Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29761 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 29/12/2020), n.29761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2145/2020 proposto da:

A.O., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO PRATICO’;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI NOVARA, in persona del Prefetto pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso ordinanza n. 120/2019 del GIUDICE DI PACE di NOVARA,

depositata il 31/05/2019 R.G.N. 108/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 24/07/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Giudice di Pace di Novara, con provvedimento n. 120 del 2019, ha respinto l’opposizione di A.O. avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Novara in data 8 gennaio 2019, notificato in pari data.

2. Il Giudice di Pace ha osservato: a) che il provvedimento di espulsione era stato adottato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), (T.U. Immigr.), in quanto lo straniero, originario della Nigeria, era entrato nel territorio nazionale senza permesso di soggiorno; b) che la domanda di protezione internazionale e umanitaria dallo stesso avanzata era stata rigettata dal Tribunale di Torino con pronuncia del 28 settembre 2018 e avverso tale provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione (ancora pendente all’atto della decisione sull’opposizione al decreto di espulsione); c) che la richiesta di sospensione del decreto di espulsione era stata pure disattesa; d) che il provvedimento di espulsione, oggetto dell’opposizione, costituisce, alla luce delle precedenti osservazioni, un atto dovuto, nè erano stati evidenziati profili di illegittimità del ricorso in opposizione; e) che non potevano a tal fine valere le ragioni addotte dal richiedente asilo nel ricorso per cassazione avverso il diniego della protezione internazionale e umanitaria; f) che le ulteriori doglianze, “articolate in modo piuttosto confuso e poco comprensibile”, non potevano avere ingresso, nè comunque era riscontrabile alcuna violazione del procedimento amministrativo, avendo l’organo agito nel rispetto dei tempi e dei modi scanditi, adottando un provvedimento congruamente articolato e formalmente ineccepibile.

3. Avverso il suddetto provvedimento A.O. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti del Prefetto di Novara mediante notifica a mezzo PEC presso l’Avvocatura Generale dello Stato. Il ricorso è affidato a quattro motivi.

4. La Prefettura di Novara, difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha resistito con controricorso, sanando il vizio di nullità della notifica del ricorso (cfr. Cass. n. 28852 del 2005, e tra le più recenti, Cass. n. 5083, 8806, 8807, 8808 e 11660 del 2020).

5. E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

6. Con i primi due motivi si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 (primo motivo) e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (secondo motivo) per avere il Giudice di Pace omesso di esaminare le deduzioni relative alla condizione di inespellibilità di cui all’art. 19 citato, anche in relazione all’art. 33 Convenzione di Ginevra del 1951.

In particolare, il ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato, pur avendo dato atto che era stata proposta una domanda di protezione internazionale e che sulla stessa non era ancora intervenuto il giudicato, aveva omesso si esaminare le ragioni poste a suo fondamento, nè poteva costituire situazione definitiva quella scaturente dal rigetto della domanda di sospensiva del decreto del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis.

7. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 12, in quanto il ricorrente, quale richiedente asilo, avrebbe dovuto ricevere solo l’invio a lasciare il territorio nazionale entro quindici giorni, come previsto dalla suddetta norma, e non il decreto di espulsione.

8. Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5 e vizio di motivazione per avere l’ordinanza omesso di applicare la norma suddetta, che prevede l’allontanamento dello straniero su base volontaria.

9. Il ricorso è inammissibile.

10. Il diritto del richiedente asilo di non essere allontanato trova fondamento normativo nell’art. 19, comma 1, T.U.I., il quale, sotto la rubrica: “Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili”, stabilisce che: “In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”.

11. A sua volta l’art. 9, comma 1, della Direttiva 2013/32/UE stabilisce che “i richiedenti (protezione) sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantochè l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado (…). Il diritto a rimanere non dà diritto a un titolo di soggiorno”.

12. Il ricorrente si duole, nella sostanza, della mancata valutazione da parte del Giudice di Pace, ai fini del giudizio di legittimità del decreto di espulsione, sia della pendenza di una domanda di protezione internazionale sia della sussistenza delle condizioni ostative di cui all’art. 19, comma 1, del T.U.I..

13. Ora, con riguardo al primo profilo e quindi alla questione relativa all’asserita illegittimità del decreto di espulsione, essendo stata allegata dallo straniero la presentazione di una domanda di protezione internazionale, va rilevato che risulta agli atti di questa Corte che il ricorso per cassazione, iscritto al R.G. n. 32957/2018, avverso il decreto del Tribunale di Torino di rigetto della domanda di protezione internazionale, è stato dichiarato inammissibile da questa Corte con ordinanza n. 1065 del 17 gennaio 2020. Pertanto, si è formato il giudicato esterno sul rigetto della domanda di protezione internazionale.

14. Ne consegue che la doglianza risulta priva della necessaria rilevanza nel presente giudizio, essendo oramai privo di attualità il prospettato interesse alla sospensione del provvedimento di espulsione in attesa della definitività del provvedimento sulla domanda di protezione internazionale. In altri termini, è da ritenere superata la questione relativa agli effetti, sulla esecutività del provvedimento di espulsione, della pendenza della domanda di asilo, stante il difetto di interesse sopravvenuto ai sensi dell’art. 100 c.p.c..

15. Giova comunque ribadire che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 22217 del 2006, hanno chiarito che il provvedimento di espulsione dello straniero è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato, sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge.

