Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29765 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1067/2015 proposto da:

SECONDA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

C.V., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ETTORE LEPERINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4192/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/07/2014 R.G.N. 220/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.V., infermiere generico dipendente della Seconda Università degli Studi di Napoli ed in servizio presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria, aveva agito innanzi al Tribunale di Napoli al fine di ottenere il pagamento della “indennità di incentivazione e miglioramento dei servizi”;

2. il Tribunale accoglieva la domanda nei confronti della Seconda Università e dichiarava il difetto di legittimazione passiva dell’Azienda Ospedaliera Universitaria;

3. la Corte d’appello di Napoli confermava detta decisione;

richiamava preliminarmente la Corte territoriale il Decreto Rettoriale n. 1352 del 1995, che all’art. 11, aveva previsto la gestione del personale universitario afferente la facoltà di medicina senza tuttavia disporre il trasferimento di tale personale all’allora Azienda Ospedaliera Policlinico (ora Azienda Ospedaliera Universitaria);

riteneva che le questioni concernenti non già l’esercizio dei poteri di gestione ma l’inquadramento economico e in genere il pagamento delle retribuzioni dovessero essere proposte unicamente nei confronti del soggetto o Ente datore di lavoro, in quanto riguardanti elementi essenziali del sinallagma che a questi faceva capo;

evidenziava che il C. era rimasto inquadrato nel ruolo universitario e riteneva, pertanto, che pur dopo l’assegnazione alla struttura sanitaria gestita dall’Azienda, l’Università fosse tenuta ad adempiere le obbligazioni di carattere retributivo scaturenti dal rapporto;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Seconda Università degli Studi di Napoli affidato ad un motivo;

5. C.V. ha resistito con controricorso;

6. non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.R. n. 1352 del 1995, del D.R. n. 2870 del 2004, del D.R. n. 2101 del 2007;

deduce che l’Azienda Ospedaliera, in attuazione del D.Lgs. n. 517 del 1999, ha acquisito personalità giuridica e sulla base dell’atto aziendale assume la veste di datore di lavoro per tutto quanto concerne l’organizzazione, la gestione e la remunerazione dell’attività assistenziale esercitata dal personale universitario;

richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che il personale “strutturato” nel SSN è in rapporto di servizio con l’Azienda Ospedaliera la quale, quindi, è passivamente legittimata rispetto alle domande di contenuto patrimoniale;

2. il motivo è innanzitutto inammissibile laddove oggetto della denunciata violazione di legge sono anche i decreti rettoriali e cioè atti amministrativi a carattere non normativo in relazione ai quali il sindacato attribuito alla Corte di cassazione, in tema di interpretazione, è limitato alla sola verifica di eventuali denunciati vizi di motivazione (ora nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5), ovvero di malgoverno delle regole di ermeneutica contrattuale ed in particolare, dell’art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1363 e 1366 c.c., in quanto analogicamente applicabili (v. ex multis Cass. 23 luglio 2020, n. 17367; Cass. 2 aprile 2013, n. 7982; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23532);

3. per il resto il motivo è infondato;

3.1. l’Università ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistente la propria legittimazione passiva;

3.2. la questione oggetto del presente giudizio è stata già esaminata da questa Corte in plurime decisioni (cfr., in particolare, Cass. 24 maggio 2013 n. 12908; Cass. 7 marzo 2014 n. 5325; Cass. 16 aprile 2015, n. 7739), alla cui motivazione si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., che hanno ritenuto, in fattispecie analoghe, che legittimata passivamente fosse, al pari dell’Azienda Ospedaliera, l’Università;

in particolare è stato precisato che mentre alla sussistenza della legittimazione passiva dell’Azienda Ospedaliera riconduce il rapporto di servizio connesso al particolare meccanismo che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti universitari “strutturati” in organismi distinti dalle Università e qualificato per il diretto coinvolgimento dell’Azienda ospedaliera nella gestione dei rapporti di lavoro, la condizione di dipendente dell’Università degli Studi e dunque la sussistenza di un rapporto di impiego – vale a fondare l’obbligazione dell’Università a corrispondere le invocate differenze retributive;

3.3. anche le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 9 maggio 2016, n. 9279 hanno confermato che i rapporti tra Aziende ospedaliere e Università, quali emergenti dall’esame della normativa che disciplina la loro attività, configurano una vera e propria cogestione, il che giustifica pienamente la sussistenza della legittimazione di entrambi;

3.4. non sono stati prospettati argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento;

5. da tanto consegue che il ricorso deve essere respinto;

6. nè la ricorrente può dolersi in questa sede, nella quale si discute solo della legittimazione passiva dell’Università, dell’esclusione della responsabilità solidale dell’Azienda Ospedaliera, posto che opera il principio, già affermato da questa Corte ed al quale va data continuità, secondo cui, “se il creditore conviene in giudizio più debitori, sostenendo la loro responsabilità solidale, e il giudice, invece, condanna uno solo di essi, con esclusione del rapporto di solidarietà, il debitore condannato, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale e, dunque, non abbia dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega agli altri debitori, non ha un interesse ad impugnare tale sentenza nella parte in cui esclude la solidarietà, perchè essa non aggrava la sua posizione di debitore dell’intero e non pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa” (v. Cass. 15 gennaio 2020, n. 542; Cass. 27 ottobre 2015, n. 21774; Cass. 16 febbraio 2012, n. 22227);

6. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

7. deve darsi atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, perchè l’esenzione prevista in via generale dal richiamato D.P.R., opera per le Amministrazioni dello Stato e non per gli enti pubblici autonomi, seppure autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (sulla natura delle Università e sulla disciplina del patrocinio cfr. Cass., Sez. Un., 20 ottobre 2017, n. 24876).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

 

 

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