Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29763 del 12/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 29763 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA
sul ricorso 17485-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585 in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente
domiciliata in ROMA VIALE MAZZINI 134 presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI rappresentata e
difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI, giusta delega
in atti;
– ricorrente 2017
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contro
SCHEMBARI MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
V. PIEMONTE 32, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE SPADA, rappresentata e difesa dall’avvocato
ANTONIO GIANNONE, giusta procura in atti;

Data pubblicazione: 12/12/2017

- controri corrente avverso la sentenza n. 744/2012 della CORTE D’APPELLO

di CATANIA, depositata il 10/07/2012 R.G.N. 1482/06;

RG 17485\13

RILEVATO
Che la Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 10.7.12,
confermava l’illegittimità, per mancanza di prova della causale di
assunzione, dell’apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato tra
la società Poste Italiane e Maria Schembari, ex art. 1 d.lgs n. 368 del
2001, il 1.7.2002 (motivato da “esigenze tecniche, organizzative e

riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di
risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero
conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie,
prodotti o servizi nonché all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi
del 17,18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17
aprile 2002, nonché alla necessità di espletamento del servizio in
concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il
personale nel periodo estivo”), nonché la sussistenza tra le parti un
rapporto di lavoro subordinato da tale data, con condanna di Poste al
risarcimento del danno, pari a 3,5 mensilità dell’ultima retribuzione ex art.
32 L. n. 183\10.
Che avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società
Poste, affidato ad otto motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la
Schembari con controricorso.

CONSIDERATO
Che con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1372 c.c., oltre a vizio di motivazione in ordine alla
ritenuta insussistenza della risoluzione del rapporto per mutuo consenso,
pur a fronte del lasso di tempo intercorso dalla cessazione di fatto del
rapporto (un anno) al primo atto di costituzione in mora accipiendi.
Che il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte affermato (cfr. da
ultimo Cass. n. 14422\2015, Cass. 9 aprile 2015 n. 7156; Cass. 12
gennaio 2015 n.231) che ai fini della configurabilità della risoluzione del
rapporto di lavoro per mutuo consenso (costituente una eccezione in senso
stretto, Cass. 7 maggio 2009 n. 10526, il cui onere della prova grava
evidentemente sull’eccepiente, Cass. 1°febbraio 2010 n. 2279), non è di
per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del
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produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di

RG 17485\13

licenziamento, o il semplice ritardo (nella specie peraltro obiettivamente
contenuto) nell’esercizio dei suoi diritti, essendo piuttosto necessario che
sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e
certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo, circostanze non evidenziate dalla ricorrente.
Che con secondo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 112
c.p.c. per avere la sentenza impugnata accertato l’illegittimità del termine

che per undici pagine riproduce in ricorso.
Che il motivo è inammissibile posto che il principio di autosufficienza del
ricorso per cassazione, espresso nell’art. 366, nn. 3 e 4, cod. proc. cív.,
impone al ricorrente la specifica indicazione dei fatti (o delle allegazioni)
asseritamente trascurati dal giudice di merito. Il requisito
dell’autosufficienza non può peraltro ritenersi soddisfatto nel caso in cui il
ricorrente inserisca nel proprio atto di impugnazione la riproduzione
fotografica di uno o più documenti, affidando alla Corte la selezione delle
parti rilevanti e così una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al
giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n.1716). Ciò vale anche ove
venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della
sentenza impugnata (Cass.sez.un. n. 8077\12).
Che con terzo motivo la società denuncia la violazione degli artt. 112, 414
c.p.c., 1421 c.c. non avendo la ricorrente ritualmente contestato nel
ricorso introduttivo del giudizio le circostanze poste dall’azienda a
fondamento dell’assunzione a termine, come risultava dal contenuto
integrale del ricorso che la società produce ed a cui rinvia, mentre il giudice
d’appello, nonostante le specifiche censure svolte nell’atto di gravame, che
riproduce per ulteriori undici pagine, confermò la statuizione di illegittimità
del termine.
Che il motivo è inammissibile per le medesime considerazioni svolte con
riferimento al motivo che precede.
Che con quarto motivo la società Poste denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 d.lgs. n. 368\01; 115 e 116 c.p.c. per avere la
sentenza impugnata ritenuto che i diversi Accordi sindacali indicati nel
contratto di assunzione (e riprodotti per intero in calce al presente ricorso)
non escludevano la prova del nesso tra tali causali e l’assunzione a termine
della lavoratrice.
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apposto in contratto in difformità di quanto dedotto nel ricorso in appello

