Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29766 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. II, 29/12/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 29/12/2011), n.29766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS) – in

(OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore,

rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv.to Saltalamacchia Mario del foro di Napoli ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Aldo Pinto in

Roma, via G. Ferrari n. 11;

– ricorrente –

contro

R.L. ed A.F., rappresentate e difese

dall’Avv.to Prof. Di Nanni Carlo del foro di Napoli, in virtù di

procura speciale apposta a margine del controricorso, ed

elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv.to Persi Fabrizio

in Roma, via Crescenzio n. 2;

– controricorrenti –

nonchè sul ricorso incidentale condizionato (iscritto al N.R.G.

9870/06) proposto dalle controricorrenti nei confronti del

ricorrente;

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 157 depositata

il 23 gennaio 2006;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Fabrizio Persi (con delega dell’Avv.to Carlo Di

Nanni), per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato alla cancelleria della Pretura di Marano di Napoli in data 12 dicembre 1997, notificato il 24 febbraio 1998, il CONDOMINIO (OMISSIS) chiedeva di essere reintegrato nel possesso delle aree destinare a stenditoi dalle quali era stato violentemente spogliato da R.L., esponendo che il fabbricato condominiale si componeva di quattro scale, ciascuna sovrastata da un lastrico solare, da un torrino (incorporanti ciascuno l’impianto dell’ascensore), da un’area destinata a stenditoio e a collocazione, sul muretto, di antenne televisive, alla quale si accedeva – per ciascuna scala – attraverso una porta di ferro, le cui chiavi fin dalla costruzione del fabbricato erano state possedute dall’amministratore e dai singoli condomini; aggiungeva che il lastrico sovrastante la scala D era stato venduto dalla società costruttrice, la CO.ED.IT. s.p.a., che se ne era riservata la proprietà, a A.F., mentre i lastrici sovrastanti le scale A, B e C erano stati trasferiti a R.L. dal Tribunale di Napoli con decreto del 23.9.1997 a seguito del fallimento della CO.ED.IT. e quest’ultima, avanzando pretese dominicali anche nelle zone comuni, aveva invitato i condomini a liberarle, nonchè l’amministratore a consegnarle le chiavi di accesso, che poi aveva ottenuto dalla condomina I.M., per la scala C, per cui aveva provveduto a cambiare la serratura in data 28.11.1997 e a sbarrare le porte delle scale A e B, inibendo ai condomini ogni possibilità di accesso alle zone prima possedute.

Instaurato il contraddittorio e costituitasi la resistente, la quale eccepiva la natura non condominiale delle aree dalla stessa acquistate (lastrici solari), di cui la società costruttrice si era riservata la proprietà, il Pretore adito, espletata istruttoria, con provvedimento del 21/25.3.1998, reintegrava il CONDOMINIO nel possesso delle quattro zone del lastrico solare corrispondenti alle quattro scale, rinviando la causa per la trattazione del merito.

All’esito della fase a cognizione ordinaria, assunta la prova testimoniale, il Tribunale (già Pretore), con sentenza n. 221/04 (comunicata il 15.9.2004), confermava il provvedimento del 25.3.1998.

