Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29763 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. II, 29/12/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 29/12/2011), n.29763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TERENZIO 21 SCALA C INT 2, presso lo studio dell’avvocato

NANNI FRANCESCA ROMANA, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARCUCCIO MARCELLO;

– ricorrente –

contro

D.D.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato

PELLEGRINO GIOVANNI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 31/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato MARCUCCIO Marcello, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PELLEGRINO Giovanni, difensore del resistente che ha

chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 29 giugno 1995, D.A. D., proprietario di un fabbricato in (OMISSIS), acquistato il 10 ottobre 1968, espose che l’intero piano terra era gravato da diritto di abitazione in favore di S.G., deceduta il (OMISSIS), la quale, nonostante non lo occupasse sin dal 1970 e lo avesse lasciato in stato di completo abbandono, ne aveva rifiutato la riconsegna. Neanche l’unica erede della donna, C. G., aveva ritenuto di ottemperare alla richiesta, adducendo di avere accettato l’eredità della congiunta con beneficio di inventario. Pertanto, egli convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce la G. per sentirla condannare alla riconsegna dell’immobile previa declaratoria di cessazione del diritto di abitazione ed al risarcimento dei danni, quantificati in L. 100.000.000.

2. – Consegnate, in corso di causa, le chiavi dei locali dalla G. al D.D., il Tribunale adito dichiarò cessata la materia del contendere sulla domanda di rilascio, riservando l’esame delle domande proposte contro la G.. Quindi, con sentenza del 29 novembre 2001, in parziale accoglimento della domanda attorea, condannò la G. al pagamento in favore del D.D. della somma di L. 71.160.558, ivi compresi interessi e rivalutazione.

Avverso la pronuncia propose appello la G..

3. – Con sentenza depositata il 31 gennaio 2005, la Corte d’appello di Lecce, in parziale accoglimento del gravame, ridusse il credito del D.D. nei confronti dell’appellante a complessive L 31.539.170.

La Corte di merito, per quanto ancora rileva nella presente sede, ritenne infondata la censura relativa alla qualificazione del rapporto intercorso tra le parti, che, secondo l’appellante, si sarebbe configurato come contratto di comodato piuttosto che come diritto di abitazione, osservando che, a prescindere dalla considerazione che al comodatario non è consentito un uso improprio delle cose, che, invece, egli è tenuto a custodire e conservare con la diligenza del buon padre di famiglia, il diritto di cui si tratta era stato costituito con testamento pubblico di d.V.d.A. M. del 24 gennaio 1940, con il quale costui, dopo aver assegnato al figlio J. la legittima, comprensiva del palazzo avito di (OMISSIS), aveva affermato, con riguardo a tale bene, l’obbligo di consentire alla sorella C. e alla figlia di quest’ultima S.G. di abitare vita natural durante i locali a piano terra, che non aveva costituito effetto di un contratto tra le beneficiarie e il d.V.d.M., ma aveva la sua fonte giuridica nel negozio unilaterale del testatore, configurando un legato di abitazione. Siffatta ricostruzione – osservò la Corte – non era inficiata dal rapporto pregresso che aveva visto la predetta C. occupare dapprima l’appartamento al primo piano, e poi trasferirsi, per propria comodità, nei locali a piano terra.

Inconsistente fu giudicato il rilievo che l’oggetto del diritto avrebbe riguardato immobili destinati ad attività economiche, poichè nel testamento si faceva riferimento all’appartamento, ed inoltre perchè i locali a piano terra erano stati interessati da cospicui interventi volti a renderli abitabili. Parimenti fu esclusa la fondatezza dell’altro motivo di appello, con il quale si contestava la condanna dell’appellato al ristoro dei danni. Al riguardo, la Corte di merito rilevò che, alla stregua degli artt. 1026 e 986 cod. civ., la G. era obbligata a restituire la casa con le addizioni eseguite sino all’estinzione del diritto:

sicchè la sostanziale distruzione delle addizioni nonchè l’omessa manutenzione dell’immobile de quo comportavano il risarcimento del danno.