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Che il motivo è infondato non avendo la sentenza impugnata ritenuto
generica la causale di assunzione anche alla luce dei menzionati Accordi,
bensì la mancanza di prova tra tale (pur ritenuta legittima) causale e
l’assunzione della Schembari (tale accertamento compiendo anche con
riferimento alla concomitante causale della necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie del restante personale). Deve
infatti rimarcarsi che questa Corte, proprio nella sentenza con cui ritenne

merito dei menzionati Accordi sindacali (Cass. n. 2279\10), chiarì che
“anche ove i giudici di merito, cui la causa va rinviata, valutino (per tale
via) come sufficientemente specificata la causale, l’onere probatorio
relativo all’effettiva ricorrenza nel concreto degli elementi così individuati,
ivi compresa l’effettiva destinazione del lavoratore presso la sede di lavoro
indicata, con la qualifica e mansioni conseguenti, graverà sulla datrice di
lavoro”.
Che con quinto motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116, 244, 253 e 437, comma 2, c.p.c. per
non avere la Corte di merito ammesso la prova ritualmente richiesta da
Poste in ordine al persistere dei processi di mobilità in corso.
Che il motivo è infondato avendo correttamente i giudici di appello ritenuto
generica la prova richiesta (e trascritta nel presente ricorso) avente ad
oggetto solo la persistenza dei processi di mobilità di cui sopra, ma non il
nesso causale tra tali esigenze e l’assunzione in questione.
Che con sesto motivo la società denuncia una insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, e cioè in
ordine alle esigenze della seconda, concomitante, causale di assunzione
(“necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per
ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo”).
Che il motivo è infondato avendo la sentenza impugnata accertato, come
sopra accennato ed anche tramite c.t.u. contabile, che dalla
documentazione (Mod.70P) prodotta da Poste emergeva che le assenze
per ferie del personale a tempo indeterminato erano di gran lunga inferiori
alla presenza dei lavoratori a termine nel periodo in esame.
Che con settimo motivo la società denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 5 d.lgs. n. 368\01, 12 preleggi, 1362 e segg., 1419
c.c., nonché dell’art. 32 L. n. 183\10. Lamenta che dal combinato disposto
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necessario, in caso analogo al presente, l’esame da parte del giudice di

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delle norme denunciate non poteva evincersi, in caso di accertamento della
clausola appositiva del termine, la trasformazione (o conversione) del
contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Che il motivo è infondato. Premesso che nel caso in esame più che di
conversione o trasformazione deve parlarsi semplicemente del potere del
giudice di accertare la natura del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, la
tesi della odierna ricorrente è in contrasto col consolidato orientamento di

modificato.
Che con l’ottavo ed ultimo motivo la società denuncia la violazione dell’art.
32, comma 5, L. n. 183\10 e dell’art. 429 c.p.c., dolendosi della
decorrenza degli accessori sulla detta indennità; che il motivo è fondato
posto che dalla natura di liquidazione “forfettaria” e “onnicomprensiva” del
danno relativo al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della
sentenza di conversione del rapporto (ex art. 32 L. n. 183\10) deriva che
gli accessori ex art. 429, terzo comma, c.p.c. sono dovuti soltanto a
decorrere dalla data della detta sentenza (Cass. ord. n. 27279\14),
conseguendone la cassazione della sentenza impugnata sul punto, con
decisione nel merito direttamente da parte di questa Corte, non essendo
necessari ulteriori accertamenti.
Che le spese di lite, considerato il principio della soccombenza prevalente,
vanno poste per 3\4 a carico di Poste, compensato il residuo quarto, nella
misura indicata in dispositivo, con distrazione in favore del difensore della
Schembari, dichiaratosi antistatario, non potendosi considerare valida la
procura rilasciata a nuovo difensore con delega autenticata da quest’ultimo
in calce al separato atto prodotto, ciò potendo avvenire solo per gli atti
previsti dall’art. 83 c.p.c. (non applicandosi nella specie il testo dell’art. 83
come modificato dalla L. n. 69\09, essendo lo stesso ricorso in appello
stato proposto il 28.10.06).

P.Q.M.
La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, l’ottavo motivo del
ricorso, e rigetta i restanti. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, condanna la società Poste Italiane al pagamento di interessi e
rivalutazione monetaria sull’indennità dovuta ex art. 32 L. n. 183\10, a far
data dalla sentenza che ha dichiarato l’illegittimità del contratto in esame.
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questa Corte, espresso a partire dalla sentenza n. 12985\08 e non più

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Condanna la società Poste Italiane al pagamento dei tre quarti delle spese
del presente giudizio di legittimità, che si liquidano per l’intero in €.200,00
per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali
nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. S.
Sallemi.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 19 luglio 2017

• Giovanni A

il Funzionario Giudiziario
Giovanqi R
0144-t444.,-;

CO

CASSAZI4

P/ Sezione

Onlakell/cpeo

IL PRESIDENTE

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