In virtù di rituale appello interposto dalla R., con il quale lamentava che il giudice di prime cure non avesse rilevato la carenza di legittimazione attiva del CONDOMINIO, che nessuna proprietà vantava sui beni de quibus, contenendo il dispositivo del provvedimento impugnato la reintegrazione nel possesso anche della scala D, che non aveva formato oggetto del ricorso ex art. 703 c.p.c., la Corte di appello di Napoli, nella resistenza dell’appellato, spiegato intervento volontario da A.F., accoglieva il gravame, nonchè la domanda dell’interveniente, e per l’effetto dichiarata la nullità del capo della sentenza impugnata relativo al lastrico solare di proprietà dell’ A., oltre a rigettare la domanda di reintegra nel possesso proposta dal CONDOMINIO. A sostegno dell’adottata sentenza la corte distrettuale evidenziava, innanzitutto, l’ammissibilità dell’intervento dell’ A., a termini degli artt. 344 e 404 c.p.c., in quanto la pronuncia di reintegra del lastrico solare sovrastante la scala D non aveva formato oggetto di ricorso possessorio, con conseguente vizio di extrapetizione in cui era incorso il giudice di prime cure. Riguardo alla situazione possessoria vantata dal CONDOMINIO con riferimento ai lastrici solari sovrastanti le scale A, B e C, osservava che il potere di fatto esercitato dall’amministratore era configurabile esclusivamente in relazione alla copertura dell’edificio e agli interventi connessi a tale funzione comune, mentre a tutt’altri scopi corrispondeva l’uso del terrazzo da parte dei condomini e precisamente per l’installazione e manutenzione delle antenne televisive, nonchè per lo sciorinio, circostanze che però non assurgevano ad elemento univoco del compossesso del lastrico solare di proprietà esclusiva, integrando l’apposizione delle prime una limitazione legale alla proprietà, alla quale il proprietario del lastrico non si poteva opporre (ex ari. 232 codice postale e delle telecomunicazioni, D.P.R. n. 156 del 1973), ed il secondo avendo una funzione di rilevanza meramente privata che interessava i singoli condomini, per cui rispondeva ad una pratica per ragioni di tolleranza. Concludeva nel senso che la pratica del lastrico da parte dei condomini per alcuno degli anzidetti usi non dava luogo alla figura del possesso tutelabile sia sotto il profilo del corpus, per quanto dianzi esposto, sia sotto il profilo dell’animus, in quanto la possibilità di accesso in un luogo non assumeva il significato che ivi si intendeva esercitare un potere di fatto illimitato corrispondente all’esercizio del diritto condominiale, per cui l’eccezione dell’appellante “feci sed iure feci” mirava proprio ad escludere l’invasione di una ipotetica e di fatto inesistente sfera di possesso.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il CONDOMINIO, che risulta articolato in tre motivi, al quale hanno resistito la R. e l’ A., che hanno anche proposto ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c., in quanto attengono al medesimo provvedimento.

Occorre, altresì, premettere che per conforme giurisprudenza di questa Corte l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1131 c.c., comma 1, per cui è legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (nonchè a proporre impugnazione), senza alcuna autorizzazione nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c. e cioè quando si tratti di eseguire le deliberazioni dell’assemblea e di curare l’osservanza dei regolamenti di condominio, di disciplinare l’uso delle cose comuni, così da assicurarne il migliore godimento a tutti i condomini, di riscuotere dai condomini inadempienti il pagamento dei contributi determinati in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio. Nella specie, poichè si controverte di azione in ordine alle parti comuni dell’edificio, in tal caso, l’amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all’assemblea (cfr Cass. 10 novembre 2010 n. 22886).

In quest’ottica va preliminarmente esaminato il ricorso incidentale, seppure condizionato, avanzato dalla R. e dalla A., giacchè la legittimazione attiva del Condominio ad esercitare azione possessoria – in base ad un’interpretazione estensiva dell’art. 1130 c.c., n. 4 – in relazione ad un’area di pretesa proprietà di terzi, destinata tuttavia ad un diritto di uso comune da parte dei condomini, come nella specie il lastrico solare, si collega al potere dell’amministratore di esercitare gli atti conservativi sui beni di proprietà comune del condominio (v. Cass. 27 luglio 2007 n. 16631).

Il motivo è, dunque, privo di pregio.

Ciò posto, con il primo motivo del ricorso principale il CONDOMINIO formula censure relative alla motivazione della sentenza in punto di valutazione delle risultanze istruttorie, ritenuta erronea, parziale e contraddittoria nella determinazione della situazione possessoria vantata dal condominio sul lastrico solare con riferimento all’eccezione sollevata dalla R..