Fu, invece, parzialmente accolta la domanda della G. di riduzione delle somme dovute per effetto della considerazione del deterioramento subito dai beni in questione. Rilevò in proposito la Corte di merito che, se era pur vero che la S. non aveva provveduto alla manutenzione ordinaria dell’immobile, occorreva, peraltro, valutare le effettive conseguenze pregiudizievoli nella sfera patrimoniale della controparte. 4. – Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la G. sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso il D.D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo del ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1803 c.c., art. 1804 c.c. e segg., art. 1362 c.c. e segg., artt. 2697, e 549 e 647 cod. civ., nonchè degli artt. 1022 e 817 cod. civ, l’omesso esame di un motivo di gravame, e la motivazione illogica e contraddittoria. Si sottopongono a critica le affermazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine agli obblighi del comodatario, rilevandosi che l’art. 1804 c.c., comma 1, non stabilisce alcuna presunzione che al momento in cui nasce il comodato la res consegnata sia in uno stato di conservazione ottimale o comunque normale, nè obbliga il comodatario a restituirla in condizioni di perfetta efficienza anche se tali condizioni fossero inesistenti all’inizio del rapporto. Pertanto, non verrebbe introdotta alcuna deroga al principio posto dall’art. 2697 cod. civ., secondo il quale chi intende far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nella specie, l’immobile de quo, all’inizio del rapporto, era, come riferito dai testi escussi, in pessimo stato di manutenzione ed aveva diversa destinazione d’uso, sicchè avrebbe errato la Corte di merito nell’affermare tout court che la erede della S. fosse tenuta al risarcimento. Del pari, avrebbe errato la Corte territoriale nel non ritenere sussistente dai primi anni del 1900 un contratto di comodato tra il d.V.d.M. e la sorella C., in presenza dei requisiti della realità, unilateralità e gratuità, contratto del quale il testatore avrebbe tenuto conto imponendo all’erede di consentire alla stessa C. e alla figlia di continuare ad abitare i locali già occupati. In definitiva, sarebbe stata volontà del de cuius impedire al figlio J. di sciogliere ad nutum detto contratto di comodato. Dunque, non di legato di diritto di abitazione si sarebbe trattato, ma dell’onere imposto all’erede di non chiedere in restituzione il bene già concesso in comodato. Del resto, detto bene comprendeva anche i magazzini, che non avrebbero potuto formare oggetto di diritto di abitazione. Ed anche l’uso dell’avverbio gratuitamente nel testamento sarebbe incompatibile con la volontà di istituire un legato, di per sè gratuito. Ancora, la Corte avrebbe omesso di esaminare il primo motivo di appello, con il quale si invocava il disposto degli artt. 549 e 647 cod. civ., deducendosi che con la disposizione testamentaria de qua il de cuius aveva imposto un onere all’erede, che lo aveva adempiuto nonostante avesse la possibilità di impugnare la disposizione medesima ai sensi del citato art. 549. La illustrazione della censura si conclude con la enunciazione dei seguenti quesiti: Se il giudice del merito, nel ritenere istituito, con la disposizione testamentaria in esame, un “legato di abitazione”, abbia violato le norme di cui agli artt. 1362 e 647 c.c.; Se il comodato ultranovennale possa essere stipulato verbalmente; Se il comodatario sia tenuto a restituire l’immobile nello stato in cui lo ha ricevuto, in applicazione degli artt. 1803 e 1807 c.c.; Se il diritto di abitazione possa avere ad oggetto anche beni immobili destinati ad attività economiche; Se costituisca, ai sensi dell’art. 817 c.c., pertinenza di una casa di abitazione una parte di fabbricato di modeste dimensioni che ha una propria autonoma destinazione d’uso e non destinata al servizio dell’abitazione; Se l’avere il giudice del merito escluso ogni efficacia all’espressione “continuino ad abitare l’appartamento ed usare i locali” ed al termine “gratuitamente” contenuti nella disposizione testamentaria abbia violato l’art. 1362 c.c. e segg..

2.1. – La censura è infondata, nelle sue diverse articolazioni.

2.2. – Anzitutto, la parte della doglianza relativa alle affermazioni contenute nella pronuncia impugnata in ordine agli obblighi del comodatario risulta inconferente, atteso che tali affermazioni devono essere considerate, nella economia della decisione, alla stregua di obiter dicta. Infatti, tutta la sentenza è fondata sulla qualificazione del rapporto tra il d.V.d.M. e la sorella e la nipote come diritto di abitazione e non come comodato.

2.3. – Per il resto, la censura è rivolta essenzialmente proprio a tale qualificazione operata dalla Corte di merito, attraverso la ricostruzione della volontà dello stesso d.V.d.M., espressa nel testamento. La ricorrente richiede a questa Corte una diversa interpretazione della scheda testamentaria: operazione, invece, inibita nella sede attuale in presenza di un apprezzamento congruamente e logicamente motivato da parte del giudice di secondo grado che, sulla base del tenore testuale della disposizione, ha ritenuto che l’intento del d.V.d.M. fosse quello di assicurare alla sorella e alla nipote, che già occupavano il piano terra dell’immobile di sua proprietà dal 1925 circa, dopo averne abitato il primo piano, il diritto di continuare ad abitare l’appartamento, imponendo all’erede, attraverso la costituzione a suo carico di un legato di abitazione, di conferire stabilità a tale occupazione consentendo che essa si protraesse vita natural durante a favore delle donne.

2.4. – Nè la Corte di merito ha attribuito rilievo alla circostanza che la disposizione testamentaria ricomprendesse nel diritto di abitazione anche il diritto delle donne di utilizzare i locali annessi all’appartamento: al riguardo, il giudice di secondo grado ha osservato, da un lato, che detti locali erano stati interessati da lavori diretti a renderli abitabili, e, dall’altro, che nella scheda testamentaria si faceva espressamente riferimento all’appartamento.

2.5. – Anche la questione della eventuale lesione della posizione dell’erede si risolve in una diversa interpretazione della volontà del testatore.

3. – Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1803 c.c. e segg., degli artt. 986, 1015 e 1025, dell’art. 2697, dell’art. 1227 cod. civ., nonchè motivazione illogica e contraddittoria. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la G. fosse obbligata, in applicazione degli artt. 986 e 1026 cod. civ., a restituire il bene con tutte le addizioni presenti al momento della costituzione del diritto o apportate successivamente, sicchè la distruzione delle addizioni e l’omessa manutenzione comportavano il risarcimento del danno. Secondo la ricorrente, anche ammesso che fosse esatta la qualificazione del rapporto in questione come di diritto di abitazione, la decisione sarebbe illegittima, perchè contrastante con l’art. 986 cod. civ., in quanto adottata in mancanza della prova rigorosa che le addizioni cui essa ha fatto riferimento fossero successive al sorgere del diritto, oltre che in carenza della prova dello stato dell’immobile a quell’epoca e del deterioramento successivo. Inoltre, il D.D. avrebbe per sua negligenza causato, o concorso a causare, il deterioramento dell’immobile. Infatti, per sua stessa ammissione, la casa era rimasta abbandonata e aperta quando d.V.d.C. M. e S.G. si erano trasferite altrove: sicchè egli avrebbe dovuto richiedere la dichiarazione di cessazione del diritto di abitazione e la sua immissione in possesso del bene per assicurarne la manutenzione, anzichè proporre il giudizio di cui si tratta solo dopo due anni dalla morte della S.. La illustrazione della censura si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti: Se il proprietario di un immobile, che risulti gravato da diritto di abitazione, abbia l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., le condizioni dello stesso al momento della costituzione del diritto; Se il mancato assolvimento di tale onere escluda qualsivoglia responsabilità dell’habitator con riferimento alle condizioni in cui viene restituito l’immobile; Se il proprietario di un immobile gravato da diritto di abitazione nell’ipotesi di abuso dell’habitator, al fine di evitare danni, sia tenuto a promuovere l’azione di cui all’art. 1015 c.c.; Se l’omesso esercizio di tale diritto esponga il proprietario a responsabilità per danni arrecati all’immobile da terzi o conseguenti ad omessa manutenzione dello stesso, in relazione all’art. 1221 c.c..

4.1. – Anche tale censura si rivela priva di fondamento.

4.2. – La Corte di merito ha fatto buon governo dei principi in materia di onere probatorio e di obblighi gravanti sul titolare di diritto di abitazione. Va, in proposito, sottolineato che, a norma degli artt. 985 e 986 cod. civ., che, per effetto del rinvio operato dall’art. 1026 cod. civ., risultano applicabili in tema di diritto di abitazione, il momento al quale fare riferimento per valutare le addizioni operate dal titolare di tale diritto è quello della consegna del bene al proprietario, dovendosi tenere conto degli interventi eseguiti dal titolare del diritto di abitazione eseguiti fino all’estinzione del diritto stesso.

4.3. – Inconferente, infine, si appalesa il rilievo della ricorrente relativo alla mancata considerazione del comportamento negligente del D.D., che avrebbe determinato o concorso ad aggravare le condizioni dell’immobile, non avendone richiesto l’anticipata restituzione. Non risulta, infatti, dimostrata la incidenza diretta della denunciata condotta omissiva sul danno.

Del resto, la Corte di merito ha escluso ogni addebito di incuria a carico del D.D., sottolineando che questi aveva dovuto instaurare un giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile e la consegna delle chiavi da parte della G..

5. – Con la terza censura si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1005 e 1026 cod. civ., dell’art. 1227 c.c., comma 2, nonchè omessa e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti. Sostiene la ricorrente che, poichè, per ammissione dello stesso D.D., la d.V.d.M. e la S. non abitavano l’immobile sin dal 1970, egli avrebbe dovuto chiedere la restituzione dell’immobile, sia che questo fosse oggetto di comodato, sia che fosse oggetto di legato. La Corte territoriale non avrebbe poi tenuto conto che il D. D., quale proprietario dell’immobile, era tenuto alle riparazioni straordinarie, quali erano molte di quelle poste a carico della ricorrente. E anche per quanto riguarda le addizioni presenti al momento della costituzione del diritto, che, secondo la Corte di merito, avrebbero dovuto essere restituite, non vi era alcuna prova dello stato dell’immobile nel 1940, nè nel 1968, allorchè esso era stato acquistato dal D.D.. La illustrazione della censura si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti: Se l’habitator sia tenuto alla sola manutenzione ordinaria dell’immobile; Se la manutenzione straordinaria faccia capo al proprietario; Se il mancato esercizio del diritto di cui all’art. 1015 c.c. renda, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227 c.c., il proprietario dell’immobile responsabile dei danni subiti dallo stesso per omessa custodia e manutenzione ordinaria.

6.1. – La doglianza è inammissibile.

6.2. – Essa contiene in parte elementi già oggetto delle censure esaminate e rigettate; in parte concerne questioni nuove, mai affrontate nei precedenti gradi del giudizio, quale il profilo della natura straordinaria delle riparazioni poste a carico dell’attuale ricorrente.

7. – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, e vanno, pertanto, poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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