16. Tutto ciò premesso, va poi osservato, quanto al secondo profilo denunciato con i primi due motivi, che la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 14 maggio 2019, nelle cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17, ha ribadito i principi fondamentali che gli Stati membri dell’Unione Europea sono tenuti a rispettare quando decidono di respingere o rimpatriare persone cui siano state negate o revocate misure di protezione ai sensi della Direttiva 2011/95/UE. In particolare, la Corte UE ha precisato che l’art. 21, par. 2, della Direttiva 2011/95, sulle garanzie relative al respingimento, deve essere interpretato e applicato in osservanza dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in particolare dei suoi artt. 4 e 19, par. 2, che vietano in termini perentori la tortura nonchè le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, così come l’allontanamento verso uno Stato in cui esista un rischio serio di essere sottoposto ai trattamenti vietati, cosicchè il principio di non refoulement non può soffrire eccezioni nemmeno nel caso in cui lo straniero sia un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico o abbia commesso gravi reati.

17. In linea con tale indicazione, questa Corte ha affermato che l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, postula che il giudice di pace, in sede di opposizione alla misura espulsiva, esamini e si pronunci sul concreto pericolo, prospettato dall’opponente, di subire persecuzione o trattamenti inumani e/o degradanti in ipotesi di rimpatrio nel paese di origine (Cass. 9762 del 2019; v. in precedenza Cass. 3898 del 2011; nonchè, da ultimo. Cass. 3875 del 2020, in motivazione).

18. Occorre dunque una specifica allegazione da parte dell’opponente intesa a prospettare una situazione di concreto pericolo. Inoltre, come più volte affermato da questa Corte, l’opposizione all’espulsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19, comma 1, deve fondarsi su ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle già oggetto del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, dovendosi valutare la “novità” non solo in senso oggettivo, ma anche – ove i fatti o i fattori di rischio siano state appresi medio tempore – in senso soggettivo, con la conseguenza che integrano il suddetto requisito non soltanto i fatti cronologicamente sopravvenuti alla decisione di rigetto non impugnata, ma anche quelli ignorati in sede di valutazione della commissione territoriale perchè non allegati dal richiedente e non accertati officiosamente dal giudice di pace il quale è tenuto, al pari del giudice della protezione internazionale, all’obbligo di cooperazione istruttoria (Cass. n. 33166 del 2019, n. 4230 del 2013).

19. Orbene, nessuna allegazione, nè deduzione è stata svolta nel ricorso per cassazione che possa fare alludere alla sussistenza di tali condizioni. L’ordinanza ora impugnata non riferisce di specifiche allegazioni in tal senso formulate dal ricorrente, il quale anche in questa sede si è limitato a dedurre (non già di avere prospettato in sede di opposizione al decreto di espulsione elementi di novità in relazione a concreti elementi di pericolo, ma) genericamente che la situazione in Nigeria è caratterizzata dall’esistenza generalizzata di aspri e violenti conflitti di carattere etnico religioso in continua evoluzione e diffusione in tutto il territorio nazionale”. Trattasi, all’evidenza, di deduzioni che non corrispondono ai requisiti di ammissibilità della denuncia, come sopra precisato.

20. Il terzo e il quarto motivo sono del pari inammissibili, in quanto involgenti questioni che non attengono alla fattispecie in esame.

21. Il provvedimento di espulsione è motivato, come risulta dall’ordinanza impugnata, dalla condizione di irregolarità dello straniero sul territorio nazionale, in quanto privo del permesso di soggiorno; il ricorrente versa, dunque, in una condizione che impone l’immediata adozione del provvedimento di espulsione tramite accompagnamento alla frontiera, senza che possa ipotizzarsi – stante la diversità e la non comparabilità delle situazioni – l’applicabilità dello speciale e più favorevole regime previsto dal D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, art. 12, comma 2 (per il caso di rifiuto del permesso di soggiorno allo straniero che risulti, ab origine, pienamente ottemperante agli obblighi connessi all’ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato; Cass. n. 8469 del 2012).

22. Riguardo al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 5, più volte si è pronunciata questa Corte. Si è affermato che non può essere dichiarata l’illegittimità del provvedimento di espulsione amministrativa solo perchè esso non contenga un termine per la partenza volontaria, in quanto tale mancanza può incidere sulla misura coercitiva adottata per eseguire l’espulsione, ma non sulla validità del provvedimento espulsivo, o perchè non contenga l’informazione circa la facoltà di fare rientro volontario, ostandovi il principio secondo cui detta omessa informazione può essere fatta valere esclusivamente nel giudizio di convalida avverso il provvedimento di accompagnamento coattivo o di trattenimento emesso dal questore, attesa la separazione in due fasi distinte del complessivo procedimento di allontanamento coattivo dello straniero; ne consegue l’insussistenza della violazione della direttiva 2008/115/CE in quanto il diritto dell’interessato a contraddire o a difendersi in merito all’alternativa tra partenza volontaria ed esecuzione coattiva dell’espulsione può dispiegarsi nel predetto giudizio di convalida (Cass. n. 7128 del 2020, Cass. n. 13240 del 2018).

23. Infine, il provvedimento impugnato ha evidenziato la genericità e l’indeterminatezza dell’opposizione quanto ai presupposti di regolarità del procedimento di espulsione e tale affermazione non è stata in alcun modo contrastata dal ricorrente per cassazione, che vi era onerato.

24. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

25. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non consegue il raddoppio del contributo unificato atteso che, in tema di controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione europea (D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18) e di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchè agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare (D.Lgs. n. 150 cit., art. 20), è espressamente stabilito che “Gli atti del procedimento e la decisione sono esenti da ogni tipo tassa imposta” (in tal senso, v. pure Cass. 3305 del 2017, che ha invece osservato come analoga previsione manchi con riferimento alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale), Inoltre, come affermato da Cass. S.U. 4315 del 2020, il giudice dell’impugnazione, ogni volta che pronunci l’integrale rigetto o l’inammissibilità o la improcedibilità dell’impugnazione, deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo del contributo unificato anche nel caso in cui quest’ultimo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno, mentre può esimersi dalla suddetta attestazione quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non applica del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

 

 

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