presuppongono, invece, un quid pluris rappresentato da un rischio specifico rilevante e straordinario cui il dipendente sia stato sottoposto ed in conseguenza del quale si sia determinato l’evento lesivo. Nella fattispecie l’evento si era determinato invece nel corso di un’attività che non presentava caratteri di straordinarietà ed eccezionalità, pienamente rientrando nei compiti di istituto; nè poteva considerarsi sottoposizione a rischio straordinario eccezionale il controllo di un soggetto sospettato e la sua possibile resistenza e reazione.

2. Il ricorso è infondato, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di legittimità intervenuta sulla materia, anche a Sezioni Unite; ed in particolare alla sentenza n. 10791/2017 la quale ha statuito, in un caso analogo, che al dipendente della Polizia di Stato, divenuto invalido per un incidente stradale occorsogli durante l’inseguimento di un sospettato di reati, spettano i benefici di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563, in quanto, ai sensi delle lett. a) e b) dello stesso comma, è sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato nel contrasto ad ogni tipo di criminalità, o nello svolgimento di un servizio di ordine pubblico, senza che occorra un rischio specifico ulteriore a quello insito nelle ordinarie attività istituzionali, necessario, invece, per le ipotesi previste dal successivo comma 564, ove è richiesta l’esistenza o il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari.

3.- Il motivo verte infatti sull’interpretazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563, che ha esteso i benefici previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte quelle che vengono considerate vittime del dovere.

Queste ultime sono così definite nel comma 563: “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteri di ostilità.”.

Il successivo comma 564 amplia ulteriormente l’area, disponendo quanto segue: “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente” e le particolari condizioni ambientali od operative “le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Il comma successivo, affida ad un regolamento da emanare entro novanta giorni il compito di disciplinare “i termini e le modalità per la corresponsione delle provvidenze” in discorso. A sua volta il regolamento – poi emanato con D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 – non si è limitato a disciplinare termini e modalità, ma ha compiuto una serie di precisazioni in ordine alla definizione dei concetti di benefici, provvidenze e missioni.

4.- Nel caso in esame, la sentenza impugnata anzitutto ha correttamente rilevato che il comma 563, a differenza dal comma successivo, non prevede la presenza d’un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l’evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico. In questa ipotesi rientra senz’altro il caso di specie, in cui il controricorrente ha riportato l’invalidità in questione durante un servizio di controllo del territorio, operato insieme ad altri colleghi, finalizzato al contrasto del fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti in (OMISSIS). Nel corso di tale attività il controricorrente venne colpito da una testata al volto da un soggetto sospettato, il quale aveva reagito resistendo in maniera violenta al fermo operato dai militari. Le lesioni da lui riportate sono conseguenza di tale condotta criminosa.

5.- A nulla invece rileva invece che i tre militari dell’Arma fossero liberi dal servizio, in quanto ai sensi dell’art. 2 Regolamento organico per l’arma dei carabinieri, approvato con R.D. 14 giugno 1934, n. 1169, i carabinieri, in presenza dei presupposti, sono da ritenere in servizio permanentemente in quanto “anche quando non sono espressamente comandati di servizio, debbono intervenire se avvengano infrazioni alla legge”.

6.- Va inoltre rilevato che, in ogni caso, non è stata fatta oggetto di alcuna impugnazione l’autonoma ratio decidendi della decisione ravvisata dalla stessa Corte di merito ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 564.

7. Per tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’avv. Bava, dichiaratosi antistatario.

Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre 15% di spese generali ed accessori di legge, con distrazione a favore dell’avv. Andrea Bava.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2018

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