Più specificamente, con la prima censura deduce la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull’onere della prova (l’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per aver la corte di merito erroneamente ritenuto un unicum il lastrico di copertura trasferito alla R. con decreto del 23.9.1997 insieme a possesso materiale. Di converso la conformazione di detti beni si sarebbe diversificata per essere la parte di proprietà dell’ A. delimitata da un muro che la separa del resto della copertura, i torrini chiusi in quanto contenenti l’impianto dell’ascensore, le aree stenditoio pavimentate e delimitate con un muretto, i restanti 1.300 mq. di proprietà della società costruttrice, fallita, asfaltati e non calpestabili. Solo quest’ultima porzione sarebbe stata acquistata dalla R., non risultando che il curatore abbia trasmesso all’acquirente il possesso di ulteriori zone rispetto ai mq. 1.300. Alla luce di detta situazione, mancherebbe la prova del trapasso del possesso delle aree stenditoio dal curatore alla R., per cui sarebbe errata la interpretazione data dalla Corte distrettuale alla eccezione feci sed jure feci quale “normale esercizio del…possesso esclusivo sulle zone di lastrico di che trattasi”, neanche dimostrata dalla medesima appellante, sulla quale non risultano essere state articolate prove, con ciò contravvenendo ai principi generali dell’art. 2697 c.c. Il motivo si articola, dunque, in due argomentazioni: la prima attiene al merito e la seconda, con riferimento all’eccezione “feci sed jure feci”, di carattere latamente procedurale. Relativamente alla prima, va rilevato che è infondata.

La sentenza della Corte territoriale, nel riformare la valutazione espressa dal Tribunale, spiega ampiamente le ragioni e le fonti del proprio convincimento sulla insussistenza dei presupposti contenuti nell’art. 1168 c.c. per l’esercizio dell’azione possessoria, valorizzando a tal fine la non univocità degli elementi quali l’esistenza di antenne televisive e dello sciorinio, come emergenti dalle deposizioni dei testi escussi in primo grado, in quanto integranti non già una situazione di compossesso, ma una limitazione legale alla proprietà del lastrico solare.

Il ricorrente confuta tale decisione deducendo argomentazioni che non possono però essere riesaminate in questa sede di legittimità, con le quali smentisce siffatta valutazione delle risultanze probatorie, sollecitando una rilettura dei fatti emergenti dalle deposizioni alla luce delle sue argomentazioni. Il ricorrente critica soprattutto l’interpretazione dei fatti, censurando la qualificazione del lastrico quale unicum trasferito nella sua intera consistenza alla R., ma la sua censura resta nondimeno infondata anche in questa prospettiva, dal momento che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimesse al giudice del merito e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nell’attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che ad un altro. In particolare, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti; è invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. 7 dicembre 2004 n. 22985). Si osserva, precisamente, che in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, nel senso che (fuori dai casi di prova legale) esse, anche se hanno carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento, del quale il giudice deve dare conto con motivazione il cui unico requisito è l’immunità da vizi logici (v. Cass. 12 gennaio 2006 n. 413). E’ invece fondato il secondo profilo del primo motivo del ricorso, con cui si lamenta, sotto il profilo del vizio di motivazione, che la Corte territoriale abbia accolto l’eccezione feci sed jure feci.

Come è noto, nella azioni possessorie l’eccezione feci sed jure feci del convenuto, che deduce di essere compossessore della cosa, rende necessario l’esame de titolo per stabilire, sia pure ad colorandam possessionem, l’esistenza e l’estensione del diritto che si allega.

Pertanto, tale eccezione deve ritenersi ammissibile se il convenuto tenda a dimostrare di avere agito nell’ambito della sua relazione di fatto, esclusiva o comune, con il bene, mentre deve ritenersi inammissibile se il medesimo mira a fare accertare il suo diritto su quel bene, giacchè la prova del possesso, in sede possessoria, non può essere desunta dal regime legale o convenzionale del corrispondente diritto reale, occorrendo, invece, dimostrare l’esercizio di fatto del vantato possesso, indipendentemente dal titolo, e ciò anche dopo la parziale dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 705 c.p.c., in quanto il convenuto in giudizio possessorio – come sopra specificato – può opporre le sue ragioni solo quando dalla esecuzione della decisione sulla domanda possessoria potrebbe derivargli un danno irreparabile (v. Cass. 29 gennaio 2007 n. 1795).

Sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto in quanto il giudice de gravame, basandosi sull’interrogatorio formale della R., ha fondato la propria decisione solo su elementi petitori in astratto, ritenendo l’invasione della sfera di possesso del lastrico solare da parte dei condomini alla luce del decreto del Tribunale di Napoli in data 23.9.1997, con il quale risulta ceduto alla resistente il diritto dominicale del bene, senza alcun accertamento nell’ambito della relazione di fatto esistente fra il bene e l’acquirente, nonchè sulla incompatibilità di detta relazione con quella vantata dai ricorrenti (v. in tal senso: Cass. 12 aprile 2000 n. 4679; Cass. 22 giungo 2000 n. 8489; Cass. 23 febbraio 2001 n. 2667).

Il primo motivo va, perciò, sul punto accolto.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 344 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la corte distrettuale nel dichiarare la nullità della sentenza impugnata con riferimento alla reintegra in possesso anche della parte di lastrico di proprietà della A. (possesso della zona sovrastante la scala D), seppure erronea la decisione del giudice di primo grado per non avere formato oggetto della originaria domanda, non muta la situazione di fatto per non essere la stessa proprietaria dell’area stenditoio, per le ragioni sopra esposte. La censura è priva di pregio.

La norma richiamata dal giudice del gravame disciplina l’intervento in appello (che normalmente è precluso a chi non ha partecipato al giudizio di primo grado, salvo che non sia successore a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c.), limitandolo soltanto a quei terzi che sarebbero legittimati a proporre l’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c. L’intervento si atteggia, pertanto, ad uno strumento di tutela anticipata offerto al terzo che potrebbe proporre opposizione avverso la sentenza, al fine di consentire al medesimo di far valere le proprie ragioni ancor prima che sia emessa quella sentenza che potrebbe pregiudicarla e alla quale egli sarebbe legittimato ad opporsi ex art. 404 c.p.c. Ne consegue che può intervenire in appello colui che potrebbe subire pregiudizio nei suoi diritti da un determinato esito del giudizio, ovvero l’avente causa di una delle parti che possa temere pregiudizio da una sentenza frutto di dolo o collusione delle parti stesse in suo danno. Ovviamente, trattandosi di uno strumento di tutela anticipata rispetto alla verificazione del pregiudizio, l’ammissibilità dell’intervento deve essere esaminata con una valutazione ex -ante del possibile epilogo della controversia.

Nella specie la Corte territoriale ha operato correttamente la sua valutazione, in sede di decisione, alla luce della statuizione da adottare in relazione alle conclusioni rassegnate dalle parti, riconoscendo il pregiudizio che sarebbe potuto derivare all’interveniente da una conferma della decisione impugnata che riconosceva tutela possessoria anche in danno della zona di lastrico di sua esclusiva proprietà pur non avendo formato oggetto di domanda possessoria. Osserva la corte che, valutando ex ante l’interesse, balza evidente l’autonomia delle rispettive zone del lastrico solare e sotto questo profilo non potrebbe dubitarsi della legittimazione della A. ad intervenire nel giudizio d’appello, e, quindi, dell’obbligo della Corte di merito di esaminare la sua domanda di riforma della sentenza impugnata.

Con il terzo ed ultimo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 non potendo il CONDOMINIO essere condannato al pagamento delle spese processuali della A. non evocata in giudizio.

L’accoglimento nei limiti suddetti del primo motivo del ricorso, determina l’assorbimento di detto mezzo, con cui si censura la statuizione sulle spese processuali.

In conclusione, il ricorso principale va accolto, per quanto di ragione, in ordine alla seconda argomentazione del primo motivo, rigettato per il resto, al pari del secondo motivo, assorbito il terzo mezzo; va, altresì, rigettato anche il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata nei limiti di cui sopra, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per un nuovo esame, che si uniformerà al principio di diritto come sopra enunciato.

Per quanto attiene alle spese di questa fase, esse verranno regolare dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi e accoglie il primo motivo del ricorso principale per quanto di ragione, rigettato il secondo motivo, assorbito il terzo; rigetta il ricorso incidentale;

cassa con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli anche per le spese di questo grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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